Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32480 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. III, 12/12/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 12/12/2019), n.32480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4962-2018 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

AVEZZANA, 1, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA MANFREDINI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUSTAVO ORLANDO –

ZON;

– ricorrente –

contro

BANCA DEL TERRITORIO LOMBARDO CREDITO COOPERATIVO SOC COOP;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1023/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 05/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. GIANNITI PASQUALE.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. La Corte di appello di Brescia con sentenza n. 1023/2017, respingendo l’appello proposto da C.D., ha integralmente confermato la sentenza n. 477/2010 con la quale il Tribunale di Brescia, rigettando l’opposizione del C., aveva a sua volta confermato il decreto n. 4566/2008, con il quale aveva ingiunto alla società (OMISSIS) s.r.l. (debitore garantito), nonchè a Z.M. ed al predetto C. (entrambi fideiussori) il pagamento della somma di Euro 252.142,13, oltre alle spese monitorie, in favore della Banca di Credito Cooperativo di Pompiano e Franciacorta s.c.a.r.l.

2. Era accaduto che il C., in qualità di consumatore, nel formulare opposizione al decreto ingiuntivo, aveva eccepito: l’invalidità ex art. 1469 bis e segg. di alcune clausole del contratto di fideiussione, che non erano state oggetto di specifica trattativa; la propria liberazione ex art. 1956 c.c. da tutte le obbligazione sorte in capo alla società debitrice successivamente all’8 gennaio 2008; la nullità della fideiussione per carenza di causa, atteso che la garanzia sarebbe stata pretesa dall’istituto di credito e da lui sottoscritta per il rilascio di un mutuo mai concesso; l’invalidità della fideiussione, in quanto sottoscritta nella convinzione, errata o indotta da comportamento doloso della Banca, che sarebbe stata rilasciata esclusivamente con riferimento ad un erogando mutuo per l’acquisto di un capannone, mai perfezionato. Tanto premesso, l’opponente C. aveva chiesto la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

Si era costituita in giudizio la Banca, contestando in fatto ed in diritto l’opposizione avversaria della quale chiedeva il rigetto, con conferma del decreto ingiuntivo opposto (già divenuto definitivo nei confronti degli altri due coobbligati per effetto della mancata opposizione).

Il Giudice di primo grado, ritenuta la causa matura per la decisione senza necessità di istruzione, invitate le parti a precisare le conclusioni, aveva pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la sentenza n. 466/2010, con la quale aveva rigettato l’opposizione confermando integralmente il decreto ingiuntivo opposto e condannando l’opponente al pagamento delle spese di lite.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado aveva proposto appello il C. articolando tre motivi.

Si era costituita anche nel giudizio di appello la Banca, contestando i motivi di appello e chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.

E la Corte territoriale con la sentenza impugnata, come sopra precisato, ha integralmente confermato la sentenza di primo grado.

3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso il C. proponendo sette motivi.

Nessuna attività difensiva è stata svolta dalla Banca.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il C. ricorre avverso la sentenza impugnata per sette motivi, di cui i primi quattro ed il sesto articolati in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il quinto, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 ed il settimo articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

1.1. Precisamente, il C., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3:

a) con il primo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 1 e comma 2, lett. b della direttiva CEE 93/13 nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto inapplicabile la normativa a tutela del consumatore, in quanto lui era socio (con titolarità del 40% del capitale sociale) della società debitrice principale e, d’altronde, la qualità di quest’ultima (che aveva operato professionalmente) attraeva quella del garante;

b) con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 34, 35 e 36 Codice di consumo nella parte in cui la corte territoriale, esclusa la sua qualità di consumatore, ha ritenuto valide le clausole nn. 6, 7, 8, 9, 10, 12 e 15 del contratto di fideiussione, concluso su modulo predisposto dalla banca;

c) con il terzo motivo, deduce la violazione dell’art. 1957 c.c. nella parte in cui la corte territoriale ha respinto l’eccezione di prescrizione del diritto della banca alla garanzia fideiussoria per il debito di (OMISSIS) maturato alla data dell’8 gennaio 2008 (nella quale lui si era reso fideiussore), essendosi l’ente attivato soltanto una volta decorso il termine semestrale previsto dall’art. 1957 c.c.;

d) con il quarto motivo, deduce la violazione dell’art. 1956 c.c., in quanto non erano state contestate dalla banca due circostanze da lui dedotte fin dalla sua prima difesa (e cioè il fatto che la banca, alla data della stipula della fideiussione, era a conoscenza dell’irreversibile peggioramento delle condizioni economiche di (OMISSIS) srl a far tempo dal 2006; ed il fatto che egli non mai aveva autorizzato la banca a concedere ulteriore credito al debitore principale);

e) con il sesto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 e 1418,1427 c.c., art. 1429 c.c., n. 1 e/o art. 1439 e 2722 c.c., nonchè dell’art. 215 c.p.c., n. 2 nella parte in cui la corte territoriale ha rigettato l’eccezione di invalidità e di nullità della fideiussione per carenza di causa e l’eccezione di vizio del consenso del fideiussore per errore e/o per dolo, in quanto lo stesso si era reso fideiussore della società, credendosi garante per un mutuo che la banca avrebbe dovuto concedere alla società e che non fu mai acceso (e non dello scoperto della società).

1.2. Il C. inoltre, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, con il quinto motivo deduce l’omesso esame del fatto, decisivo e controverso, che egli, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, negli scritti difensivi presentati sia nel giudizio di primo che in quello di secondo grado, aveva allegato circostanze, ex adverso mai contestate: l’aggravamento delle condizioni della società dopo la stipula dell’atto di fideiussione e la consapevolezza da parte della banca del sistematico e progressivo aggravamento della situazione economica della società garantita.

1.3. Infine, con il settimo ed ultimo motivo, il C., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, deduce la nullità della sentenza impugnata per motivazione insufficiente, illogica, perplessa o contraddittoria: a) nella parte in cui ha ritenuto superflua l’assunzione della prova testimoniale che aveva richiesto fin dal primo grado e che non erano state ammesse dal Tribunale per genericità ed irrilevanza; nonchè b) nella parte in cui ha omesso di pronunciare sull’istanza di ammissione di interrogatorio formale del Signor G.S., legale rappresentante dell’istituto di credito (che, a suo dire, avrebbe svolto un doppio ruolo, in quanto, da un lato, quale legale rappresentante di GF srl, avrebbe trattato la vendita di un capannone a (OMISSIS) srl, mentre, dall’altro, quale presidente della banca, avrebbe proposto a detta società un mutuo per consentirle l’acquisto di quel capannone).

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Si premette che la Corte territoriale nella sentenza impugnata:

– ha preso in considerazione la tesi del C., secondo la quale: la (OMISSIS) s.r.l. era una società di capitali, di modestissime dimensioni che, si avvaleva prevalentemente dell’attività lavorativa espletata dai soci come dipendenti, tra i quali per l’appunto anche lui era da annoverarsi, tanto è vero che il suo credito era stato ammesso al privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 1 al passivo fallimentare della società (come dimostrato dalla comunicazione del Curatore del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in data 21.5.2009 allegata all’atto di appello e di cui era stata chiesta l’ammissione in quanto di formazione successiva), ma:

– ha respinto il primo motivo di appello (con il quale il C. si era lamentato che il giudice di primo grado aveva rigettato la sua eccezione di invalidità e inefficacia ex artt. 1469 bis c.c., nn. 2, 3, 16, 17, 18, 19 e n. 20 ter, quater e quinquies, di varie clausole del contratto di fideiussione, mai oggetto di specifica trattativa, sul presupposto che la qualità di socio dell’appellante non consentiva l’applicazione della normativa a tutela del consumatore), argomentando che: a) l’allegazione secondo cui la società avrebbe carattere familiare e l’appellante sarebbe stato dipendente della società, da un lato, era stata sostenuta solo tardivamente in primo grado (in comparsa conclusionale) e non era ricavabile dalla documentazione prodotta in primo grado, e, dall’altro, era smentita dal bilancio prodotto sub doc. 9 del fascicolo monitorio dalla banca appellata (da cui, al contrario, si evinceva, che la società era di dimensioni ragguardevoli); b) in ogni caso, la natura “familiare” della società, quand’anche fosse stata provata, sarebbe stata irrilevante, posto che la disciplina dettata dal codice del consumo si applica soltanto al soggetto persona fisica (e non già alle persone giuridiche, neanche quando si tratti di piccole imprese individuali); c) irrilevante era la circostanza che il C. fosse socio-dipendente della predetta società, in quanto, come già correttamente affermato dal giudice di primo grado, la qualità del debitore principale (la società che ha operato professionalmente) attrae quella del garante; d) proprio per difetto del requisito soggettivo di applicabilità della disciplina delle clausole abusive nei contratti con i consumatori: erano valide ed efficaci tutte le clausole sub 6, 7, 8, 9, 10, 12 e 15 contenute nel contratto di fideiussione, stipulato da un socio a favore della società; era infondata l’eccezione di prescrizione del diritto della Banca alla garanzia fideiussoria per i debiti maturati alla data dell’8 gennaio 2008; e non era decisiva la comunicazione del curatore fallimentare, allegata all’atto di appello;

– ha ritenuto non ammissibile il secondo motivo di appello (con il quale il C. si era lamentato che il giudice di primo grado non aveva recepito la sua domanda di liberazione ex art. 1956 c.c. per tutte le obbligazioni sorte in capo alla società garantita dopo la data dell’8 gennaio 2008, in quanto dall’estratto del 4 luglio 2008 del c/c n. (OMISSIS) non risultava che la Banca già dal 2006 era consapevole del sistematico peggioramento delle condizioni economiche della società), argomentando sul fatto che: a) il C. non aveva censurato in modo completo il ragionamento del giudice di prime cure, posto a base della decisione, circa la mancata allegazione, da parte dell’opponente, dell’aggravamento delle condizioni della società dopo la stipula dell’atto di fideiussione, essendosi limitato, anche in questa sede, a riaffermare la conoscenza, da parte della Banca, dell’aggravamento delle condizioni economiche della società negli anni precedenti la stipula della fideiussione, del tutto irrilevante; b) dalla documentazione in atti non risultava che la Banca aveva fatto ulteriore credito alla società garantita dopo la stipula della fideiussione;

– ha respinto infine il terzo motivo di appello (con il quale il C. si era lamentato che il giudice di primo grado aveva rigettato le eccezioni di invalidità della fideiussione per carenza di causa e di vizio del consenso per errore o dolo, ritenendo generiche o irrilevanti le prove orali all’uopo formulate nell’atto di citazione siccome prive “dell’indicazione di circostanze di tempo e di luogo, e dell’identità dei soggetti che avrebbero prospettato un contenuto della garanzia diverso da quello risultante nel contratto scritto”, nonostante i soggetti fossero esattamente individuati o individuabili, e il tenore e contenuto dei capitoli formulati consentissero di ritenere che i fatti si verificarono in occasione della stipula della fideiussione), argomentando che le articolate prove testimoniali, quand’anche non fossero state generiche, come ritenuto dal giudice di primo grado, in ogni caso erano superflue, in quanto i capitoli di prova formulati, anche se confermati dai testi, non sarebbero stati idonei a dimostrare l’assunto difensivo (secondo cui, si ribadisce, la convinzione di fornire fideiussione solo a garanzia del mutuo sarebbe stata priva di causa e comunque sarebbe stata frutto di errore o indotta dalla condotta ingannatrice della Banca), risultando le circostanze capitolate smentite dal contratto di fideiussione (la cui sottoscrizione il C. non aveva disconosciuto ed il cui contenuto, pertanto, faceva piena prova nei confronti dello stesso sul punto, espressamente previsto, che la fideiussione era stata stipulata a garanzia di tutti i debiti derivanti a carico della società correntista dalle operazioni bancarie in corso e future).

2.2. Tanto premesso, il ricorso è inammissibile, in quanto non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Detta esposizione deve essere tale da consentire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006) Come hanno precisato le Sezioni Unite, la prescrizione del requisito risponde (non ad un’esigenza di mero formalismo, ma) all’esigenza di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte alla sentenza impugnata (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 è necessario che il ricorso contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Nella specie, il ricorso, nell’esposizione del fatto, inammissibilmente non indica: nè le ragioni della controparte; e neppure le ragioni della decisione di primo grado.

2.3. Al rilievo che precede, di per sè dirimente, si aggiungono le ulteriori seguenti considerazioni: a) quanto al motivo primo: nell’opposizione a decreto ingiuntivo e nell’atto di appello, non risulta essere stata fatta questione dell’incidenza nella specie della direttiva CE 93/13, questione che, essendo stata proposta soltanto in sede di comparsa conclusionale d’appello, rappresenta questione nuova, il cui esame è precluso in questa sede; b) quanto al motivo secondo: il ricorrente inammissibilmente non riporta il contenuto delle clausole 10, 12 e 15, che pur pone a fondamento del motivo (assieme ad altre, che riporta); c) quanto ai motivi secondo, terzo, quarto e sesto: il ricorrente, pur evocando formalmente il vizio di violazione di legge, sostanzialmente contesta nel merito la sentenza impugnata (che, si ribadisce, ha respinto il primo ed il terzo motivo di appello e dichiarato inammissibile il secondo) e sollecita a questa Corte un nuovo esame delle risultanze processuali, precluso in sede di legittimità; d) quanto al motivo quinto: il ricorrente evoca il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ma inammissibilmente dimentica che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame ogniqualvolta, come per l’appunto nel caso di specie, il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; e) quanto al motivo settimo: contrariamente a quanto deduce il ricorrente, non si ravvisa alcuna ipotesi di nullità della sentenza, in quanto la Corte territoriale ha motivato sulla mancata ammissione delle prove testimoniali e le argomentazioni da essa svolte, insindacabili nel merito, operano implicitamente anche in relazione alla mancata ammissione dell’interrogatorio formale sui medesimi capitoli.

3. Alla inammissibilità del ricorso, non essendo stata svolta attività difensiva da parte dell’istituto di credito intimato, non consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, ma consegue la declaratoria di sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Nulla sulle spese in assenza di attività difensiva da parte intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

 

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