Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32482 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. III, 12/12/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 12/12/2019), n.32482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20927-2018 proposto da:

SESTITO INTERNATIONAL MOVING SRL, in persona dell’amministratore e

legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

NIZZA, 11, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CRETELLA,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO ALFANO;

– ricorrente –

contro

D.C.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARCELLO DE VIVO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3110/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 3110/2018, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dalla società Sestito International Moving s.r.l., ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale; e, per l’effetto, ha condannato la suddetta società al risarcimento del danno nella misura di Euro 1.000 (in luogo della maggior somma di Euro 10 mila, liquidata dal giudice di primo grado) in favore di D.C.G., oltre accessori. La Corte ha altresì condannato la società alla rifusione, in favore del D.C., delle spese del doppio grado di giudizio, liquidandole, quanto al primo grado, in Euro 2.100, oltre ad Euro 186,09 per spese vive; e, quanto al secondo grado, in Euro 2.775, oltre accessori di legge e rimborso spese generali.

2.Era accaduto che il D.C. aveva convenuto in giudizio la società Sestito, per sentirla condannare al risarcimento del danno in misura di Euro 15.000,00 pari al valore di un quadro, realizzato da suo zio (il pittore L.B.), spedito da Bari a Londra e mai ricevuto, che in forza di contratto concluso tra le parti doveva essere trasportato – unitamente a mobili e masserizie ed altri due quadri – dalla società convenuta, oltre ai danni non patrimoniali. A fondamento della domanda risarcitoria il D.C. aveva dedotto la responsabilità ex recepto ex art. 1693 c.c. in materia di trasporto e l’esistenza di colpa grave a carico della società convenuta per non essere stata questa in grado neanche di fornire indicazioni sulla causa e sulle circostanze della perdita del quadro.

Si era costituita la società convenuta, eccependo che il mittente non aveva fornito un’esatta indicazione della natura del bene ex art. 1683 c.c., ragion per cui avrebbero dovuto restare a suo carico i danni derivanti da detta omissione, e che si trattava di un’ipotesi di perdita per fatto del mittente ex art. 1693 c.c., comma 1, considerata l’omessa richiesta al momento della conclusione del contratto di alcuna copertura assicurativa, omissione questa idonea a fuorviare il vettore sull’effettivo valore del dipinto e sulla natura delle misure di custodia necessarie. La società aveva quindi concluso chiedendo il rigetto della domanda risarcitoria per assenza di responsabilità.

Il giudice di primo grado, istruita la causa per via documentale, in accoglimento della domanda del D.C., aveva affermato la responsabilità ex recepto della società Sestito, condannando quest’ultima al risarcimento del danno patrimoniale nella misura di Euro 10.000,00 oltre interessi legali accessori (non ravvisando i presupposti per la liquidazione del danno non patrimoniale, concernente il valore affettivo dell’opera, ricevuta in dono dall’artista, zio dell’attore).

Avverso la sentenza del giudice di primo grado aveva proposto appello la società Sestito, articolando tre motivi. Con il primo aveva eccepito l’intervenuta prescrizione del diritto ex art. 2951 c.c., comma 1 essendo decorso un anno dalla data della mancata riconsegna (che sarebbe dovuta avvenire a (OMISSIS)) al momento della notifica della citazione (avvenuta il 25/11/08). Con il secondo motivo aveva denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., evidenziando che erroneamente il Tribunale aveva disposto il risarcimento nonostante la contestazione non soltanto sulla quantificazione del valore di mercato del quadro ma anche del presupposto stesso per l’esistenza di una quotazione relativa all’opera pittorica (ovvero il pregio artistico della medesima) e sollecitando, quindi, l’ammissione di una consulenza tecnica al fine di accertare l’effettivo valore dell’opera smarrita; aveva altresì dedotto che avrebbe dovuto essere onere di parte attrice allegare e produrre fatture o documentazione attestante il pagamento, da parte di acquirenti dei quadri del pittore L.B., di somme di danaro dalle quali poter trarre un minimo elemento di convincimento circa la determinazione del valore di mercato – se esistente – delle opere dell’artista, onere che il D.C. non aveva adempiuto. Col terzo motivo aveva lamentato la violazione degli artt. 1696 e 1683 c.c., chiedendo il rigetto della domanda o comunque una riduzione del quantum risarcitorio nei limiti di Euro 9,38 per ogni chilogrammo del peso lordo della merce venduta da cui detrarre, ex artt. 1683 e 1227 c.c., per la gravità della condotta del creditore, un importo ritenuto equo; aveva quindi invocato la convenzione di Ginevra del 19/5/56 e ribadito l’esistenza di reciproche responsabilità a causa dell’insufficiente indicazione del valore della merce da parte del mittente, da collegarsi causalmente al danno cui il vettore era rimasto esposto per la perdita dei beni.

Si era costituito il D.C., chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

La Corte territoriale, previo espletamento di ctu, come sopra rilevato, ha emesso la sentenza qui impugnata, con la quale ha ridotto il quantum risarcitorio da 10.000 a 1000 Euro, oltre accessori.

3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso la società Sestito, articolando sei motivi.

Ha resistito con controricorso il D.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La società ricorrente censura la sentenza impugnata per sei motivi, di cui due concernono la quantificazione del danno e i residui quattro il governo delle spese processuali.

1.1. Precisamente, in relazione alla quantificazione del danno, la società ricorrente:

Con il primo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 nella parte in cui la Corte territoriale (pg. 8 – rigo da 21 a 30 e da 31 a 34) ha sostenuto in maniera irriducibilmente contraddittoria, da un lato, che l’opera non avesse alcun valore di mercato, e dall’altro, che al quadro potesse essere attribuito un valore commerciale di Euro 1.000,00; nonchè nella parte in cui (pg. 8, da rigo 31 a 34) ha articolato una motivazione apparente, in quanto l’iter argomentativo riprende esclusivamente la relazione del tecnico nominato d’ufficio dalla Corte di Appello, ma non indica alcun criterio di valutazione a sostegno di una stima economica obiettiva del quadro smarrito. Richiama le molteplici contestazioni avanzate dal proprio consulente tecnico e non puntualmente riscontrate dal C.T.U. nominato.

Con il secondo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1696 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale (pg. 6 – da rigo 18 a rigo 21 e da rigo 24 a 37), disattendo la giurisprudenza di legittimità (e in particolare il dictum della sentenza n. 1466/1978 di questa Corte) e malgrado la disposizione denunciata imponga un accertamento del valore del bene smarrito sulla base di elementi certi, ha erroneamente ancorato la quantificazione del danno a considerazioni slegate da riscontri concreti ed obiettivi.

1.2. Quanto poi al governo delle spese, la società ricorrente:

Con il terzo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 nella parte in cui la Corte (pg. 8, da rigo 40 a rigo 42 e pg. 9 rigo n. 1, e pg. 10, da rigo e a rigo 4) ha articolato una motivazione apparente, in quanto, pur in presenza di una ipotesi di soccombenza reciproca, non ha esplicitato le ragioni per le quali ha inteso porre le spese di lite interamente a carico della società per entrambi i gradi di giudizio. Sostiene che dette ragioni non risultano comprensibili nè dalla motivazione complessiva del provvedimento giurisdizionale, nè dall’esito del giudizio.

Con il quarto motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale (pg. 10 – da rigo 1 a rigo 4), nonostante la riforma parziale della sentenza e la conseguente riduzione del risarcimento da Euro 10.000,00 ad Euro 1.000,00, ha fatto applicazione del principio di cui all’art. 91 c.p.c., operante in caso di soccombenza totale, pur nella evidente sussistenza di una soccombenza reciproca, che avrebbe imposto, quantomeno, di ipotizzare l’applicabilità dell’art. 92 c.p.c., comma 2. Sostiene inoltre che la Corte non ha eseguito alcuna valutazione del principio di causalità, condannando, comunque, la società al pagamento integrale delle spese del doppio grado di giudizio.

Con il quinto motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 nella parte in cui la Corte territoriale (pg. 10 – da rigo 1 a rigo 11) ha articolato motivazione apparente, in quanto risulta aver applicato, nella liquidazione delle spese di primo grado, il parametro medio dello scaglione fino ad Euro 25.000,00 ex D.M. n. 140 del 2012 – per complessivi Euro 2.100,00 – pur in presenza dell’esiguo risarcimento riconosciuto di Euro 1.000,00, in un procedimento privo di difficoltà tecnico-giuridiche, senza illustrare e spiegare le ragioni che avevano indotto a non applicare i parametri minimi e, dunque, dell’evidente sproporzione delle spese rispetto al decisum.

Con il sesto ed ultimo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione o falsa applicazione del D.M. n. 140 del 2012, artt. 1, 4, 5 e 11 e del D.M. n. 54 del 2014, artt. 1, 5 e 12 nonchè delle tabelle relative ai suddetti decreti ministeriali nella parte in cui la Corte territoriale (pg. 8, da rigo 40 a rigo 42, pg. 9, da rigo 1 a rigo 2, pg. 10, da rigo 1 a rigo 18): a) ha utilizzato il parametro medio dello scaglione tariffario fino a 25.000,00 in primo grado, senza alcuna considerazione del valore effettivo della causa nè della effettiva complessità delle questioni trattate (così violando del D.M. n. 140 del 2012, art. 1, art. 4, n. 2) e art. 3 art. 5 ed art. 11, n. 1)); b) non ha considerato che la particolare tenuità del valore della lite, nonchè la scarsissima difficoltà della questione sottoposta al vaglio della Corte, avrebbe reso necessario utilizzare i parametri minimi previsti dal D.M. n. 140 del 2012, con conseguente riduzione della liquidazione dei compensi fino al 50%; c) ha liquidato compensi per la fase istruttoria in primo grado non dovuti – o, quantomeno, non interamente – stante il deposito di sole memorie, senza l’assunzione di nessun mezzo istruttorio, così violando il D.M. n. 140 del 2012, art. 11, n. 4; d) ha erroneamente individuato lo scaglione di riferimento per la liquidazione delle spese in appello (quello da Euro 1.100,00 ed Euro 5.200,00), prendendo a riferimento l’importo risarcitorio comprensivo di interessi e rivalutazione (da Euro 1.316,07, in luogo della sorte capitale, da Euro 1.000,00 effettivamente riconosciuta), così violando il D.M. n. 54 del 2014.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Infondati sono i primi due motivi, che, in quanto strettamente connessi, sono esaminati congiuntamente.

Occorre premettere che, in seguito alla novella introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale, richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono per l’appunto nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e che danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà”, e di “motivazione perplessa od incomprensibile”.

Orbene, la motivazione contenuta nella sentenza impugnata non è nè apparente e neppure irriducibilmente contraddittoria.

Invero la Corte – dopo aver rilevato che nella specie la difficoltà di accertamento del valore effettivo della merce perduta dipendeva dal fatto che non si trattava di merce oggetto di generalizzata commercializzazione – ha legittimamente valorizzato le risultanze delle indagini compiute dal perito, da essa nominato.

Questi – dopo aver effettuato ricerche per una valutazione oggettiva delle opere dell’artista L.B. (focalizzate nell’arco temporale 2005/2015) e tenuto conto del curriculum del suddetto artista (che aveva operato prevalentemente nella Regione Puglia e, quindi, non aveva avuto un mercato commerciale consolidato a livello nazionale ed internazionale) – aveva affermato che le opere dello stesso potevano essere valutate commercialmente solo da un punto di vista strettamente personale (vale a dire da una contrattazione commerciale personale e soggettiva tra chi è interessato all’acquisto – tenuto conto delle sue possibilità economiche e dell’utilizzo che vuole fare dell’opera – e l’artista che lo ha eseguito); aveva rilevato che il L., pur avendo esposto in Italia ed all’estero, aveva avuto una popolarità esclusivamente nel territorio pugliese, con un mercato altrettanto limitato a tale zona; aveva accertato che il dipinto smarrito era apparso in un solo catalogo, peraltro relativo ad una mostra collettiva, e che la galleria interessata non era stata in grado di esprimere alcuna valutazione (nonostante avesse trattato altre opere dello stesso autore); ed aveva concluso affermando che il quadro “vista la tecnica, il soggetto e le dimensioni”, nel 2007, poteva avere un valore commerciale tra 1000 e 1500 Euro.

La Corte territoriale ha osservato che il perito aveva effettuato numerose indagini sia presso gallerie di arte contemporanea nazionale, che avevano escluso di conoscere o di aver trattato opere del L.; sia presso siti internet, anche di carattere internazionale, di informazione di mercato dell’arte, anch’esse con esito sostanzialmente negativo, con la sola eccezione costituita dalla messa all’asta presso la casa Fabiani in Montecatini Terme in data 3/3/2011 di due opere del L. (salvo precisare che la basa d’asta era stata ad offerta libera e che non vi era stata alcuna offerta, per cui entrambi i dipinti erano rimasti invenduti). Ha preso in considerazione l’assunto della società odierna ricorrente (secondo la quale il dipinto avrebbe dovuto essere assimilato ad un mero oggetto di arredamento, che, anche all’epoca poteva avere un valore non superiore ad Euro 200), ma lo ha disatteso, rilevando che si trattava pur sempre di un’opera artistica, la cui natura sarebbe stata così azzerata senza alcuna ragione. Ha determinato in Euro 1000 il valore commerciale del dipinto, cioè in somma pari al valore commerciale minimo indiato dal ctu, tenuto conto della successiva notoria flessione del mercato.

In definitiva, la motivazione della sentenza impugnata, in quanto adeguata e non violativa di nessun principio affermato da questa Corte, supera positivamente il controllo di legittimità ad essa demandato.

2.2. Parimenti infondati sono anche i motivi concernenti la regolamentazione delle spese processuali.

In primo luogo va precisato che non è ravvisabile la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, avuto riguardo a quanto sopra già rilevato.

Ma non è ravvisabile neppure il vizio di violazione delle disposizioni denunciate, in quanto, in tema di spese processuali, la decisione del giudice di merito è censurabile sotto il profilo della violazione di legge solo nel caso in cui le spese siano poste, in tutto o in parte, a carico della parte totalmente vittoriosa, ed allorquando sia stato violato il principio dell’inderogabilità della tariffa professionale o vi sia stato il mancato riconoscimento di spese asseritamente documentate (Cass. 21-1-05, n. 1313; Cass. 23-803, n. 12413).

Invero, la Corte territoriale ha posto le spese a carico della società (che non è risultata totalmente vittoriosa, essendo risultata soccombente nell’an e, parzialmente, nel quantum); e nel ricorso non è oggetto di censura il principio di inderogabilità della tariffa professionale ed il riconoscimento di spese documentate.

D’altronde la Corte ha correttamente liquidato i compensi relativi al giudizio di primo grado, applicando i valori medi previsti dal D.M. n. 247 del 2012 (rimanendo così esonerata dall’onere di specificare i criteri di liquidazione applicati, onere che sarebbe ricorso soltanto nel caso in cui lo stesso si fosse discostata dai parametri medi) per lo scaglione tariffario relativo alle cause di valore fino ad Euro 25 mila (coincidente con lo scaglione più basso) e tenendo conto che nella “fase istruttoria” rientrano l’esame dei documenti prodotti e le richieste di prova; mentre ha liquidato i compensi relativi al giudizio di appello sulla scorta del secondo scaglione tariffario previsto dal D.M. n. 54 del 2014 (relativo alle controversie da Euro 1.100,01 ad Euro 5.200), tenendo correttamente conto non soltanto della sorte capitale (pari ad Euro 1000) ma anche degli interessi e rivalutazione maturati dall’evento dannoso sino alla data di proposizione della domanda.

3.AI rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali, sostenute dalla società resistente, nonchè la declaratoria di sussistenza di presupposti per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; e condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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