Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32439 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. II, 11/12/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 11/12/2019), n.32439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1349/2015 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DELLE

BELLE ARTI 3, presso lo studio dell’avvocato STEFANO TRALDI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIETRO PORCIANI;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTEVIDEO 21, presso lo

studio dell’avvocato FERDINANDO DELLA CORTE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FAUSTO MOSCATELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2851/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 22 luglio 2014 la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da M.C. nei confronti del condominio (OMISSIS) (d’ora innanzi, condominio (OMISSIS)), avverso la decisione di primo grado, che aveva respinto le impugnative: a) della Delib. 19 giugno 2008, con la quale era stato approvato all’unanimità il rendiconto 2007 con i relativi riparti di spesa, nonchè di quelle assunte dal 1998 al 2007, recanti approvazione dei bilanci consuntivi, nella parte in cui avevano ripartito le spese di riscaldamento in base ai consumi rilevati coi contatori, ossia con criterio diverso da quello previsto dalle tabelle millesimali (causa n. 171318/2008); b) del 30 giugno 2009, sempre nella parte in cui aveva approvato la ripartizione delle spese di riscaldamento in base ai consumi rilevati dai contatori (causa n. 2133/2009).

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che le delibere assunte nel periodo dal 1997 al 2008 non avevano inteso modificare il regolamento condominiale, ma lo avevano applicato diversamente, con la concorde volontà dei condomini o, quantomeno, senza la loro opposizione, con la conseguenza che si sarebbero trattato di delibere annullabili, da impugnare nel termine di decadenza di trenta giorni; b) che doveva escludersi la nullità delle delibere anche ritenendo che, attraverso di esse, si fosse operata una modifica tacita del regolamento, realizzabile a maggioranza; c) che il criterio della ripartizione delle spese di riscaldamento tramite i contatori era anche rispondente alla normativa in materia di risparmio energetico succedutasi nel tempo (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 123, le cui previsioni erano già contenute in nuce nella L. n. 10 del 1991, art. 26 e sarebbero state riproposte nella L.R. Lombardia n. 3 del 2011), che consente di adottare siffatto criterio di contabilizzazione a maggioranza e non all’unanimità; d) che, del resto, l’impugnativa della Delib. Assembleare 22 febbraio 2004, per le medesime ragioni, era stata rigettata dal Tribunale di Milano, sez. distaccata di Legnano, con la decisione n. 61 del 2011, confermata dalla Corte d’appello; e) che le Delibere che avevano approvato i bilanci dal 1998 al 2002 erano state oggetto di altra causa, conclusasi con sentenza passata in giudicato; f) che, con riguardo al lamentato errato addebito di spese a causa del malfunzionamento dell’impianto, quale sarebbe emerso nel corso del procedimento definito con la citata sentenza n. 61 del 2011, del pari la pretesa era infondata in quanto la consulenza tecnica d’ufficio alla stregua delle precisazioni rese in sede di chiarimenti dall’ausiliare – aveva solo rilevato la rudimentalità del contatore e la teorica possibilità di manomissioni; g) che, alla luce delle superiori considerazioni, doveva ritenersi assorbita la censura di nullità della Delib. 19 giugno 2008, nella parte in cui, nell’approvare il bilancio consuntivo 2007, aveva anche approvato il debito posto a carico della M., pari ad Euro 12.608,17, derivante dal mancato pagamento degli oneri condominiali per tutti gli anni in discussione; h) che con tale Delib. i condomini avevano, altresì, deliberato di ripartire provvisoriamente le spese aventi ad oggetto la conduzione dell’impianto di riscaldamento per millesimi, ossia proprio con il criterio proposto dalla M..

3. Avverso tale sentenza la M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso il condominio (OMISSIS). Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.. Sin da ora si osserva che, nell’interesse della M., la memoria è stata depositata il 1 luglio 2019, senza l’osservanza del termine previsto dal citato art. 380 bis.1 c.p.c., rispetto alla data dell’adunanza in Camera di consiglio del giorno 10 luglio 2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omessa motivazione, in relazione alle censure compendiate nei motivi di appello.

La doglianza è inammissibile, per assenza di specificità, dal momento che, a fronte di un apparato argomentativo autonomo e non limitato ad un mero richiamo alla motivazione della sentenza del Tribunale, non si impegna nell’indicare quali siano le doglianze rimaste prive di puntuale considerazione da parte della Corte d’appello.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1137 c.c. e del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 123, con riguardo alla ritenuta decadenza della M. dalla facoltà di impugnare le delibere di approvazione dei bilanci consuntivi dal 1997 al 2008.

La ricorrente insiste nel rilevare: a) che siffatte delibere sarebbero nulle e non annullabili, giacchè, secondo quanto ammesso dalla stessa controparte, avevano operato una ripartizione delle spese di riscaldamento alla stregua di criteri diversi da quelli previsti dal regolamento condominiale, in tal modo finendo inevitabilmente per modificare questi ultimi; b) che dal tenore della Delib. 3 giugno 1998, era evidente che i condomini avevano inteso adottare un diverso criterio di riparto; c) che, per la modifica del regolamento condominiale, è necessaria la volontà unanime di tutti i condomini; d) che l’orientamento espresso da Cass., Sez. Un., 9 agosto 2010, n. 18477 sarebbe inapplicabile al caso di specie ratione temporis, con la conseguenza che, in relazione a delibere affette da nullità, non poteva essere dichiarata la decadenza; e) che la normativa finalizzata al contenimento dei consumi energetici menzionata dalla sentenza impugnata riguardava il caso, non ricorrente nella specie, di delibere adottate per scopi di rinnovamento degli impianti o per l’installazione di nuovi impianti.

La doglianza è, nel suo complesso, infondata.

Va, per intanto, osservato che la critica della ricorrente alla interpretazione fornita dalla sentenza impugnata delle delibere assembleari delle quali si tratta come dirette non a modificare le tabelle ma ad applicare criteri difformi da queste (con conseguente mera annullabilità delle stesse: Cass., Sez. Un., 7 marzo 2005, n. 4806) non è accompagnata dalla indicazione dei criteri di ermeneutica (per l’applicabilità delle regole dettate dagli artt. 1362 c.c. e segg., alla materia delle delibere assembleari, v. Cass. 28 febbraio 2006, n. 4501) che sarebbero stati violati.

Invero, l’interpretazione del contenuto e del significato di una Delib. condominiale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che, ratione temporis, nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, nel quadro del cd. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione attualmente vigente, ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 c.c. e segg. (v., di recente, Cass. 30 novembre 2017, n. 28763).

Esclusa, nel caso di specie, la prima ipotesi, deve solo aggiungersi che il sindacato di legittimità può avere ad oggetto solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici ed il processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. 28 marzo, 2017, n. 7927, in motivazione). Pertanto, al fine di riscontrare l’esistenza dei denunciati errori di diritto o vizi di ragionamento, occorre che il ricorrente specifichi i canoni in concreto inosservati e il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato.

D’altra parte, le critiche della ricorrente sono infondate anche rispetto al percorso motivazione sopra ricordato con il quale la Corte territoriale ha ribadito, coerentemente con Cass., Sez. Un., 9 agosto 2010, n. 18477, che l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura contrattuale, con la conseguenza che lo stesso non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c., comma 2. Ora, l’evoluzione giurisprudenziale operata con la sentenza appena citata delle Sezioni Unite, ha riguardo ad aspetti sostanziali e non processuali, in quanto investe la maggioranza necessaria per modificare le tabelle.

Al contrario, il prospective overruling, al quale la ricorrente opera un richiamo, è finalizzato a porre la parte al riparo dagli effetti processuali pregiudizievoli (nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) di mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo (Cass., Sez. Un., 12 febbraio 2019, n. 4135).

A fronte di tali considerazioni e del conseguente rigetto delle critiche che hanno investito una ratio decidendi idonea a sorreggere autonomamente le conclusioni della Corte territoriale, divengono inammissibili, per carenza di interesse, le censure concernenti il distinto percorso argomentativo che concerne l’interpretazione della normativa in tema di contenimento dei consumi energetici.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Osserva la ricorrente: a) che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, il consulente tecnico d’ufficio ha accertato la sostanziale inattendibilità del sistema di contabilizzazione, non solo per la possibilità di manomissione, ma anche perchè inidoneo a garantire la corrispondenza tra quanto indicato dai contatori e i consumi reali; b) che l’impianto di contabilizzazione è carente di un correttore dell’unità tempo in funzione della temperatura del fluido e può continuare a funzionare anche ad impianto di riscaldamento spento; c) che, in conseguenza di ciò, ella era stata significativamente penalizzata.

In definitiva, si attribuisce alla sentenza impugnata di non avere colto una parte del contenuto della relazione di consulenza, limitandosi a rilevare solo la possibilità di manomissioni, senza apprezzare anche una serie di problematiche idonee a rendere inattendibile il sistema di contabilizzazione.

Le doglianze sono inammissibili, in quanto la ricorrente neppure indica quali brani della relazione e quali obiettivi accertamenti sosterrebbero le critiche formulate e si limita ad esporre quelle che, a suo avviso, sarebbero le conclusioni raggiunte in sede di indagine tecnica.

Il cenno finale del motivo al malfunzionamento anche del nuovo impianto di contabilizzazione installato nel 2008, oltre ad essere del tutto generico, neppure si confronta col rilievo della sentenza impugnata, secondo la quale, come già rilevato dal Tribunale, le domande proposte concernevano esclusivamente la invalidità delle delibere assembleari.

4. Il ricorso, in conclusione, va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, oltre che dichiarata tenuta al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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