Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32464 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 15/11/2018, dep. 14/12/2018), n.32464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6202/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

C.F.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Basilicata, n. 21/2/2011, depositata il 20 gennaio 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 novembre

2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di C.F. avviso di recupero del credito d’imposta di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8, in quanto il contribuente non aveva provveduto a comunicare all’Ufficio, nel termine perentorio stabilito i dati necessari per la ricognizione degli investimenti.

2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, con sentenza riformata dalla Commissione regionale che, in accoglimento dell’appello del contribuente, evidenziava che il diritto al contributo era stato conseguito il 7 luglio 2002, alla data di emissione delle fatture di acquisto dei beni, quindi nei termini di legge, mentre il mancato invio del modello CVS non poteva legittimare l’Ufficio al recupero del credito di imposta in quanto tale diritto, già acquisito dal contribuente, non poteva essere oggetto di successiva revoca.

3. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

4. Restava intimato il contribuente, nonostante la regolarità della notifica.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, del D.L. n. 253 del 2002, art. 1 e della L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1, lett. A); omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”, in quanto la mancata comunicazione, entro il termine perentorio del 28 febbraio 2003, del modello CVS, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1, lett. a, comporta la decadenza dal beneficio, anche se nel rispetto del termine si sia provveduto all’acquisto del bene oggetto del finanziamento.

1.1. Tale motivo è fondato.

Invero, per giurisprudenza consolidata di legittimità, cui questa Corte intende aderire, l’imprenditore ammesso a beneficiare, ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, dei contributi, concessi sotto forma di credito d’imposta, per l’effettuazione di nuovi investimenti nelle aree svantaggiate del Paese, decade da tale beneficio ove abbia omesso di presentare (come previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, lett. e)), nel termine del 28 febbraio 2003, la comunicazione telematica avente ad oggetto le informazioni sul contenuto e la natura dell’investimento effettuato (cosiddetto “modello CVS”) essendo il suddetto termine previsto dall’art. 62 cit. a pena di decadenza, e non avendo, altrimenti, alcun senso la sua previsione ove il beneficio del contributo fosse subordinato alla realizzazione dell’investimento, e non anche all’invio della comunicazione telematica (Cass. Civ., 13 febbraio 2009, n. 3578; Cass. Civ., 12 agosto 2015, n. 16711; Cass. Civ., 21090/2018).

Si è anche chiarito che non assume rilievo la circostanza che il provvedimento del Direttore sia stato emesso in data tale da non consentire al contribuente di disporre, rispetto alla predetta scadenza, del termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 3, per le norme che introducono adempimenti tributari, in quanto l’interessato è stato posto nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità della scadenza del termine per adempiere il suo onere di comunicazione fin dal 13 novembre 2002, data di pubblicazione del D.L. 12 novembre 2002, n. 253, ed il suddetto termine legale non è, comunque, superabile con una diversa previsione di natura amministrativa (Cass. Civ., 19627/2009; Cass. Civ., 19692/2012).

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo alla disposizione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 62,comma 1, lett. a, sono state ritenute dalla Corte costituzionale o manifestamente infondate (Corte Cost., 7 giugno 2007, n. 180; Corte cost., 24 marzo 2006, n. 124) o inammissibili (Corte cost., 5324/2012).

2. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

3. Le spese dei gradi di merito vanno compensate interamente tra le parti, mentre le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’intimato, in ragione della soccombenza.

PQM

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Dichiara compensate le spese dei gradi di merito. Condanna l’intimato a pagare in favore dell’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 1.300,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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