Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32491 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. III, 12/12/2019, (ud. 01/10/2019, dep. 12/12/2019), n.32491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28734-2016 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA COLA DI

RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA NARDONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO IZZO;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA, (OMISSIS) in persona del

Procuratore D.L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CESARE FEDERICI 2, presso lo studio dell’avvocato MARIA CONCETTA

ALESSANDRINI, rappresentata e difesa dall’avvocato ETTORE FREDA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1601/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 20/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/10/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Equitalia Sud s.p.a., nella veste di concessionario del servizio di riscossione, iscrisse ipoteca sui beni immobili di R.F., a garanzia dei crediti esattoriali verso di lui vantati dall’INPS e dalla provincia di Avellino per circa 55.000 Euro.

2. Nel 2011 R.F. convenne dinanzi ai Tribunale di Avellino la Equitalia Sud, chiedendo che fosse:

a) accertata l’insussistenza del diritto ad iscrivere ipoteca sui suoi beni, per effetto dell’avvenuto sgravio delle imposte e sanzioni a garanzia delle quali venne iscritta l’ipoteca;

b) condannata la Equitalia Sud per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.

3. Il Tribunale di Avellino con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. del 21.11.2012 rigettò la domanda, rilevando che la Equitalia Sud, in quanto agente della riscossione, non poteva avere alcuna responsabilità per la mancata annotazione degli sgravi di imposte e sanzioni nei registri telematici, la quale invece dipendeva da omissioni degli enti creditori.

4. R.F. propose appello avverso tale sentenza, lamentando:

-) che il Tribunale non si fosse pronunciato sulla sua domanda di accertamento della illegittimità dell’iscrizione ipotecaria;

-) l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto che alcun addebito potesse essere ascritto ad Equitalia Sud per l’iscrizione ipotecaria.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza 20 aprile 2016 n. 1601, rigettò il gravame.

Ritenne la Corte d’appello che:

-) il Tribunale si fosse pronunciato sulla domanda di accertamento, stabilendo che “l’iscrizione dell’ipoteca era stata correttamente effettuata;

-) correttamente il Tribunale aveva ritenuto che, nel caso di iscrizione ipotecaria fondata su titoli non aggiornati, la responsabilità andasse ascritta all’ente impositore e non all’agente della riscossione. Nel caso di specie, era stato infatti lo stesso attore a dedurre che il comportamento negligente fu tenuto dell’ente riscossore, e non da quello impositore; e poichè nella specie nessun comportamento negligente dell’agente della riscossione era emerso, la domanda non poteva che essere rigettata.

5. Ricorre per cassazione avverso tale decisione R.F., con ricorso fondato su sei motivi ed illustrato da memoria.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate – Riscossione, successore ope legis della Equitalia Sud.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto infondato il motivo d’appello col quale egli aveva lamentato il vizio di omessa pronuncia da parte del Tribunale, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe travisato il suo motivo di gravame.

1.2. Il motivo è inammissibile.

R.F. chiese al Tribunale di accertare l’illegittimità dell’iscrizione ipotecaria compiuta da Equitalia Sud, ed il Tribunale rigettò la domanda.

R.F. si dolse, in appello, di una omessa pronuncia sulla sua domanda di accertamento, e la Corte d’appello ha affermato che il giudice di primo grado ritenne “correttamente effettuata l’iscrizione ipotecaria” da parte di Equitalia.

Ora, per dolersi della erroneità di tale decisione, il ricorrente avrebbe dovuto o riassumere, o trascrivere i termini in cui formulò a sua domanda in primo grado, ed i termini in cui venne decisa dal Tribunale.

In mancanza di tali indicazioni, il motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto non è possibile per questa Corte stabilire, dalla sola lettura del ricorso – come le è imposto dall’art. 366 c.p.c. in quali termini ed in quale atto venne formulata la domanda che il ricorrente assume essere stata trascurata dal Tribunale.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta – formalmente – il vizio di omesso esame del fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella illustrazione del motivo, tuttavia, si sostiene che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto esente da responsabilità l’agente della riscossione, senza tenere conto del fatto che nel caso di specie i titoli posti a fondamento della azione esecutiva erano stati annullati o sospesi.

2.2. Il motivo è inammissibile per due ragioni indipendenti: da un lato, perchè il vizio di omesso esame del fatto non è stato dedotto secondo i criteri dettati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 2014: e cioè indicando chiaramente quale sia stato il fatto trascurato, quando sia stato dedotto in giudizio, come sia stato provato e perchè sia decisivo; sia, in ogni caso, perchè censura la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti da parte del giudice di merito, censura non consentita in questa sede di legittimità.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione di varie norme costituzionali e della convenzione EDU.

Sostiene che la decisione della Corte d’appello di Napoli, nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’operato dell’agente della riscossione, ha “violato l’attitudine dell’ordinamento processuale a consentire la soddisfazione piena dell’interesse protetto dalla norma sostanziale”.

3.2. Il motivo è inammissibile per la sua inintelligibilità.

Esso, infatti, è meramente assertivo: elenca una serie di principi, ma non lascia intendere perchè mai essi sarebbero stati violati dalla Corte d’appello, a meno di non voler supporre che, per il ricorrente, qualunque error in iudicando costituisca per ciò solo una violazione dei diritti costituzionalmente garantiti.

Ma questa Corte può conoscere degli eventuali contenuti nella sentenza d’appello che siano stati correttamente censurati, mentre non può rilevarne d’ufficio, nè può pretendersi che essa intuisca quale tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria oscura, come si è già ripetutamente affermato (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).

E non sarà superfluo aggiungere che la coerenza dei contenuti e la chiarezza della forma degli atti processuali, e massimamente delle impugnazioni, costituiscono una delle declinazioni, e non l’ultima, del dovere di lealtà di cui all’art. 88 c.p.c., ed è prescritta dalle legislazioni di tutti gli ordinamenti economicamente avanzati: basterà ricordare a tal riguardo, excerpta multorum, l’art. 3, comma 2 codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), il quale impone alle parti di redigere gli atti “in maniera chiara e sintetica”; il p. 14, lettera “A”, della Guida per gli avvocati” approvata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ove si prescrive che il ricorso dinanzi ad essa debba essere redatto in modo tale che “una semplice lettura deve consentire alla Corte di cogliere i punti essenziali di fatto e di diritto”; o la Rule 8, lettera (a), n. 2, delle Federal Rules of civil Procedures statunitensi, la quale impone al ricorrente “una breve e semplice esposizione della domanda” (regola applicata così rigorosamente, in quell’ordinamento, che nel caso Stanard v. Nygren, 19.9.2011, n. 091487, la Corte d’appello del VIII Circuito U.S.A. ritenne inammissibile per lack of punctuation un ricorso nel quale almeno 23 frasi contenevano 100 o più parole, ritenuto “troppo confuso per stabilire i fatti allegati” dal ricorrente).

4. Il quarto motivo di ricorso.

4.1. Col quarto motivo il ricorrente formula una tesi giuridica così riassumibile:

-) l’agente della riscossione è un adiectus solutionis causa;

-) l’adiectus è vincolato a ogni decisione giudiziaria pronunciata contro l’ente impositore;

-) poichè le pretese dell’ente impositore avevano formato oggetto di annullamento in sede giudiziaria, illegittima doveva ritenersi la pretesa dell’agente della riscossione di iscrivere ipoteca.

4.2. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

Il giudice di merito, infatti, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, ha stabilito che Equitalia Sud era incolpevolmente ignara dell’annullamento dei titoli esecutivi, e ne ha tratto la conclusione in diritto che essa non incorse in responsabilità se in base a quei titoli annullati iscrisse ipoteca.

La Corte d’appello, dunque, non ha affatto negato che le decisioni pronunciate contro l’ente impositore siano opponibili all’agente della riscossione, ma ha affermato che, se questi incolpevolmente le ignora, non può andare incontro a responsabilità. E tale ratio decidendi, come già detto, non viene censurata dal quarto motivo di ricorso.

5. Il quinto motivo di ricorso.

5.1. Col quinto motivo il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso la responsabilità dell’agente della riscossione, in quanto questi “non aveva attivato l’obbligatoria procedura di riscossione coattiva, bensì il promovimento di azioni cautelari e conservative che si pongono in termini di mera facoltà, residuando quindi margini di discrezionalità che individuano un comportamento non necessariamente dovuto”.

5.2. Il motivo è infondato.

L’agente della riscossione ha l’obbligo giuridico di salvaguardare i crediti che deve riscuotere, e la scelta di garantire tali crediti con azioni cautelari non può dirsi, di per sè, colposa, in virtù del noto principio qui iure suo utitur, neminem laedit.

Se, dunque, l’esattore incolpevolmente ignorò l’annullamento del titolo esecutivo, tale ignoranza incolpevole lo esime da responsabilità sia con riferimento all’avvio di azioni esecutive, sia con riferimento al promovimento di domande cautelari.

6. Il sesto motivo di ricorso.

6.1. Col sesto motivo il ricorrente formula una tesi così riassumibile:

-) il concessionario della riscossione, nel giudizio promosso contro di lui, deve chiamare in causa l’ente impositore, ed in mancanza risponde delle conseguenze della lite;

-) nel caso di specie Equitalia chiese di chiamare in causa l’INPS e la provincia di Avellino, ma il Tribunale negò l’autorizzazione;

-) tale domanda non venne riproposta in appello, nè il rigetto dell’autorizzazione formò oggetto di impugnazione;

-) Equitalia Sud, di conseguenza, rinunciando a chiamare in causa l’ente impositore, accettò con tale suo comportamento processuale di assumere su di sè il rischio dell’esito negativo della lite, e pertanto anche in presenza di un comportamento omissivo imputabile agli enti impositori, si sarebbe dovuta accogliere la domanda di risarcimento proposta contro il concessionario.

6.2. Il motivo è infondato.

E’ lo stesso ricorrente a riferire di avere domandato, in primo grado, la condanna dell’ente convenuto non già al generico risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., ma al risarcimento dei danni “per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.”.

Evidentemente l’odierno ricorrente ha inteso dunque invocare, in primo grado, il comma 2 di tale norma, alla stregua del quale “il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stata (…) iscritta ipoteca giudiziale (…), su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza”.

Presupposto di tale condanna è l’avere agito “senza la normale prudenza”, vale a dire violando il dovere di diligenza di cui – nel nostro caso – all’art. 1176 c.c., comma 2.

E tuttavia, in primo luogo, l’accertamento della mancanza di “normale prudenza” è un giudizio di fatto, in quanto tale riservato al giudice di merito ed insindacabile in questa sede; in secondo luogo, l’accertata insussistenza di colpa della Equitalia Sud per la mancata conoscenza dell’avvenuto sgravio, esclude di per sè che possa configurarsi a suo carico anche a mancanza la “normale prudenza”; in terzo luogo, quel che più rileva, il principio di cui al D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39 (secondo cui l’agente della riscossione “risponde delle conseguenze della lite” nel caso in cui trascuri di chiamare in casa l’ente impositore) fa riferimento unicamente al merito della pretesa tributaria o sanzionatoria ed alle spese di soccombenza. Quella norma, per contro, non può estendersi sino a ricomprendere anche la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., la quale – costituendo una responsabilità per colpa e non una responsabilità oggettiva – in mancanza di una norma esplicita ad hoc non può essere applicata estensivamente od analogicamente. Ne consegue che l’agente della riscossione non può essere chiamato a rispondere, ex art. 96 c.p.c., comma 2, per avere eseguito una iscrizione ipotecaria per conto dell’ente impositore, se non sia in capo a lui ravvisabile alcun deficit di normale prudenza.

7. Le spese.

Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna R.F. alla rifusione in favore di Agenzia delle Entrate – Riscossione delle spese dei presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di R.F. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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