Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32446 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 02/07/2018, dep. 14/12/2018), n.32446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26673/2011 R.G. proposto da:

S.V.V. rappresentato e difeso da sè stesso,

Avvocato, e anche dall’Avv. Prof. Nino Paolantonio, elettivamente

domiciliato nel presente giudizio presso lo studio Clarizia in Roma

via Principessa Clotilde n. 2 giusta delega in atti, poi anche

dall’Avv. Prof. Federico Martorano come da ulteriore procura ad

litem depositata in data 22 giugno 2018;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD s.p.a. quale incorporante di EQUITALIA POLIS s.p.a. in

persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa giusta delega in atti dall’avv. Michele di Fiore e con

domicilio eletto in Roma alla via Ottaviano n. 42 presso e nello

studio dell’avv. Bruno Lo Giudice;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 346/50/10 depositata il 2 novembre 2010, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 2

luglio 2018 dal consigliere Roberto Succio;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto

Procuratore Generale Basile Tommaso che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure rigettava l’appello del contribuente avverso la sentenza di primo grado che aveva confermato la legittimità della cartella di pagamento impugnata, relativa ad IVA, IRPEF e IRAP 2002;

– con tal atto l’Erario per il tramite del concessionario per la riscossione richiedeva il pagamento di somme dovute in forza di dichiarazione mod. 770 e di mod. unico, derivanti da controllo automatizzato del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, oltre a sanzioni e interessi, per un totale di Euro 553.332,94, quali somme regolarmente dichiarate ma non versate;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato a quattro motivi; resistono le controparti con controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– osserva dapprima la Corte, quanto al controricorso del Concessionario della riscossione Equitalia Polis s.p.a., che lo stesso – per il quale la relata di notifica reca la data del 14 dicembre 2011 quale data di spedizione – è inammissibile non essendo stata prodotta in atti prova del perfezionamento della notifica; stante la dichiarata inammissibilità non vi è luogo neppure a provvedere sulle spese;

– con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata denunciando omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto il secondo giudice non avrebbe dichiarato la nullità dell’atto impugnato nonostante lo stesso fosse privo di motivazione, non preceduto da avviso bonario e non munito dell’indicazione del responsabile del procedimento, ed inoltre avrebbe ritenuto inammissibili le censure mosse in appello, in quanto nuove, sia pur pronunciando sulle stesse ritenendole comunque infondate; il motivo è in primo luogo inammissibile, quindi pure infondato;

– fermo restando che – come affermano le sez. un. n. 9100 del 2015 il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, è pur sempre necessario ai fini dell’ammissibilità del ricorso – secondo detta pronuncia nomofilattica – che la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati;

– nel caso di specie, i motivi di ricorso per cassazione, in cui si suddivide come esposto l’apparente unico motivo, non si limitano a prospettare una pluralità di profili relativi a più questioni (formulazione, peraltro, ritenuta essa stessa inammissibile, prima della pronuncia del 2015 cit.: cfr. Sez. 1, n. 19443 del 2011), ma addirittura prospettano una notevole pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate e dal rilievo della sussistenza di vizi di motivazione (ciò che, come richiama la giurisprudenza di questa corte – cfr. tra le altre Sez. 1, n. 21611 del 2013 – rende i motivi inammissibili);

– atteso che le formulazioni usate mescolano critiche riconducibili all’una e all’altra tipologia di vizio (di violazione di legge e vizio di motivazione) su profili diversi, con riferimento a più parametri normativi e più dedotti aspetti di difetto motivazionale, attraverso censure le più disparate tra loro quanto a riferimenti contenutistici e testuali della sentenza impugnata, i motivi, già non conformi alla regola di specificità e chiarezza, sono conseguentemente inammissibili altresì per difetto di autosufficienza. Non risulta infatti trascritto nessun passaggio della sentenza impugnata, nè lo stesso che in ricorso, si ripete, non viene riportato – viene a esse collegato con il motivo che lo colpisce per censurarlo; ciò rende impossibile identificare prima e comprendere poi sia il contenuto della ratio decidendi che si intende colpire con il motivo di ricorso, sia il contenuto e l’articolazione del motivo stesso; tutto ciò impedisce alla Corte la valutazione della fondatezza del motivo, e lo rende prima incomprensibile, e poi inammissibile;

– inoltre, nel denunciare il vizio di motivazione della cartella in parola, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere in ricorso la parte motiva della cartella di pagamento de qua, sempre ai fini dell’autosufficienza; tal difetto è ulteriore ragione di inammissibilità del motivo;

– quanto alla fondatezza dei motivi, comunque tutte le doglianze sono anche infondate;

trattandosi di cartella di pagamento derivante da mera liquidazione delle dichiarazioni presentate trova applicazione la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza 20 settembre 2017, n. 21804) in tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicchè, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perchè, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa;

– con specifico riferimento alla mancata notifica del c.d. “avviso bonario”, questa Corte ha chiaramente statuito ancora recentemente che (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza 21 novembre 2017, n. 27716) in tema di riscossione delle imposte, la L. n. 212 del 2000, l’art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso;

– con riferimento poi all’asserito vizio dell’atto impugnato per difetto dell’indicazione del responsabile del procedimento, questa Corte non trova in ricorso alcuna ragione per discostarsi dal proprio consolidato orientamento secondo il quale, dal punto di vista generale (Cass. Sez. U., Sentenza 14 maggio 2010, n. 11722)i il difetto di motivazione della cartella di pagamento che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione senza indicarne i relativi estremi di notificazione o di pubblicazione, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorchè la cartella sia stata impugnata dal contribuente il quale abbia dimostrato in tal modo di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati, ma abbia omesso di allegare e specificamente provare quale sia stato in concreto il pregiudizio che il vizio dell’atto abbia determinato al suo diritto di difesa; e nel caso che ci occupa nulla allega nè prova il ricorrente;

– specificamente poi, prendendo le mosse dalle sopra svolte considerazioni, questa Corte ha ulteriormente chiarito che (Cass. Sez. 5, Ordinanza 12 maggio 2017, n. 11856) l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le cartelle di pagamento dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, conv., con modif., dalla L. n. 31 del 2008, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008;

– in argomento, questa Corte, nella sua composizione massimamente nomofilattica, ha inoltre precisato che (sempre Cass. Sez. U, Sentenza 14 maggio 2010, n. 11722) solo la cartella esattoriale che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione. Tale motivazione può essere assolta “per relationem” ad altro atto che costituisca il presupposto dell’imposizione, del quale, tuttavia, debbono comunque essere specificamente indicati gli estremi, anche relativi alla pubblicazione dello stesso su bollettini o albi ufficiali che eventualmente ne sia stata fatta a sensi di legge, affinchè il contribuente ne abbia conoscenza o conoscibilità e l’atto richiamato, quando di esso il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazione, non deve essere necessariamente allegato alla cartella – secondo una interpretazione non puramente formalistica della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, (c.d. Statuto del contribuente) sempre che in essa siano indicati nella cartella i relativi estremi di notificazione o di pubblicazione;

– con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per avere erroneamente la CTR ritenuto inammissibili, in quanto nuove, le eccezioni del contribuente relative all’irrogazione delle sanzioni, mentre nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado il contribuente aveva unicamente eccepito la cripticità della cartella impugnata;

– il motivo è inammissibile, in quanto formulato quale violazione di legge e quale censura motivazionale, senza che sia dato – in forza della sua articolazione – alla Corte comprendere (Cass, Sez. L., Sentenza 24 agosto 2017, n. 20335) su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica della fattispecie;

– in ogni caso esso è anche infondato, in quanto dalla sentenza impugnata e degli atti di causa si evince come in effetti l’eccezione in parola sia stata formulata solo in secondo grado, e conseguentemente la stessa doveva effettivamente e correttamente esser dichiarata, come è stata, inammissibile;

– il terzo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per vizio motivazionale e per nullità della stessa, richiamando le violazioni del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, e in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; si sostiene che la CTR avrebbe ignorato alcune censure proposte in secondo grado alle quali il secondo giudice non avrebbe risposto;

– esso è inammissibile, in quanto parte ricorrente non riporta, ai fini dell’autosufficienza, nè la parte di ricorso in appello che avrebbe proposto le censure ignorate, nè la parte di sentenza che sarebbe viziata, anche per aver ritenuto l’eccezione assorbita in altro motivo di appello, di guisa che questa Corte non è in grado di valutare il vizio denunciato; in termini sul punto si richiama consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 2, Sentenza 20 agosto 2015, n. 17049), secondo la quale è inammissibile, per violazione del criterio dell’ autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte;

– in ogni modo, il motivo appare anche infondato, dal momento che dalla sentenza impugnata si evince che l’unica eccezione proposta dal contribuente (come indicata a pag. 3 quarta riga dalla CTR) è stata esaminata e correttamente decisa con motivazione corretta e chiara, oltre che aderente alla giurisprudenza di questa Corte;

– con il quarto motivo si denuncia nuovamente la omessa e contraddittoria motivazione in relazione alla violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5 e ss., in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere il giudice dell’appello omesso di pronunciarsi sulla asserita ingiustificata applicazione delle sanzioni;

– il motivo è in primo luogo inammissibile in quanto, come risulta dalla sentenza e degli atti di causa, è stato proposto solo in appello, dal momento che la sola difesa svolta in primo grado dal contribuente era relativa alla c.d. “cripticità” della cartella impugnata, non alla erronea applicazione della disciplina in tema di sanzioni; in ogni caso il motivo è ulteriormente inammissibile in quanto il ricorrente non trascrive in ricorso nè indica ove tali eccezioni sarebbero state proposte per la prima volta, in ricorso introduttivo, nè trascrive la parte di sentenza della CTR che avrebbe sul punto commesso la violazione processuale denunciata; è in terzo luogo ancora inammissibile in quanto (Cass. Sez. 2, Ordinanza 07 maggio 2018, n. 10862) nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge; le censure qui proposte, nel motivo in esame, da un lato indicano il vizio della sentenza gravata nella omessa motivazione, dall’altro, la aggrediscono contestando la violazione delle disposizioni in tema di sanzioni;

– il ricorso va, in conclusione, rigettato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 5.100, oltre a spese prenotate a debito, a favore dell’Agenzia delle Entrate che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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