Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32466 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 15/11/2018, dep. 14/12/2018), n.32466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6758/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

RV di Rinaldi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, come da procura speciale in calce

al ricorso, dall’Avv. Claudio Lucisano, elettivamente domiciliata

presso il suo studio, sito in Roma, Via Crescenzio n. 91;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, n. 19/34/2011, depositata il 14 marzo 2011.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 novembre

2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La RV Di Rinaldo s.r.l. presentava istanza di condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, artt. 9 e 9 bis, con riferimento agli anni 1997-2001, ma provvedeva al pagamento solo della prima rata di Euro 6.000,00 in data 16 maggio 2003, mentre ometteva il versamento della seconda rata di Euro 1.323,00.

In data 25 maggio 2004 la contribuente, avvalendosi della proroga di cui al D.Lgs. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2, presentava una seconda domanda di condono, per gli anni 2003 e 2004, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, nella quale includeva, quale versamento ancora dovuto, anche la seconda rata relativa alla prima istanza di condono che non era stata pagata, provvedendo poi al pagamento di quanto dovuto.

2. L’ufficio, quindi, notificava il provvedimento di diniego della definizione degli omessi o ritardati pagamenti ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis e procedeva con l’accertamento automatico ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, con emissione di cartella di pagamento.

3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso della società, in quanto la cartella non era stata preceduta dall’avviso bonario di irregolarità, pur in presenza dì incertezza su aspetti rilevanti delle due dichiarazioni di condono (erano originate ben sei iscrizioni a ruolo), con sentenza confermata dalla Commissione tributaria regionale evidenziando che sussistevano i presupposti per l’invio della comunicazione di irregolarità a seguito del controllo automatico del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, che le dichiarazioni di adesione al condono erano due, con inserimento nella seconda del mancato versamento della rata indicata nella prima dichiarazione, che sussistevano “incertezze” rilevanti tali da imporre la comunicazione preventiva anche tenendo conto che l’Agenzia aveva considerato valida la seconda domanda di condono pure se vi era una eccedenza di versamento costituita, appunto, dalla rata precedente. La Commissione regionale rigettava la censura in ordine al difetto di motivazione della cartella.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

5. Resisteva la società con controricorso, contenente ricorso incidentale.

6. L’Agenzia delle entrate proponeva controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “Violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, nonchè falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6,comma 5”, in quanto la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, prevede l’obbligo di inviare la comunicazione di irregolarità solo nei casi in cui sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, mentre, nella specie, la cartella del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, scaturisce da “liquidazione” di dati dichiarati e non emendati dalla stessa contribuente.

1.1. Tale motivo è fondato.

Invero, la comunicazione di irregolarità deve essere inviata dalla Agenzia delle entrate solo nel caso in cui vi siano “incertezze” su “aspetti rilevanti” (Cass. Civ., 24 gennaio 2018, n. 1711; Cass. Civ., 112 aprile 2017, n. 9463). Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, prevede, infatti, che “quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione…l’esito della dichiarazione è comunicato al contribuente…per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”.

La L. n. 212 del 2000, art. 6 comma 5, dispone, poi, che “prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente…a fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta…”.

Il D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2(riscossione delle somme dovute a seguito dei controlli automatici) dispone, poi, che “L’iscrizione a ruolo non è eseguita…se il contribuente…provvede a pagare le somme dovute…entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai commi 3 dei predetti artt. 36 bis e 54 bis…”.

Non deve essere inviata, però, la comunicazione di irregolarità quando vi è stata solo omissione del versamento dovuto in base alla autoliquidazione dell’imposta (Cass. Civ., 26 settembre 2017, n. 22383), nè in caso di mero ritardo nel versamento (Cass. Civ., 10 giugno 2015, n. 12023).

In caso di omesso o tardivo versamento non spetta, poi, la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2 (Cass. Civ., 6 luglio 2016, n. 13759), in quanto l’interessato può, comunque, pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella, sempre che quella comunicazione sia dovuta.

Nella specie, non vi è alcuna incertezza su “aspetti rilevanti”, in quanto per giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, cui questa Corte intende conformarsi, è inammissibile il “condono” sul “condono” (Cass. Civ., 19 gennaio 2018, n. 1317; Cass. Civ., 3 ottobre 2006, n. 21328; Cass. Civ., 28 dicembre 2011, n. 29217; Cass. Civ. Sez. Un., 25 luglio 2007, n. 16412; Cass. Civ., 24 ottobre 2011, n. 22065, ove si è affermato che la definizione agevolata di cui alla L. n. 389 del 2002, art. 9 bis, non può avere ad oggetto le rate di una precedente istanza di definizione, presentata ai sensi della medesima norma, rimaste insolute, e quindi, si ritiene, a maggior ragione, se presentata ai sensi di un’altra norma, come nella specie della stessa legge, art. 9).

Infatti, si è affermato che presupposto necessario per l’adesione al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, è, come si ricava dal tenore testuale della norma, il ritardo o l’omissione di pagamenti risultanti dalle dichiarazioni annuali, non anche il ritardo o l’omissione di pagamento relativi ad altro e diversi condono (nella specie quello di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, cd. condono tombale). Nè l’art. 9 bis citato può essere applicato in via analogica in modo da permettere la definizione dei ritardati od omessi pagamenti relativi ad altri e diversi condoni (Cass. Civ., 19 gennaio 2018, n. 1317), sia perchè non v’è vuoto normativo (in presenza della suddetta legge, art. 9, comma 12), sia perchè non v’è identità di ratio che sola consente l’applicazione analogica. La ratio del condono è, infatti, quella di recuperare risorse finanziarie e di ridurre il contenzioso, nel rispetto degli artt. 3 e 53 Cost., conferendo carattere di stretta interpretazione alle norme sul condono (Cass. Civ., 29 novembre 2013, n. 26767; Cass. Civ., SS.UU., 6 luglio 2017, n. 16692). Nel caso in cui si consentisse di applicare le norme in tema di condono anche per debiti nei confronti dell’erario derivanti da precedenti condoni, si sacrificherebbero eccessivamente i principi di uguaglianza davanti al Fisco, di ragionevolezza, di certezza del diritto e del dovere di tutti di contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, perchè il contribuente verrebbe irragionevolmente ad usufruire due volte, per la stessa imposta, di un atto clemenziale dettato da contingenti ed eccezionali esigenze finanziarie e di carico giudiziario, che verrebbero ad assumere un peso eccessivo nel delicato bilanciamento di valori con i citati artt. 3 e 53 Cost., oltretutto con un discutibile ed assai evanescente contributo proprio alle suddette esigenze finanziarie dello Stato, in ragione dell’esiguità della somma recuperata dal Fisco, falcidiata da un doppio condono, e della ragionevole durata dei processi. La cospicua giurisprudenza di legittimità ed anche costituzionale (Corte Cost. 247 del 2011) sul punto, dimostrano che non vi era incertezza su aspetti rilevanti, tale da precludere l’utilizzo dell’accertamento automatico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis.

2. Con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate si duole di “error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2”, in quanto la Commissione regionale non ha pronunciato sulle altre censure mosse alla sentenza di primo grado, ed in particolare sul fatto che la contribuente aveva provveduto “in modo del tutto arbitrario e illegittimo a inserire l’omesso versamento della rata di condono della L. n. 289 del 2002, ex art. 9, in un’altra dichiarazione di condono, quella di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis”. Inoltre, contestando la motivazione della sentenza di primo grado che aveva sostenuto che “la parcellizzazione del credito ” costituisse una inammissibile vessazione verso il debitore, l’Agenzia evidenziava che le liquidazioni automatizzate dei condoni della L. n. 289 del 2002, ex artt. 9 e 9 bis, erano avvenute in modo separato, trattandosi di tipologie di definizioni distinte e autonome, non essendo peraltro possibile l’ipotesi di un condono sul condono.

2. Tale motivo è assorbito, in ragione dell’accoglimento del primo motivo, che comporta la cassazione della sentenza della Commissione regionale.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale la società si duole della “violazione e mancata applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5; violazione e mancata applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1; violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis; violazione e mancata applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a; denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., n. 3”, deducendo che la Commissione regionale ha rigettato la censura in ordine al difetto di motivazione della cartella emessa, in quanto supportata dalla sintetica indicazione degli elementi sulla base dei quali era stata effettuata l’iscrizione a ruolo. In realtà, secondo la società, la cartella era supportata dalla “descrizione” così enucleata “irregolarità relativa ai versamenti successivi al primo (omissione/carenza/tardività/compensazione indebita)”, quindi stereotipata e valida per tutti i ruoli, senza indicazione della data iniziale da cui computare gli interessi.

3.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la cartella di pagamento, nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere motivata; tuttavia, nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo nella propria dichiarazione, nonchè qualora vengano richiesti interessi e sovrattasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima (Cass. Civ., 7 giugno 2017, n. 14236; Cass. Civ., 25527/2018).

Nella specie, peraltro, la motivazione della cartella è sufficientemente chiara, in quanto si fa riferimento proprio all’omesso versamento di una delle rate del primo condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9.

Quanto agli interessi, nella cartella si legge “cui vanno aggiunti gli interessi di mora per ogni giorno di ritardo”, nonchè “applicazione della sanzione del 30%…e degli interessi legali, come previsto dalla L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9”.

4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la società lamenta la “violazione e mancata applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6; violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8; denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto l’Agenzia delle entrate ha indebitamente duplicato la richiesta di un pagamento già effettuato dalla contribuente, che aveva versato la seconda rata relativa al primo condono, successivamente con la dichiarazione integrativa di condono, non ricorrendo, peraltro, le condizioni per l’applicazione delle sanzioni. La Commissione regionale “non si esprime sul punto”.

4.1. Tale motivo è infondato.

Invero, pur dovendosi evidenziare che la censura di omessa pronuncia deve essere censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, da un lato, si rileva che l’istanza di adesione al condono, non essendo una dichiarazione di scienza, ma una dichiarazione di volontà, è irretrattabile (Cass. Civ., 26 settembre 2018, n. 22966; Cass. Civ., 28 giugno 2018, n. 17141), sicchè la contribuente avrebbe dovuto pagare anche la seconda rata relativa al primo condono, nei tempi stabiliti dalla normativa relativa, e dall’altro, che comunque, l’Agenzia delle entrate ha poi disposto provvedimento di sgravio in ordine all’importo della seconda rata di Euro 1.323,00 “ferma restando la debenza delle altre somme iscritte a ruolo a titolo di sanzioni”.

Quanto alla “erronea imputazione delle sanzioni in quanto non ricorrono più di una delle condizioni di non punibilità (trattasi dei profili indicati al punto 2, lett. 2.1., 2.2., del ricorso introduttivo)”, si rileva il difetto di autosufficienza del motivo che si limita ad affermare in modo del tutto generico l’esistenza di condizioni di non punibilità riferite alle sanzioni, senza neppure allegarne il contenuto, limitandosi ad un mero rinvio a singoli paragrafi del ricorso introduttivo di primo grado.

5. Con il terzo motivo di ricorso incidentale la società deduce “Violazione e mancata applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10: violazione e mancata applicazione dell’art. 111 Cost.; violazione e mancata applicazione art. 24 Cost.; denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 e art. 260 c.p.c., n. 3”, in quanto vi è stato un particolare “accanimento” dell’Ufficio nei confronti della società, con notifica di sei cartelle esattoriale.

5.1. Tale motivo è infondato.

Invero, l’emissione di sei cartelle di pagamento si è resa necessaria ed è stata conseguenza automatica del controllo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in quanto la società ha prima aderito al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, per gli anni 1997 e 1998, e poi, non avendo pagato la seconda rata, l’ha inserita all’interno del nuovo condono, a termini prorogati, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, procedendo alla attivazione di un illegittimo condono sul condono.

6. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatti, può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso originario della contribuente.

7. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della società controricorrente, in base al principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo. Le spese dei gradi di merito vanno compensate interamente tra le parti per la peculiarità della controversia.

PQM

In accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, rigettato il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente.

Condanna la società a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 1.161,00, oltre spese prenotate a debito. Compensa interamente tra le parti le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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