Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32458 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 15/11/2018, dep. 14/12/2018), n.32458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5300/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

P.S.M.S., rappresentata e difesa dall’avv.

Alessandra Stasi, con domicilio eletto in Roma, viale Regina

Margherita n. 262, presso lo studio dell’avv. Luigi Marsico.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, sezione n. 25, n. 252/25/11, pronunciata il 28 giugno 2011,

depositata il 4 luglio 2011.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 novembre

2018 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

1. l’Agenzia delle entrate ricorre, con due motivi, nei confronti di P.S.M.S., che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia (in seguito: CTR), in epigrafe, che – in controversia relativa all’impugnazione di avvisi di accertamento IRPEF, addizionale regionale e addizionale comunale, per gli anni 2001-2005, che recuperavano a tassazione redditi accertati sinteticamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, non avendo reputato sufficienti le giustificazioni della contribuente su alcuni incrementi patrimoniali – ha rigettato l’appello dell’Ufficio ed ha accolto l’appello incidentale della contribuente;

2. il giudice di secondo grado, per quanto ancora rileva, relativamente all’acquisto delle quote della Confiance Invest. Srl, ha escluso che l’attività accertatrice potesse fondarsi su presunzioni di secondo grado e, quindi, muovendo dal dato certo (risultante dal contratto d’acquisto) che la contribuente aveva acquistato quelle partecipazioni al prezzo di Euro 94.710,00 (con ciò disattendendo la tesi dell’Agenzia che aveva determinato, per presunzioni, il vero corrispettivo in Euro 291.407,00), ha negato che quell’acquisizione patrimoniale fosse un indice presuntivo di redditi non dichiarati;

ha affermato, inoltre, che la contribuente aveva fornito adeguate giustificazioni in merito all’acquisto, nel 2006, di quote della Sinter Srl, al prezzo di Euro 175.000,00, avendo dimostrato di avere pagato, al momento dell’acquisto, solo Euro 40.220,00, e di essersi obbligata a saldare il prezzo negli anni successivi;

alla stregua di tali elementi di fatto, la CTR ha concluso che la parte sottoposta ad accertamento aveva dimostrato l’inesistenza di incrementi patrimoniali ingiustificati, anche perchè aveva provato, per tabulas, di avere compiuto, negli anni 2001-2005, una serie di dismissioni e di acquisizioni di partecipazioni societarie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e ss., artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto la CTR ha affermato che l’accertamento sintetico, pervenendo ad un elemento presunto, quale l’ammontare del maggior reddito non dichiarato, deve fondarsi su dati certi, per il divieto della doppia presunzione e, conseguentemente, ha disconosciuto la legittimità dell’azione accertatrice imperniata – a giudizio della CTR – sulla ricostruzione, a mezzo di presunzioni, del prezzo reale di acquisto delle quote di Sinter Srl;

al riguardo, l’Agenzia rimarca l’errore di diritto della sentenza d’appello che avrebbe trascurato che il c.d. divieto di doppia presunzione ricorre unicamente quando l’azione accertatrice è ancorata a presunzioni semplici e non, com’è accaduto nella specie, quando almeno una presunzione abbia valore legale;

1.1. il motivo è fondato;

1.1.1. s’intende dare continuità all’orientamento della Corte che, in passato, occupandosi del tema del decidere, ha affermato che: “Il divieto di doppia presunzione (cd. “praesumptio de praesumpto”) attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice, ma non con altra presunzione legale (…)” (Cass., 24 luglio 2013, n. 17953);

più di recente è stato precisato che: “Premesso che per giurisprudenza consolidata di questa Corte il divieto di doppia presunzione non si applica quando nella sequenza uno dei fatti oggetto di prova è legalmente accertato – presunzione legale – (cfr. Corte Sez. 5, Sentenza n. 27032 del 21 dicembre 2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 17953 del 24 luglio 2013), osserva il Collegio che la formula espressiva appare spesso abusata, venendo ad occultare il giudizio di insufficienza del grado di probabilità che fonda la relazione di inferenza logica: se infatti la presunzione semplice è correttamente raggiunta, allora si è pervenuti alla prova di un fatto che deve essere considerato “certo”, ed in quanto tale bene può costituire premessa di una successiva presunzione logica.” (Cass. 25 marzo 2015, n. 5963);

da ultimo, la Corte ha ribadito il concetto che il divieto di doppia presunzione (c.d. “praesumptio de praesumpto”) attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice, ma non con altra presunzione legale e, anzi, si è spinta, persino, a mettere in dubbio l’esistenza stessa di un simile principio giuridico, non rinvenendone, nell’ordinamento, l’effettivo sostrato normativo (cfr. Cass. 16 giugno 2017, n. 15003, secondo cui: “In tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio “praesumptum de praesumpto non admittitur” (o “divieto di doppie presunzioni” o divieto di presunzioni di secondo grado o a catena) sia perchè tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c. nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perchè, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicchè non ricorrerebbe nel caso di specie.”);

in questa vicenda tributaria, la sentenza d’appello afferma che, a causa del divieto della doppia presunzione, l’accertamento sintetico del reddito complessivo della contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, in ragione della sua natura presuntiva, non poteva partire dalla ricostruzione, in via presuntiva, del prezzo d’acquisto di una quota societaria, ma avrebbe dovuto necessariamente prendere le mosse da un “fatto noto” (o, come si esprime la CTR, un “fatto certo”), come il prezzo di acquisto della partecipazione indicato in contratto;

la CTR, quindi, non si è conformata al suaccennato principio di diritto, per il quale il c.d. divieto di doppia presunzione (ammesso che lo si reputi esistente) certamente non opera quando si realizza una correlazione tra una presunzione semplice (nel caso in esame: il prezzo di acquisto della quota societaria) e una presunzione legale (l’accertamento sintetico, ex art. 38 cit., del reddito generale della persona fisica desunto dalle spese per incrementi patrimoniali);

2. con il secondo motivo, sotto la rubrica: “Difetto di motivazione, ex art. 300 c.p.c., n. 5, in ordine alla mancata dimostrazione della fonte dei proventi monetari di acquisto delle partecipazioni nel capitale sociale della Sinter s.r.l. per l’importo di Euro 175.000,00”, l’Agenzia lamenta che la sentenza d’appello: “sia incorsa in palesi errori di diritto e di valutazione dei fatti di causa” nel ritenere che solo una parte del corrispettivo, per un ammontare di Euro 40.220,00, era stata pagata contestualmente alla cessione (nel 2006) e che la contribuente si era obbligata a saldare il prezzo negli anni successivi;

2.1. il motivo è fondato;

e, invero, sul piano generale, il creditore, rilasciando quietanza al debitore, ammette il fatto del ricevuto pagamento e rende confessione stragiudiziale alla parte, con piena efficacia probatoria, ai sensi degli artt. 2733 e 2735 cod. civ. (Cass. 21 febbraio 2014, n. 4196);

tornando alla controversia, è incontestato che, nel contratto notarile di cessione di quote societarie, la parte venditrice abbia rilasciato quietanza alla contribuente (cessionaria delle quote) d’integrale pagamento del prezzo; inoltre, è pacifico che, nell’atto di cessione, non si faccia menzione del pagamento del prezzo anche a mezzo del rilascio di cambiali;

appare, pertanto, lacunosa e insufficiente la motivazione della CTR che, trascurando il tenore del contratto di cessione, ha ricostruito diversamente la vicenda negoziale e ha ipotizzato, appunto, che la contribuente, all’atto dell’acquisto delle quote societarie (19 luglio 2006), avesse versato in contanti solo Euro 40.220,00, impegnandosi a saldare il debito residuo negli anni seguenti, anche mediante il rilascio di cambiali;

3. in definitiva: il ricorso va accolto e la sentenza va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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