Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32453 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 14/11/2018, dep. 14/12/2018), n.32453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 6044 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

T.R., rappresentata e difesa, giusta procura speciale a

margine del ricorso, dall’avv.to Tullio Mautone, elettivamente

domiciliato presso lo studio legale – commerciale “Sorrentino”, in

Roma alla Via A. Emo, n. 144;

-ricorrente-

Contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, e Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

Agenzia delle entrate – Direzione Provinciale di Salerno – in persona

del Direttore pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

centrale, sezione di Napoli, n. 73/14/11 depositata in data 17

gennaio 2011, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14 novembre 2018 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 73/14/11 depositata in data 17 gennaio 2011, non notificata, la Commissione tributaria centrale, sezione di Napoli, accoglieva il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di T.R. avverso la sentenza n. 63/03/1990 della Commissione tributaria di secondo grado di Salerno che, previa riunione dei ricorsi, aveva confermato le sentenze della Commissione Tributaria di primo grado di Salerno che aveva parzialmente accolto i ricorsi della contribuente avverso gli avvisi di rettifica n. (OMISSIS) e (OMISSIS) con i quali veniva recuperata nei confronti di quest’ultima, imprenditore edile, la differenza tra l’Iva ad aliquota ordinaria e quella, esposta nelle fatture, ad aliquota agevolata del 2%, sul presupposto della non usufruibilità dei benefici fiscali di cui alla L. n. 891 del 1980;

– la Commissione tributaria di secondo grado di Salerno, nel confermare le decisioni di primo grado di annullamento del rilievo (n. 2) degli avvisi di accertamento concernente il recupero della maggiore imposta per intervenuta decadenza dal beneficio fiscale ex lege n. 891 del 1980, osservava come mancava agli atti la prova della detta decadenza dovendo essere quest’ultima dichiarata dall’Intendenza di Finanza;

– la Commissione Tributaria centrale, in punto di diritto, per quanto di interesse, osservava che la decadenza dal beneficio fiscale non doveva essere dichiarata dall’Intendenza di finanza, essendo legata all’esistenza di difformità edilizie che, nella specie, erano state certificate dal Sindaco del Comune in cui erano ubicati gli immobili;

– avverso la sentenza della CTC, la contribuente, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistono, con controricorso, il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate; rimane intimata l’Agenzia delle entrate-Direzione Provinciale di Salerno;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della costituzione del Ministero dell’Economia e delle finanze, non risultando nei confronti di quest’ultimo prova della notifica del ricorso per cassazione nonchè l’inammissibilità della costituzione dell’Agenzia delle entrate per essere stato il controricorso notificato oltre i termini di legge;

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 46, in combinato con la medesima legge, art. 15, per avere la CTC erroneamente dichiarato la decadenza della contribuente dalle agevolazioni fiscali, in ragione della sussistenza di difformità edilizie certificate dal Sindaco, ancorchè l’intervenuta approvazione della “variante in sanatoria” aveva determinato, ex art. 46, comma 4, cit., l’automatica cessazione dei provvedimenti di revoca o di decadenza previsti dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41-ter, introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 15;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 1150 del 1942, art. 41-ter, per avere la CTC fondato l’asserita decadenza della contribuente dai benefici fiscali di cui alla L. n. 891 del 1980 su una presunta esistenza di difformità edilizie certificate dal Sindaco, senza verificare, alla luce delle risultanze processuali, la sussistenza delle particolari difformità indicate dall’art. 41-ter, comma 1, cit. nonchè la misura delle stesse (attesa la esclusiva rilevanza ai fini della esclusione delle agevolazioni fiscali in questione, del superamento della soglia fissata dal comma 1), mancando, nella specie, ogni contrasto tra i dati della iniziale concessione edilizia e quelli della intervenuta variante in sanatoria;

– i motivi di ricorso – da trattare congiuntamente per connessione sono inammissibili;

– in via preliminare va ricordato che (Cass., trib., 23 novembre 2005 n. 24576; cfr., altresì, trib., 20 maggio 2005 n. 10646) “le norme agevolative tributarie costituiscono delle disposizioni eccezionali non estensibili a fattispecie diverse da quelle discrezionalmente contemplate dal legislatore”: siffatta specie di norme, quindi (Cass., trib., 15 marzo 2004 n. 5260), è inapplicabile “oltre i casi e i tempi espressamente considerati” (quand’anche “questo” non escluda “che anche le norme eccezionali possono essere suscettibili di interpretazione estensiva”, la quale, però, “presuppone che secondo la volontà del legislatore i termini utilizzati da quest’ultimo abbiano, in realtà, un significato più ampio di quello proprio delle parole”). L’applicazione dell'”aliquota agevolata in materia di IVA”, quindi (Cass., trib., 9 maggio 2003 n. 7124), costituisce “un’eccezione alle normali disposizioni in materia di aliquota ordinaria” e per la sua “applicazione” il “contribuente che deve provare l’esistenza dei presupposti” richiesti dalla legge; specificamente (Cass., trib., 10 giugno 2008 n. 15299): in ipotesi, quale quella in esame, di “agevolazioni (come la riduzione di aliquota in presenza di circostanze particolari considerate da apposite norme)”, il contribuente “è tenuto in ogni caso a fornire la prova di sussistenza delle condizioni previste dalla legge agevolatrice” (Cass. n. 9143/2005; n. 9385/09);

– per la L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 ter, comma 1 (“legge urbanistica”) articolo aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 15; successivamente abrogato dal D.P.R. n. 380 del 2001, già citato art. 136, comma 2, lett. b), “le opere iniziate dopo l’entrata in vigore della legge, senza la licenza o in contrasto con la stessa, ovvero sulla base di licenza successivamente annullata, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti nè di contributi o altre provvidenze dello Stato o di Enti pubblici”. Per effetto di tal norma, quindi, (1) il rilascio di una licenza (o concessione) e (2) l’assenza di quel “contrasto con la stessa” definito in prosieguo dalla medesima disposizione (come ricordato nello scrutinio del secondo motivo del ricorso principale) costituiscono condizioni indefettibili per beneficiare delle “agevolazioni fiscali previste”;

– della L. n. 47 del 1985, art. 46, – art. abrogato dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 136, comma 2 – al comma 4, dispone (va) che “il rilascio, ai sensi delle disposizioni di cui al precedente capo 4^, della concessione e della autorizzazione in sanatoria, per le opere o le parti di opere abusivamente realizzate, produce automaticamente, qualora ricorrano tutti i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni agevolative, la cessazione degli effetti dei provvedimenti di revoca o di decadenza previsti dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 15”. Per testuale previsione della norma, quindi, l’automatica “cessazione degli effetti dei provvedimenti di revoca o di decadenza previsti dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 15” (cioè dei provvedimenti di decadenza “previsti” dall’art. 41 ter della “legge urbanistica”) discende unicamente dal “rilascio” (“per le opere o le parti di opere abusivamente realizzate”) “della concessione e della autorizzazione in sanatoria”: per costante giurisprudenza di questa Corte (Cass., 1^: 11 maggio 1998, n. 4729; 12 novembre 1996, n. 9907; 2 novembre 1995, n. 11402; 17 gennaio 1995, n. 489; 15 settembre 1992, n. 10533; 17 luglio 1992, n. 8690), la sopravvenienza, in corso del giudizio, di concessione edilizia in sanatoria, determina automaticamente il venir meno degli effetti della revoca del beneficio e comporta la cessazione dell’efficacia dell’atto impositivo e la consequenziale cessazione della materia del contendere (Cass. n. 9385 del 2009);

– premesso quanto sopra, con entrambi i motivi – con i quali sono dedotti, in sostanza, la mancata considerazione da parte della CTC della intervenuta variante in sanatoria, regolarmente approvata, con automatica cessazione della decadenza della contribuente dal beneficio fiscale in questione (primo motivo) e la mancata considerazione della inesistenza di alcun contrasto tra i dati della iniziale concessione edilizia e quelli della successiva variante in sanatoria (secondo motivo) – la ricorrente, in difetto del principio di autosufficienza, oltre a non avere riprodotto in ricorso per le parti rilevanti gli atti dei giudizi di merito (ricorso introduttivo e memorie di controdeduzioni in secondo grado e dinanzi alla commissione tributaria centrale) non ha riprodotto o riassunto il contenuto del provvedimento di variante in sanatoria sul quale fonda le dette censure impedendo a questa Corte di verificarne il fondamento; ciò in quanto è insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “Il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 743 del 2017; n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10);

– in ogni caso, per entrambi i motivi, trova applicazione il principio secondo cui “è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass., sez. 6 – 3, n. 8758 del 2017);

– invero, con entrambi i motivi, la ricorrente pur denunciando, apparentemente, violazione di legge della sentenza della CTC, chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto (quali la sopravvenienza di variante in sanatoria e l’inesistenza di alcun contrasto tra i dati della iniziale concessione edilizia e quelli della successiva variante) non censurabili in questa sede, mostrando di anelare ad un’inammissibile rivisitazione tanto del contenuto dei fatti storici quanto delle valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di merito;

– in conclusione, il ricorso va rigettato; nulla sulle spese del giudizio di legittimità, essendo inammissibile la costituzione dei contro ricorrenti.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso;

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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