Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32436 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 16/11/2018, dep. 14/12/2018), n.32436

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11507/2017 R.G. proposto da:

SORIN GROUP ITALIA SRL, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente,

dall’avv. Marco Miccinesi, dall’avv. Francesco Pistolesi, dall’avv.

Michele Maranò, elettivamente domiciliata in Roma, viale Liegi n.

32, presso lo studio dell’avv. Marcello Clarich.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione 34, n. 5580/34/16, pronunciata il 3/02/2016,

depositata il 31/10/2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 novembre 2018

dal Consigliere Riccardo Guida;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo il rigetto

del primo motivo, l’accoglimento del secondo motivo,

l’inammissibilità del terzo e quarto motivo, l’inammissibilità del

sesto motivo, in subordine infondato;

uditi l’avv. Michele Maranò e l’avv. Francesco Pistolesi;

Fatto

udito, per l’Avvocatura Generale dello Stato l’avv. Roberta Guizzi. FATTI DI CAUSA

Sorin Group Italia Srl, operante nel settore delle tecnologie mediche in ambito cardiologico, ricorre, con sei motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (in seguito: CTR), in epigrafe, che – in controversia riguardante l’impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IRAP, per l’anno 2006, costi ritenuti indeducibili – ha confermato la sentenza di primo grado, sfavorevole alla contribuente.

In particolare, la CTR, pronunciando sulle riprese a tassazione contestate dalla società (che, per altri rilievi contenuti nell’atto impositivo, aveva prestato acquiescenza) ha affermato che: la ripresa n. 1, relativa a costi sostenuti per il congresso Cardiostim, svoltosi a Nizza, nel 2006, era corretta, trattandosi di costi soggetti al regime fiscale delle spese di rappresentanza perchè il congresso aveva la finalità di divulgare l’immagine e il prestigio dell’azienda; le riprese nn. 6, 7, 12, relative a costi per prestazioni di servizi rese dalle consociate estere, e la ripresa n. 8, relativa a costi per il rimborso delle spese di viaggio di un top manager di una società belga de gruppo Sorin, erano legittime, in quanto la contribuente, gravata del relativo onere probatorio, non aveva dimostrato la sussistenza dei requisiti prescritti dall’art. 109 TUIR, per la deducibilità di costi e spese, vale a dire la loro “certezza”, “coerenza logica” e “congruità”.

Il giudice d’appello, infine, non ha ravvisato, nelle norme riguardanti la deducibilità dei costi, le condizioni di incertezza, invocate dalla società, idonee a giustificare la riduzione delle sanzioni applicate dall’Amministrazione finanziaria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Primo motivo di ricorso: “Nullità in parte qua della sentenza, per motivazione meramente apparente (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).”.

Si denuncia la mera apparenza della motivazione della decisione impugnata che ha rigettato l’appello in ordine alla ripresa a tassazione dei costi, ritenuti non inerenti e non documentati, relativi alle prestazioni di servizio rese dalle consociate estere (rilievi nn. 6, 7, 12 dell’avviso di accertamento) e, ancora, ha disatteso la richiesta subordinata della contribuente di esonero dalle sanzioni per errore incolpevole sul fatto e/o di diritto, avvalendosi di formule di puro stile, che tradiscono l’assenza di un’effettiva disamina delle prove fornire dalle parti e delle risultanze processuali.

1.1. Il motivo è infondato.

Secondo l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (sentenze 7/04/2014, nn. 8053 e 8054): “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”.

Pertanto, a seguito della riforma del 2012 – proseguono le sezioni unite – scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Ciò premesso sul piano dei principi, in questa controversia, diversamente da quanto ventila la contribuente, una motivazione esiste, nel senso che la CTR ha dato conto delle ragioni del proprio convincimento e, in particolare, ha esposto, in modo chiaro ed esaustivo, il percorso logico che l’ha condotta a confermare la correttezza dell’operato dell’Amministrazione finanziaria in relazione a ciascuno dei recuperi fiscali in contestazione.

2. Secondo motivo: “Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 2, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Si deduce l’errore di diritto della sentenza impugnata per avere qualificato quali spese di rappresentanza i costi correlati al congresso scientifico “Cardiostim”, di vitto e alloggio dei propri dipendenti, ma soprattutto dei medici invitati alla manifestazione, integralmente dedotti dalla società quali spese di pubblicità.

2.1. Il motivo è infondato.

In tema di redditi d’impresa, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi, anche strategici, perseguiti mediante le stesse, che, nella prima ipotesi, coincidono con la crescita d’immagine ed il maggior prestigio, nonchè con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società, mentre, nell’altra, consistono in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto. (Cass. 23/05/2018, n. 12676).

Questa Corte, di recente, si è occupata della pretesa fiscale relativa alla detrazione IVA, per l’anno 1999, riguardante le spese sostenute da Sorin Biomedica Cardio Srl, per l’organizzazione di convegni medici ed ha stabilito che: “(…) era, invero, rilevabile qualche oscillazione in ordine alla riconducibilità di alcune tipologie di spesa e, in ispecie, proprio con riguardo alle spese sostenute per l’organizzazione di congressi e convegni di breve durata, in passato incluse tra quelle pubblicitarie (Cass. n. 25053

del 2006; Cass. n. 15268 del 2000) e, più recentemente, ricondotte alle spese di rappresentanza (Cass. n. 2276 del 2011; Cass. n. 21270 del 2008); con riguardo, specificamente, ai congressi medici la Corte ha, peraltro, evidenziato (Cass. n. 24932 del 2013) che, ai sensi del D.Lgs. n. 541 del 1992, art. 7, (…) attuativo della Dir. n. 92/28/CEE, “gli operatori sanitari ai quali può essere rivolta la pubblicità di un medicinale sono esclusivamente quelle autorizzati a prescriverlo o a dispensarlo (comma 1) ed aggiunge (comma 2) che la pubblicità di un medicinale presso gli operatori sanitari deve sempre comprendere le informazioni contenute nel riassunto delle caratteristiche del prodotto autorizzato… e specificare la classificazione del medicinale ai fini della fornitura…, oppure (comma 3) si può limitare alla denominazione del medicinale, ma pur sempre con la specificazione della denominazione comune del principio o dei principi attivi che lo compongono”; da tale presupposto deriva “l’ineludibile conseguenza” che “il novero delle spese di pubblicità” è limitato “alle sole spese volte a render noto un farmaco presso la classe medica, anche attraverso la organizzazione di riunioni ed incontri di breve durata e con la partecipazione di un numero ristretto di specialisti; elementi, questi della breve durata e della partecipazione di un numero ristretto di specialisti, che denotano la connotazione d’informazione scientifica e non già d’intrattenimento della riunione o dei convegno”; è quindi evidente la finalità d’informazione scientifica che deve contrassegnare quest’unica pubblicità consentita, tanto più che il consumo dei farmaci non è regolato dal criterio del piacere, ma da quello dell’utilità, mediata dalla classe medica, sicchè i medici sono destinatari di una specifica forma di pubblicità che mira non già a reclamizzare astrattamente il prodotto decantandone le virtù o la piacevolezza visiva della confezione, ma ad informarli della natura e delle utilità farmaceutiche del prodotto, in quali ipotesi risulti indicato, in quali no ed in quali sia addirittura nocivo (v. Cass. n. 25053 del 2006; v. anche v. Cass. n. 8844 del 2014; Cass. n. 2349 del 2013; Cass. n. 5494 del 2013); tali principi, ai quali cui si intende dare continuità, sono sicuramente applicabili anche nella vicenda in esame ove vengono in considerazione, quali prodotti, presidi cardiovascolari impiantabili, la cui utenza finale si identifica con le cliniche e gli ospedali; orbene, la CTR, mentre ha correttamente ricondotto le spese di ospitalità a quelle di rappresentanza, con riguardo alle spese “per l’organizzazione dei convegni e spese di trasferimento” ha ritenuto, indistintamente, che esse fossero di pubblicità sul solo presupposto che l’organizzazione dei convegni per il 1999 da parte della S. rispondesse alla finalità di “portare a conoscenza l’offerta del prodotto”, senza, tuttavia, accertare il carattere scientifico del convegno stesso, sicchè la decisione non è giuridicamente corretta, dovendo il giudice del rinvio procedere alla relativa verifica;” (Cass. 30/11/2017, n. 28695).

Nel caso di specie, al contrario, la CTR ha tracciato correttamente, in termini generali, il discrimen tra le diverse figure delle spese di rappresentanza e delle spese di pubblicità; quindi, con un apprezzamento di fatto, estraneo al controllo di legalità demandato a questa Corte, ha maturato il convincimento che i costi sostenuti dalla contribuente fossero spese di rappresentanza, in quanto il congresso svoltosi a Nizza era diretto ad accrescere “l’immagine ed il prestigio dell’azienda.” e non rispondeva a finalità pubblicitarie, anche perchè i partecipanti, per così dire, non erano buyers di professione, ma medici inseriti in strutture sanitarie (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).

3. Terzo motivo: “Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, avente ad oggetto la funzionalità delle spese sostenute in relazione alla manifestazione “Cardiostim” alla promozione dei prodotti del gruppo Sorin (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).”.

Con riferimento ai medesimi costi (oggetto della precedente censura), si addebita alla CTR l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che inequivocabilmente deponeva per la natura promozionale delle spese del congresso, documentato dalla comunicazione predisposta dalla società (già allegata al processo verbale di constatazione), al fine di invitare i medici alla manifestazione, nella quale era espressamente programmato, tra l’altro, il compimento di “dimostrazioni tecniche riguardanti i nostri prodotti”.

4. Quarto motivo: “Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, aventi ad oggetto la documentazione contrattuale ed extra-contrattuale comprovante effettività, certezza, congruità, inerenza delle spese sostenute.per servizi resi da consociate estere in base ad accordo di “cost sharing”, nonchè spese di viaggio rimborsate ad un top manager (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).”.

Quanto al recupero a tassazione delle spese per i servizi prestati dalle consociate estere e per le spese di viaggio rimborsate al top manager belga, la ricorrente si duole della sentenza impugnata (se non la si debba ritenere viziata, in radice, per mera apparenza della motivazione, come dedotto con il primo mezzo), ancora una volta sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, laddove non è stata compiuta un’effettiva disamina dell’ampia documentazione prodotta dalla contribuente (fatture per i servizi resi; cost sharing agreement; attestazioni delle fornitrice estere riguardanti la natura e l’entità dei servizi; un nutrito scambio di e-mails tra la società e le proprie fornitrici e tra queste ultime e i distributori e clienti locali; dati di bilancio delle fornitrici, con le certificazioni di una società di revisione, attestanti i costi sostenuti a favore della contribuente), comprovanti la natura e l’effettività dei costi che, invece, secondo la decisione della CTR, non poggiavano su “elementi inequivocabili”.

4.1. Il terzo e il quarto motivo, da esaminare congiuntamente perchè postulano identici profili di diritto, sono inammissibili.

Per il costante orientamento di questa Corte, riaffermato anche da recenti pronunce (Cass. 13/01/2017, n. 743): “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dal cit. D.L. n. 83, art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.” (Cass. 22/12/2016, n. 26774).

Nella specie, posto che il giudizio d’appello è iniziato nel 2015, le censure sono inammissibili poichè le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (c.d. “doppia conforme”), si fondano sulle medesime ragioni di fatto e, del resto, la contribuente non ha nemmeno sostenuto il contrario.

5. Violazione del D.P.R. n. 917 del 1987, art. 109, comma 5, e dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

In relazione ai costi oggetto del precedente motivo d’impugnazione, la ricorrente lamenta che la Commissione regionale, pur in difetto di specifiche contestazioni, da parte dell’Amministrazione finanziaria, in ordine all’insussistenza, irragionevolezza e antieconomicità dei medesimi oneri, avrebbe affermato contra legem che la contribuente non ne aveva documentato la “coerenza economica” e la “congruità”, con ciò finendo per porre a carico della società una probatio diabolica, in evidente contraddizione rispetto ai precetti normativi dell’art. 109, comma 5, TUIR e art. 2697 c.c..

5.1. Il motivo è infondato.

Costituisce ius receptum della Corte che: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa. (Nella specie, la S.C. ha negato la deducibilità dei premi, di importo cospicuo, corrisposti dall’amministratore della società alle proprie affiliate in assenza di un supporto documentale).” (Cass. 26/05/2017, n. 13300).

La CTR si è uniformata a queste regole di diritto e, all’esito di un apprezzamento di fatto, ad essa insindacabilmente rimesso, ha negato che la società, sulla quale incombeva il relativo onere probatorio, avesse dimostrato la certezza, la coerenza economica e la congruità dei costi connessi alle spese per servizi prestati dalla consociate estere e alle spese di viaggio del top manager belga, per poi concludere, al riguardo, che: “Nessuna documentazione certa è stata fornita e le comunicazioni delle consociate estere con le quali individuano le attività svolte e le risorse sono state fornite dopo l’inizio dell’attività di verifica senza elementi inequivocabili.”. (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

6. Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1 e art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, art. 8 e L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

L’ultimo rilievo critico (sempre che non si ravvisi, al riguardo, la mera apparenza della motivazione, dedotta con il primo mezzo) attiene alla violazione di legge che la CTR avrebbe commesso laddove ha respinto, con riferimento a tutte le riprese fiscali, la censura della contribuente d’illegittimità delle sanzioni per obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme asseritamente violate e, ancora, per la condizione di assoluta buona fede in cui versava la società, che era convinta della piena deducibilità dall’imponibile degli anzidetti costi.

6.1. Il motivo è infondato.

In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto in virtù del quale: “l’incertezza normativa oggettiva che – ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8; D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2; L. 2 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, – costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 28/11/2007, n. 24670; 16/02/2012, n. 2192; 26/10/2012, n. 18434; 11/02/2013, n. 3245; 22/02/2013, n. 4522). In altre parole, come è stato detto, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che consente di non applicare le sanzioni, “è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito”, quindi in “senso oggettivo” (con conseguente esclusione di “qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali” atteso che “l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti”): “l’incertezza normativa oggettiva”, pertanto, “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria” (Cass. 11/09/2009, n. 19638). Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.).” (Cass. 7/12/2017, n. 29368).

Nella presente vicenda processuale non sussiste una simile incertezza normativa oggettiva e, inoltre, la ricorrente nemmeno menziona specifici e rilevanti contrasti giurisprudenziali su questi aspetti del thema decidendum.

7. Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va rigettato.

8. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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