Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32499 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 14/12/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 14/12/2018), n.32499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16366-2014 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGRI 1,

presso lo studio dell’Avvocato PASQUALE NAPPI, che la rappresenta e

difende, congiuntamente e disgiuntamente, con l’Avvocato MARCO

PICCHI giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO AGRICOLTURA DELLA MAREMMA E

DEL TIRRENO (già C.C.I.A.A. di GROSSETO), in persona del legale

rapp.te pt., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 2,

presso lo studio dell’Avvocato ROBERTO CIOCIOLA, unitamente

all’Avvocato PAOLO STOLZI dal quale è rappresentata e difesa giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 179/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/02/2014 R.G.N. 797/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

che, con la sentenza n. 179/2014, la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia emessa il 14.6.2011 dal Tribunale di Grosseto con la quale era stata rigettata la domanda proposta da M.S. nei confronti della locale CCIAA, sua datrice di lavoro fino alla pensione dell’1.1.2011 – diretta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale, professionale, biologico, morale ed esistenziale dalla stessa subiti, quantificati in complessivi Euro 200.000,00 oltre accessori- sul presupposto che era stato escluso che la ricorrente avesse patito un demansionamento nel 2006 e nel 2008 e che comunque fosse stata vittima di condotte mobbizzanti;

che avverso la decisione di 2^ grado M.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo articolato su diverse censure;

che la Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Grosseto ha resistito con controricorso, illustrato con memoria;

che il PG non ha formulato richieste scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1, artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè la nullità della sentenza e del procedimento in riferimento all’art. 113 c.p.c., comma 1, artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., artt. 414 e 434 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per essersi la Corte di appello limitata a fare acriticamente proprie le argomentazioni del Tribunale di Grosseto, in ordine alle censure di ribaltamento dei principi in materia di onere della prova e di omessa, parziale ed inadeguata valutazione delle risultanze istruttorie, così tralasciando l’apprezzamento sia della copiosa documentazione versata in atti in allegato al ricorso introduttivo del giudizio, sia di una consistente parte delle prove testimoniali assunte ed incorrendo in una anomalia motivazionale sotto il profilo della inesistente o della mera apparenza; in particolare, secondo la ricorrente, i profili non valutati o malamente apprezzati riguardavano: a) l’illegittimità della condotta datoriale; b) la sussistenza del danno biologico e sul nesso di causalità con la condotta datoriale; c) il danno patrimoniale;

che il motivo presenta evidenti profili di inammissibilità. In primo luogo, deve considerarsi che, ancorchè svolto sotto il profilo di plurime violazioni di legge, le censure si risolvono nella critica della ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, configurando come tale una doglianza riconducibile al paradigma del vizio sostanziale di motivazione, non più consentito in sede di legittimità se non entro i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nuova formulazione, nel caso de quo, applicabile ratione temporis. Invero, per la Corte di legittimità è esclusa la possibilità di procedere ad una nuova valutazione attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie e non è necessario che il giudice di merito prenda in esame, al fine di confutarle o considerarle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, essendo sufficiente che indichi le ragioni del proprio convincimento sicchè debbano ritenersi implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (ex plurimis Cass. n. 12124/2004; Cass. n. 19748/2011);

che, in secondo luogo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960): ipotesi queste non denunziate nè ravvisabili nel caso in esame;

che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5;

che la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. è ravvisabile unicamente quando sia impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del “decisum” (cfr. Cass. 18.4.2017 n. 9745; Cass. 12.4.2011 n. 8294): nel caso in esame, invece, il raggiunto convincimento nella gravata pronuncia risulta da un riferimento logico e coerente a quella, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che è stata ritenuta di per sè sola idonea e sufficiente a giustificarlo, in modo da evidenziare l’iter seguito per pervenire alle assunte conclusioni;

che le doglianze sulla sussistenza dei danni asseritamente patiti sono inammissibili perchè dirette non contro una statuizione della sentenza di merito, bensì su questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (in termini, cfr. Cass. 5.11.2014 n. 23558; Cass. 1.3.2007 n. 4804);

che, pertanto, le censure della ricorrente, a fronte dell’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole da parte della Corte di merito, si sostanziano nella esposizione di una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito, come detto inammissibile in sede di legittimità;

che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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