Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32488 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. III, 12/12/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 12/12/2019), n.32488

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19188/2018 proposto da:

R. COSTRUZIONI SRL, in persona dell’Amministratore Unico,

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANLUCA ACCARDI;

– ricorrente –

contro

M.R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RIPETTA

22, presso lo studio dell’avvocato SERGIO RUSSO, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1910/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/09/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. La R. Costruzioni Srl ricorre, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma che, riformando la pronuncia del Tribunale, aveva accolto la domanda proposta da M.R.A. per il pagamento della somma dovuta a titolo di provvigione per l’incarico di mediatore immobiliare da lei svolto in relazione alla vendita di un immobile che la società odierna ricorrente aveva acquistato.

2. La parte intimata ha resistito.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.. Assume, con riferimento all’esame della visura camerale dalla quale si poteva evincere che l’intero capitale sociale della società venditrice era stato acquistato dalla società ricorrente (e che ciò includeva anche l’immobile al quale erano riferite le richieste di provvigione) che l’accoglimento dell’appello era fondato sulla produzione di documenti nuovi che, in quanto tali, dovevano ritenersi coperti da preclusione, avuto riguardo al testo novellato della norma invocata.

1.1. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione degli artt. 183 e 345 c.p.c.: la ricorrente lamenta che la Corte aveva equiparato la compravendita dell’immobile all’atto di cessione di quote, omettendo di valutare che tale domanda era stata proposta soltanto nelle memorie conclusionali e doveva quindi ritenersi tardiva e preclusa.

1.2. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 39 del 1989, artt. 2 e 6, nonchè degli artt. 1754,1755 e 2697 c.c.: al riguardo, la ricorrente deduce una inammissibile mutatio libelli nel corso del giudizio (passando dalla richiesta di compenso per una vendita immobiliare alla richiesta per la vendita delle azioni); assume che la Corte aveva omesso di considerare che non era stata dimostrata l’iscrizione nei ruoli dei mediatori.

1.3. Con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione al divieto di nuove prove in appello: contesta l’entità della somma oggetto di condanna che sarebbe superiore, in tesi, alla percentuale relativa alla somma fissata nella proposta di vendita.

2. Tuttavia, preliminarmente, deve essere esaminata la questione, rilevabile d’ufficio, attinente alla procedibilità del ricorso.

2.1. Infatti, la società ricorrente dà atto dell’avvenuta notifica della sentenza impugnata (cfr. pag. 2 epigrafe del ricorso) ma dall’esame della documentazione allegata manca del tutto la prova dell’incombente enunciato. Nè risulta che essa sia stata fornita dalla parte controricorrente e che sia, pertanto, presente fra gli atti.

2.2. Questa Corte, al riguardo, ha avuto modo di affermare i seguenti principi, ormai consolidati, ai quali questo Collegio intende dare seguito:

a. “la previsione – di cui dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al comma 1, della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui dell’art. 369 c.p.c., comma 1 e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione” (cfr. Cass. 25070/2010).

b. “Pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2” (cfr. Cass. 17066/2013).

3. Nel caso in esame, l’assenza della prova della notifica della sentenza, della quale è ignota anche la modalità con la quale venne effettuata, è accompagnata dal mancato superamento della c.d. “prova di resistenza”: infatti la pronuncia impugnata è stata pubblicata in data 26.03.2018 ed il ricorso è stato notificato il 18.06.2018, e cioè oltre il termine di sessanta giorni dalla data della pubblicazione.

3.1. In tale situazione, l’omissione del ricorrente non può ritenersi in alcun modo “sanabile” e, conseguentemente, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara improcedibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in 5600,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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