Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32445 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. II, 11/12/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 11/12/2019), n.32445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27391/2015 proposto da:

C.V., e G.G., rappresentati e difesi

dall’avvocato CLAUDIO DEFILIPPI e domiciliati presso la cancelleria

della Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

PREDIUM S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI n. 21, presso

lo studio dell’avvocato EDOARDO FERRAGINA, rappresentata e difesa

dagli avvocati PAOLO BONINI ed ENZO FREDIANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 705/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.G. nella persona del Sostituto Dott. ALESSANDRO PEPE, il

quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per parte ricorrente l’Avvocato ROBERTO RAGLIONE, in

sostituzione dell’avvocato CLAUDIO DE FILIPPI, il quale ha concluso

per l’accoglimento del ricorso;

udito per parte controricorrente l’Avvocato MARIO SABATINO, in

sostituzione dell’Avvocato ENZO FREDIANI, il quale ha concluso per

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 3.4.2009 G.G. e C.V. evocavano in giudizio innanzi il Tribunale di Parma, sezione distaccata di Fidenza, la società Predium S.r.l. invocando la declaratoria della natura vessatoria di alcune clausole contenute nel contratto preliminare di compravendita sottoscritto in data 12.5.2002, in virtù del quale gli attori si erano impegnati ad acquistare, e la convenuta a vendere, un diritto di multiproprietà incidente su una porzione immobiliare compresa nel complesso residenziale denominato (OMISSIS), per il prezzo di Euro 13.801,64. Gli attori chiedevano inoltre l’accertamento della violazione dei canoni di buona fede precontrattuale e contrattuale da parte della società convenuta e la sua condanna alla restituzione della somma percepita a fronte della programmata compravendita.

Si costituiva Predium S.r.l. resistendo alla domanda ed evidenziando che gli attori, dopo aver firmato il contratto preliminare di compravendita, avevano saldato il prezzo della settimana in multiproprietà in data 23.5.2002 ed avevano ottenuto l’immediata fruibilità del diritto di uso del bene immobile in coerenza con la quota di godimento da essi acquistata. Avevano inoltre sottoscritto un contratto di locazione della settimana in multiproprietà loro spettante, in virtù del quale Predium S.r.l. aveva acquisito per la durata di otto anni, a fronte del pagamento di un canone annuo di Euro 500 e delle spese di manutenzione annuale, il correlato diritto di godimento.

Con sentenza n. 607/2008 il Tribunale rigettava la domanda condannando gli attori alle spese del primo grado.

Interponevano appello gli originari attori e si costituiva in seconda istanza la società appellata, concludendo per la conferma della sentenza di prime cure.

Con la decisione oggi impugnata, n. 705/2015, la Corte di Appello di Bologna rigettava l’impugnazione confermando la sentenza appellata. La Corte emiliana riteneva in particolare che gli attori non avessero esercitato il recesso dal contratto preliminare di compravendita di cui è causa nel termine di dieci giorni dalla conclusione di cui al D.Lgs. n. 427 del 1998, art. 5, comma 1 e che il diverso termine di tre mesi previsto dal successivo comma 2 della norma da ultimo richiamata non potesse applicarsi al caso di specie, poichè il contratto conteneva gli elementi indicati dall’art. 2, lett. a), b), c), d), n. 1, h) ed i) nonchè al medesimo D.Lgs. n. 427, art. 3, comma 2, lett. e), tutti contenuti nei vari documenti allegati al contratto stesso e dal medesimo richiamati. Osservava poi che il prezzo pattuito tra le parti era stato pagato il 23.5.2002, dopo la scadenza del termine di cui del D.Lgs. n. 427 del 1998, art. 5, richiamato comma 1, ed escludeva la natura vessatoria della clausola prevedente il pagamento del prezzo della compravendita prima della firma del rogito, da un lato in quanto non compresa nell’elenco di cui all’art. 1469 bis c.c.; dall’altro lato, in quanto la clausola non prevedeva alcun termine perentorio, rimettendo in sostanza alla comune volontà delle parti l’individuazione della data utile per la stipula del rogito di compravendita; ed infine in quanto gli attori non avevano dimostrato di essersi attivati per pervenire alla stipula del definitivo. La Corte territoriale escludeva, del pari, la natura vessatoria delle restanti clausole contestate da parte appellante, ritenendo in particolare: che la quota millesimale correlata alla settimana acquistata dagli attori fosse indicata mediante rinvio ad un’apposita scheda allegata al contratto; che l’onere di pagamento delle spese notarili corrispondesse ad un uso diffuso nelle compravendite immobiliari; che gli appellanti avessero comunque ottenuto, prima del rogito e subito dopo il saldo del corrispettivo, la disponibilità della settimana da loro acquistata, potendola – tra l’altro – locare alla stessa società venditrice; ed infine, che la previsione del limite alla prova dei patti aggiuntivi e modificativi al contratto contenuta nella clausole di quest’ultimo corrispondesse alla norma generale di cui all’art. 2722 c.c..

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione G.G. e C.V. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso Predium S.r.l..

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione del D.Lgs. n. 427 del 1998, artt. 3, 5 e 6 e della Direttiva 94/47/CE perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente applicato al caso di specie soltanto il termine di cui del richiamato D.Lgs. n. 427 del 1998, art. 5, comma 1, omettendo di considerare anche il più ampio termine previsto dal comma 2 della predetta disposizione. Ad avviso dei ricorrenti, il contratto preliminare sottoscritto tra le parti difettava degli elementi indicati dell’art. 5, citato comma 2 e tale mancanza non poteva essere ovviata dalle indicazioni contenute in documenti diversi dal contratto stesso, ancorchè da quest’ultimo richiamati.

La censura è infondata.

La Corte felsinea ha correttamente proceduto ad un esame complessivo del documento contrattuale, considerando sia il contenuto delle clausole del preliminare, sia i vari documenti allegati all’accordo ed in esso specificamente richiamati. Simile operazione ermeneutica si sottrae a qualsiasi censura, posto che per individuare il contenuto dell’obbligazione contrattuale si deve aver riguardo non soltanto a quanto espressamente previsto nelle clausole dell’accordo, ma anche a quanto risultante da documenti o atti comunque allegati al contratto stesso e in esso specificamente richiamati.

E’ vero che nei contratti in cui la legge richiede la forma scritta ad substantiam, come nel caso della compravendita immobiliare e del relativo contratto preliminare, questa Corte ha affermato il principio per cui “… l’oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile sulla base degli elementi risultanti dal contratto stesso, non potendo farsi ricorso ad elementi estranei ad esso. Ne consegue che se le parti di una compravendita immobiliare hanno fatto riferimento, per individuare il bene, ad una planimetria allegata all’atto, è necessario che essa non solo sia sottoscritta dai contraenti, ma sia anche espressamente indicata nel contratto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5028 del 05/03/2007, Rv. 596773; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21352 del 09/10/2014, Rv. 632609). Tuttavia va considerato che, nel caso di specie, i ricorrenti non riproducono testualmente, nel motivo in esame, le singole clausole contrattuali alle quali la censura si riferisce, nè i documenti allegati al preliminare, e neppure affermano in modo specifico che i predetti documenti accessori non fossero stati fisicamente allegati al preliminare o che essi non fossero stati firmati dalle parti in sede di stipula. Anzi, a pag. 9, del ricorso si rinviene la conferma indiretta che gli elementi indicati come mancanti nel preliminare erano però contenuti nei documenti allegati e richiamati dal contratto, quando i ricorrenti affermano testualmente che “… i dati relativi alla quantificazione millesimale di comproprietà condominiale per ciascuna unità immobiliare, di cui alla lettera l del contratto preliminare, nonchè il prezzo della quota di proprietà di cui all’art. 3, erano stati riportati soltanto nella scheda dati e non anche in seno al contratto di compravendita”. Tale affermazione non smentisce quanto affermato a pag. 5 della sentenza di appello, secondo cui la statuizione di prime cure meritava conferma “… essendo la documentazione a corredo del contratto, allegata nel fascicolo di primo grado depositato dalla convenuta, esaustiva e completa. Va invero osservato che la proposta di acquisto, in osservanza con il disposto normativo citato, conteneva: l’esatta descrizione del diritto oggetto del contratto; l’identità e il domicilio del venditore; la descrizione e l’ubicazione dell’immobile e le concessioni edilizie rilasciate…; l’indicazione del prezzo fissato nella misura riportata nella scheda dati; le modalità del diritto di recesso e le eventuali spese (art. 12 del testo). Inoltre, gli acquirenti, nello stesso contesto dell’atto, dichiaravano di ricevere, da parte della società, la copia originale del contratto di multiproprietà della struttura nonchè il documento informativo contenente una dettagliata descrizione di una serie di elementi quali i dati sulla struttura e sulla multiproprietà, le planimetrie degli appartamenti, il regolamento di condominio ed ogni altra informazione utile, incluso il facsimile per il rogito notarile”. A fronte di una così dettagliata ricostruzione i ricorrenti avevano l’onere di contestare quanto affermato dal giudice di merito, deducendo espressamente la mancata allegazione al contratto dei documenti indicati dalla Corte bolognese, o la carenza di un loro esplicito richiamo nelle clausole contrattuali, o ancora l’omissione della sottoscrizione dei predetti allegati. Nessuna di tali contestazioni emerge invece dal motivo in esame, con il quale i ricorrenti si sono limitati a dolersi del fatto che gli elementi risultanti dai documenti allegati al contratto preliminare di cui è causa non fossero stati riprodotti all’interno delle clausole del negozio, senza tuttavia chiarire ulteriormente l’esatta portata della loro censura.

Appare pertanto corretta l’applicazione, al caso di specie, del D.Lgs. n. 427 del 1998, art. 5, comma 1, che prevede il termine di 10 giorni dalla conclusione del contratto per l’esercizio del relativo diritto di recesso, e non invece del comma 2, che prevede un più ampio termine di tre mesi dalla conclusione soltanto nel caso in cui il contratto non presenti tutti gli elementi espressamente indicati dalla medesima disposizione.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1453 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe errato nell’imputare al loro comportamento la mancata stipula del rogito definitivo di compravendita. La previsione del pagamento totale del prezzo prima del rogito, contenuta nell’art. 5, del preliminare, avrebbe infatti dovuto essere considerata sub specie di clausola vessatoria. Inoltre, essa prevedeva che la stipula del rogito avrebbe dovuto avvenire entro sei mesi dalla firma del preliminare, e la società promittente venditrice aveva l’onere, all’interno di tale termine, di attivarsi, anche nell’inerzia degli acquirenti, per convocarli al rogito; non avendolo fatto, la società si sarebbe resa inadempiente, il giudice di merito avrebbe dovuto considerare la natura essenziale di tale inadempimento e quindi concludere in senso diametralmente opposto rispetto a quanto avvenuto in concreto.

La censura è infondata.

La Corte di Appello ha ricostruito in modo puntuale il contenuto dell’art. 5 del contratto preliminare intercorso tra le parti (cfr. pagg. 6 e 7 della sentenza di appello), condividendo la motivazione del Tribunale, che aveva ritenuto la clausola di natura non vessatoria “… non solo in quanto non rientrante nella lista di clausole contenute nell’art. 1469-bis c.c., ma anche perchè la stessa non determina un significativo squilibrio a danno del consumatore, limitandosi a disciplinare la fase della stipula del definitivo ed a prevedere un obbligo di collaborazione a carico di entrambe le parti; l’art. 5, nel prevedere il suddetto dovere di collaborazione, non è altro che un’applicazione concreta del principio di buona fede contrattuale; il termine non era quindi essenziale, tant’è vero che la clausola prevedeva che, nel caso in cui la società non si fosse attivata entro sei mesi, sarebbe stato onere delle controparti quello di attivarsi per la stipula del definitivo; non risultava che gli attori, dopo aver pagato il prezzo, si fossero mai attivati per la stipula del definivo, mentre risultava che la venditrice aveva inviato numerose raccomandate agli acquirenti, contenenti date possibili di rogito; in definitiva, la mancata conclusione del contratto doveva essere imputata unicamente agli attori i quali, nonostante le numerose convocazioni, erano rimasti inerti, salvo poi agire per chiedere la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo”. A tali argomenti la Corte di seconde cure ha aggiunto anche la considerazione ulteriore per cui “… se è vero che la comunicazione delle date possibili era stata inviata pacificamente due mesi dopo la scadenza del termine, deve ritenersi che tale comportamento non integrasse un inadempimento grave anche perchè una simile possibilità era espressamente contemplata nel contratto, accettato e sottoscritto da entrambe le parti. Dato che il termine non era stato previsto dalle parti come essenziale, sarebbe stato onere degli attori dimostrare la rilevanza di tale inosservanza”.

L’ampia motivazione della decisione della Corte bolognese, non scalfita dal motivo di censura in esame, si risolve da un lato nell’interpretazione delle clausole contrattuali e della loro natura, e dall’altro in un apprezzamento in punto di fatto circa la gravità dell’inadempimento che non sono utilmente scrutinabili in questa sede, ove sostenuti – come nel caso specifico – da idonea motivazione.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1469-ter c.c. e dell’art. 34Codice del consumo perchè la Corte emiliana avrebbe erroneamente omesso di rilevare la posizione di squilibrio tra le due parti, venditore e acquirente, derivante dall’integrale saldo del prezzo anticipato rispetto al rogito.

La censura è infondata per le medesime considerazioni già esposte in relazione al secondo motivo di ricorso.

Ed invero anche l’apprezzamento circa l’esistenza o meno di uno squilibrio tra le posizioni delle parti contraenti si risolve in un apprezzamento di fatto, che in quanto tale è sottratto al sindacato di questa Corte ove sorretto, come nel caso di specie, da idonea ed articolata motivazione. I ricorrenti, peraltro, non attingono in modo specifico i diversi argomenti logico-giuridici richiamati dalla Corte bolognese per escludere la natura vessatoria delle clausole del preliminare e, in genere, l’esistenza di uno squilibrio rilevante tra le posizioni delle parti. In ogni caso, l’apprezzamento condotto dal giudice di merito è coerente con la portata complessiva del progetto negoziale posto in essere dai paciscenti, che in buona sostanza prevedeva da un lato l’anticipato versamento del prezzo, e dall’altro l’anticipato godimento del bene, rispetto al rogito di compravendita; nell’ambito di un siffatto regolamento negoziale ad effetti anticipati non è oggettivamente possibile, in base a quanto genericamente dedotto dai ricorrenti nel motivo in esame, configurare un’asimmetria rilevante tra le posizioni delle parti.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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