Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32491 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 14/12/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 14/12/2018), n.32491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amalia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16993-2017 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

FLAMINIO, 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ERRANTE,

rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO BARRILE, LUANA SINERI

per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 409/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/05/2017 R.G.N. 999/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MASSIMO ERRANTE per delega Avvocato MASSIMO BARRILE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Palermo, pronunciando in sede di rinvio da Cass. n. 16637/2016, esaminate le questioni rimaste assorbite nelle pregresse fasi del processo, specificamente riproposte dal F. in sede di riassunzione, dichiarava la legittimità del licenziamento intimato dalla Corte dei Conti, della quale il F. era dipendente.

2. Con decreto del 10.2.2012, comunicato all’interessato il 22.2.12, il F. era stato licenziato per giusta causa, consistente nella falsa certificazione dello stato di malattia in violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-quater, comma 1, lett. a), come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2009.

3. Il Tribunale aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento per vizi procedimentali e aveva condannato la Corte dei Conti alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 Stat. Lav., nella formulazione precedente alla L. n. 92 del 2012. Tale sentenza era stata riformata dalla Corte di appello di Palermo limitatamente al capo relativo le spese di lite e confermata nel resto.

4. Con sentenza n. 16637/2016 di questa Corte venivano accolti i primi due motivi di censura proposti della Corte dei Conti: il primo, relativo alla dedotta violazione del termine di cinque giorni dalla notizia del fatto per la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare, previsto dall’art. 55-bis, comma 3 Testo unico, termine che questa Corte riteneva meramente ordinatorio; il secondo, relativo alla previsione di cui all’art. 55-bis, comma 3, u.p. cit., secondo cui il responsabile della struttura alla quale è addetto il dipendente, quando trasmette gli atti relativi al fatto disciplinarmente rilevante, ne dà “contestuale comunicazione all’interessato”, comunicazione che questa Corte riteneva avente una funzione meramente informativa, senza pregiudizio per le garanzie difensive, che vengono in considerazione solo se e in quanto venga avviato il procedimento disciplinare, sicchè gli effetti dell’eventuale omissione di tale adempimento non si riverberano sul procedimento disciplinare e sul suo svolgimento, che prosegue regolarmente.

4.1. Questa Corte annullava quindi la pronuncia impugnata, ritenendo che la Corte di merito avesse erroneamente ritenuto perentorio il termine di cui all’art. 55-bis, comma 3, prima parte, e necessaria la comunicazione informativa all’interessato di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 3, seconda parte. Rinviava alla Corte di appello di Palermo per un nuovo esame delle questioni ancora controverse, ove non precluse da giudicato interno.

5. In sede di riassunzione, con ricorso depositato il 31 ottobre 2016, il F. reiterava le censure rimaste assorbite nell’originario accoglimento dell’impugnativa del licenziamento e ribadiva, nel merito, l’insussistenza del fatto sotto profilo della mancanza di dolo e della intenzionalità della condotta sanzionata.

5.1. In particolare, con i primi due motivi del ricorso in riassunzione il reclamante lamentava la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 4, in quanto il Dirigente preposto all’Ufficio Risorse Umane lo aveva convocato in data 25.10.2011, ancor prima della formale contestazione disciplinare, per sentirlo sui fatti che sarebbero stati oggetto del procedimento disciplinare, in assenza del difensore. Si doleva inoltre che lo stesso Dirigente avesse inviato la relazione riservata al Dirigente Generale del Servizio per la Gestione delle Risorse Umane e non al competente Dirigente per i procedimenti disciplinari.

5.2. Tali censure venivano respinte, in quanto la Corte di appello osservava che l’avvio del procedimento disciplinare coincide con la contestazione dell’addebito al dipendente, di cui costituisce il primo atto e il momento a partire dal quale si articola la scansione degli adempimenti prescritti a garanzia dell’esercizio dei diritti di difesa. Rilevava che il procedimento disciplinare si era svolto secondo la sequenza degli atti prescritti: l’addebito era stato contestato entro il termine perentorio di quaranta giorni dall’acquisizione della notizia dell’illecito disciplinare (notizia risalente al 13.10.2011, come da accertamento passato in giudicato); il F. era stato sentito a sua discolpa, dopo avere richiesto il differimento dell’audizione, prevista per il 12.12.2011, al 9.1.2012; l’avvio delle indagini preliminari nel corso delle quali venga convocato il lavoratore non vale ad integrare l’inizio del procedimento disciplinare a carico dello stesso (Cass. n. 11100 del 2006); la contestazione disciplinare era stata formulata dal competente Servizio per i procedimenti disciplinari, costituito presso la Direzione Generale del Servizio per la Gestione delle Risorse Umane, cui era stata inoltrata la relazione riservata. Osservava che l’Amministrazione non era incorsa in decadenza per violazione del termine perentorio di centoventi giorni per la conclusione del procedimento disciplinare: tale termine, decorrente dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, era rimasto sospeso per ventisette giorni, durante il periodo di differimento per l’audizione del lavoratore. La Corte di appello concludeva per l’insussistenza di alcuna violazione di norme imperative, con conseguente esclusione della nullità (art. 1418 c.c.) e dunque della tutela reintegratoria.

5.3. La Corte di merito riteneva poi che non vi fosse alcuna prova dello stato di incapacità di intendere e di volere addotto dal ricorrente e tale da inficiare l’elemento soggettivo dell’illecito disciplinare, poichè la relazione di consulenza in atti e le altre acquisizioni documentali avevano prospettato una condizione tale da non giustificare la gravità della condotta contestata.

5.4. Valutava come proporzionata la misura adottata, in quanto le fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo introdotte dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-quater, comma 1, lett. da a) ad f) e comma 2, costituiscono ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva, le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto ai sensi dell’art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2. Rilevato che non erano state allegate ragioni tali da impedire al dipendente di munirsi di un valido certificato medico che giustificasse l’assenza dal servizio per diversi giorni, osservava che la condotta addebitata è espressamente prevista dall’art. 55-quater tra quelle sanzionabili con il licenziamento e che tale norma, avendo carattere imperativo (art. 55, comma 1 T.U.), sottrae le ipotesi ivi elencate dal regime di gradualità delle sanzioni prevista dalla contrattazione collettiva di comparto, dovendo osservarsi che la condotta sanzionata è anche penalmente rilevante ex art. 55-quinquies, sicchè essa è certamente idonea a ledere il vincolo fiduciario.

6. Per la cassazione di tale sentenza F.S. propone ricorso, affidato a cinque motivi, cui resiste la Corte dei Conti con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 4, avendo la Corte territoriale errato nel ritenere che la convocazione “a sorpresa” del dipendente da parte dell’organo incompetente, senza l’assistenza di un difensore, non avesse reso difficile l’esercizio del diritto di difesa e tardiva la contestazione. La preventiva audizione del ricorrente effettuata il giorno 25 ottobre 2011 dal Dirigente preposto al Servizio Risorse Umane per la Regione Siciliana, soggetto incompetente a contestare il fatto e a sentire il dipendente a difesa, aveva compromesso l’esercizio diritto di difesa, atteso che in tale contesto aveva acquisito la “confessione” del dipendente.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della medesima norma laddove la Corte ha ritenuto che, quando il datore di lavoro riceve la confessione dei fatti da parte del lavoratore nel corso di accertamenti preliminari, non sussiste la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 4, assumendo che la tutela accordata dalla norma deve comprendere anche la conoscenza dell’atto terminale di procedimento e che quindi l’effetto estintivo dell’azione disciplinare per decorso del termine di centoventi giorni dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione deve essere valutato con riferimento alla notifica dell’atto conclusivo al dipendente, trattandosi di atto a carattere recettizio.

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1375,2104,2105 e 2106 c.c.art. 2119 c.c.nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 e 55-quater, dell’art. 13 CCNL comparto Ministeri del 12.6.2003, che ha modificato l’art. 25 CCNL 16.5.1995, laddove la Corte territoriale ha ritenuto di non potere sindacare la proporzionalità del licenziamento inflitto sul presupposto che trattasi di fattispecie legale di licenziamento per giusta causa, aggiuntiva rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva, per le quali compete soltanto al giudice ex art. 2106 il giudizio di adeguatezza della sanzione.

5. Il quinto motivo verte sulla condanna alle spese di lite.

6. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente. Essi sono infondati.

6.1. Come più volte affermato da questa Corte, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55-bis, comma 4, in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte cost. con sentenza n. 310 del 5 novembre 2010, assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare (cfr. Cass. n. 7134 del 2017 e n. 6989 del 2018).

6.2. In generale, gli accertamenti preliminari rispondono all’esigenza di consentire l’acquisizione, da parte della p.a., di una conoscenza dei fatti idonea ad una valida contestazione disciplinare, la quale non può essere generica, ma circostanziata e puntuale, proprio a tutela del diritto di difesa del dipendente. In tale contesto, è ammissibile anche l’ascolto del dipendente, ancorchè le notizie da vagliare possano in qualche modo interessarlo quale informato dei fatti.

7. In relazione allo specifico motivo di doglianza mosso dall’interessato con i primi due motivi, è ben vero che, ove la notizia dell’infrazione pervenuta già rivesta gli estremi di un illecito disciplinare e questo esuli dalla sfera di competenza del capo struttura, costui deve trasmettere gli atti entro cinque giorni dalla notizia del fatto (termine ordinatorio, secondo la giurisprudenza di questa Corte) all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari (art. 55-bis, comma 3). Tuttavia, poichè in un assetto disciplinare contrattualizzato, gli effetti decadenziali non possono verificarsi in mancanza di una espressa previsione normativa o negoziale che preveda detti effetti (cfr. Cass. nn. 17153 del 2015, n. 16900 del 2016), il compimento, da parte del capo struttura, di attività istruttorie ulteriori rispetto al momento dell’acquisizione della notizia dell’infrazione non comporta la nullità del procedimento e della sanzione, che può ricorrere solo nel caso in cui l’incolpato denunci, con concreto fondamento, l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della sua difesa indotta dal compimento di tale attività istruttoria pre-procedimentale (cfr. Cass. n. 6091 del 2010, in caso di violazione di termini interni ordinatori).

7.1. Nel caso in esame, non risulta dalla sentenza impugnata che la confessione non fosse stata resa spontaneamente. Non risulta che il dipendente avesse chiesto un differimento per munirsi di un difensore (l’obbligatorietà della difesa tecnica di un avvocato non è prescritta neppure nella fase propriamente procedimentale, successiva alla contestazione disciplinare). Non risulta neppure prospettato che l’audizione preliminare abbia pregiudicato in qualche modo il successivo esercizio dei diritti difensivi: successivamente alla formale contestazione, il ricorrente si difese adducendo le proprie giustificazioni, che tuttavia in giudizio non sono state ritenute idonee a far ritenere insussistente l’elemento intenzionale e volitivo della condotta ascritta. Per altro verso, non è stato neppure dedotto il superamento del termine (previsto a pena di decadenza dall’azione disciplinare) di centoventi giorni previsto dall’art. 55-bis, comma 4 per la conclusione del procedimento.

8. Il terzo motivo è infondato. Nel procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, la comunicazione all’interessato dell’atto sanzionatorio, per sua natura recettizio, si colloca al di fuori del procedimento disciplinare, riguardando esclusivamente la fase, successiva, di perfezionamento e di efficacia nei confronti del destinatario della sanzione medesima, e non assume rilievo ai fini del rispetto dell’anzidetto termine di decadenza. ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4, (cfr. Cass. n. 5637 del 2009).

9. Anche il quarto motivo è infondato.

9.1. In materia di pubblico impiego contrattualizzato è da escludere qualunque sorta di automatismo a seguito dell’accertamento dell’illecito disciplinare, sussistendo l’obbligo per il giudice di valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, e, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta (Cass. n. 18858 del 2016, n. 18326 del 2016, emesse in fattispecie regolate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-quater). Tale indagine va condotta dal giudice di merito pur in presenza di fattispecie legali di illecito disciplinare, ossia di un’ipotesi in cui la rilevanza disciplinare della condotta descritta dalla norma è predefinita dal legislatore.

9.2. Nel caso di specie, è stata esclusa l’esistenza di scriminanti di ordine soggettivo ed è stato giudicato proporzionato il licenziamento. La Corte di appello ha osservato che la condotta ascritta integra anche un reato, per cui la rilevanza disciplinare è avvalorata dalla configurazione penale della fattispecie.

10. Con il quinto motivo ci si duole della condanna alle spese di lite di tutti i gradi di giudizio, attesa l’erroneità della sentenza emessa dal giudice di rinvio. L’esame del motivo resta assorbito nel rigetto dei precedenti. in quanto il suo vaglio presuppone la cassazione della sentenza per accoglimento della precedenti doglianze.

11. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

12. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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