Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32445 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 06/06/2018, dep. 14/12/2018), n.32445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13577/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

NYMCO s.p.a. in persona del suo legale rappresentante pro tempore

rappresentata e difesa giusta delega a margine del controricorso

dagli avv.Ti Prof. Livia Salvini, Elenio Bidoggia e Giovanna Oddo.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 158/2/12 depositata il 15/11/2012, notificata il 7

aprile 2011;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

6/6/2018 dal consigliere Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha rigettato l’appello del Fisco confermando la sentenza di prime cure;

– in dettaglio, la CTR riteneva l’impugnabilità del provvedimento di sgravio parziale, poichè il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, non prevederebbe alcuna tassatività degli atti impugnabili; sanciva l’interesse ad agire del contribuente quanto all’impugnativa spiegata e infine negava la sussistenza di una duplicazione di giudizio che sarebbe stata presente con riferimento alla vertenza avente per oggetto cartella di pagamento, in altro giudizio intrapresa, poichè il provvedimento di sgravio qui impugnato era relativo a omessi versamenti a titolo di sanzioni e interessi e non a iscrizioni a ruolo a titolo di imposte;

– ricorre l’Agenzia delle Entrate sostenendo nel primo motivo di ricorso l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, poichè diretto avverso il diniego di sgravio, atto non impugnabile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19;

– con il secondo motivo di ricorso, l’Erario denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la CTR esaminato tutte le ragioni posta dall’Ufficio alla base della tesi formulata quanto all’inammissibilità del ricorso per le ragioni di cui sopra;

– nel terzo motivo di ricorso si eccepisce la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e D.Lgs. n. 212 del 2000, artt. 6 e 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto perfezionato regolarmente il c.d. “ravvedimento operoso” di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, sia pur avendo il contribuente versato una somma minore rispetto al dovuto per interessi;

– resiste la contribuente con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– questa Corte ha già sancito (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 7616 del 28/03/2018) che in tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela – della quale, qui si precisa per quanto di interesse, lo sgravio è omologo nel procedimento di riscossione e nel processo di impugnazione avverso gli atti della riscossione – può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto inammissibile l’impugnazione, da parte del contribuente, del diniego di annullamento di alcuni atti impositivi in sede di autotutela in virtù del passaggio in giudicato di una sentenza che aveva operato una ricostruzione incompatibile con quella compiuta in detti atti ormai inoppugnabili, poichè i vizi prospettati erano quelli originari, che il contribuente avrebbe potuto far valere impugnando i relativi atti);

– in ogni caso, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, l’autotutela tributaria – che non si discosta, in questo essenziale aspetto, dall’autotutela nel diritto amministrativo generale costituisce un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente (ex multis, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 15 aprile 2016, n. 7511; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 20 novembre 2015, n. 23765; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 12 novembre 2014, n. 24058; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 30 giugno 2010, n. 15451; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 12 maggio 2010, n. 11457; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 9 luglio 2009, n. 16097; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 5 febbraio 2002, n. 1547; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 4 ottobre 1996, n. 8685); in materia, quindi, il privato – può naturalmente sollecitarne l’esercizio, segnalando l’illegittimità degli atti impositivi, ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso;

– inoltre, a seguito dell’intervento legislativo di cui al D.Lgs. n. 159 del 2015, art. 11, comma 1, lett. A), si sono aggiunti al D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, convertito in L. n. 654 del 1994, commi da 1-sexies a 1-octies, stabilendo che “l’annullamento o la revoca parziali non sono impugnabili autonomamente”;

– pertanto, deve ritenersi che (soluzione rafforzata da tal successiva previsione legislativa) se da un lato si esclude la tutela giudiziaria per tali atti, ovviamente si consente che gli eventuali vizi dell’autotutela parziale, della quale lo sgravio parziale è una manifestazione in sede di riscossione dell’imposta, possa esser fatta valere in sede di impugnazione degli atti connessi, quali appunto la cartella di pagamento;

– nel presente caso, inoltre, tal eventualità si è infatti puntualmente verificata, pendendo giudizio di fronte a questa Corte (r.g. (OMISSIS)) di impugnazione della cartella di pagamento alla quale lo sgravio parziale si riferisce;

– i residui motivi, pertanto, sono assorbiti;

– non essendo necessari altri accertamenti di fatto, si deve dichiarare inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio; vanno compensate le spese dei gradi del merito mentre le spese del presente grado seguono la soccombenza.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il secondo e il terzo motivo, e decidendo nel merito dichiara inammissibile il ricorso del contribuente; compensa le spese dei gradi di merito; condanna la contribuente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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