Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32430 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 14/12/2018), n.32430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10620 del ruolo generale dell’anno 2011

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

M.D., rappresentato e difeso, per procura speciale a

margine del controricorso, dall’Avv. Enrico Giovine, presso il cui

studio in Battipaglia, via Trieste, n. 23, è elettivamente

domiciliato;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Equitalia Polis s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del

controricorso, dall’Avv. Claudio Carrato, elettivamente domiciliata

in Roma, Circumvallazione Clodia, n. 82, presso lo studio dell’Avv.

Rita Bucolo;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, n. 100/5/2010,

depositata in data 8 marzo 2010;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 8

maggio 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate ricorre con unico motivo per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania in epigrafe con la quale è stato accolto l’appello del contribuente e riformata la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno che aveva rigettato il ricorso dal medesimo proposto;

Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: il contribuente aveva proposto ricorso avverso il provvedimento di diniego dell’istanza di sgravio di tre cartelle di pagamento che erano state emesse a seguito di avvisi di accertamento a carico della società Albalat Coop. a r.l., divenuti definitivi in quanto i suddetti atti erano stati impugnati dinanzi alla Commissione tributaria provinciale competente, che aveva rigettati i ricorsi; la Commissione tributaria provinciale di Salerno aveva rigettato il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello il contribuente contestando la propria legittimazione passiva per non aveva rivestito alcuna carica in detta società dall’1 gennaio 1990 al 30 settembre 1990; le cartelle di pagamento erano intestate a lui personalmente ma non ne aveva mai ricevuto la notifica; la definitività della pretesa impositiva poteva riguardare solo la società, non anche il contribuente; l’amministrazione finanziaria si era costituita eccependo l’inammissibilità dell’appello e la propria carenza di legittimazione passiva, nonchè la legittimità dei ruoli in quanto relativi ad atti di accertamento relativi agli anni 1990, 1991 e 1992 notificati alla società;

la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, ha accolto l’appello, avendo ritenuto, in diritto, che: la questione di fondo della controversia atteneva alla verifica della legittimità della richiesta di pagamento di sanzioni, dovute da una persona giuridica, nei confronti della persona fisica del legale rappresentante e non nella sua qualità; la definitività dell’atto doveva essere considerata esclusivamente nei confronti della società e del suo rappresentante legale ma, in quest’ultimo caso, non risultava perfezionata alcuna notifica; non risultava, quindi, la prova della notifica al contribuente della cartella di pagamento; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato ad un unico motivo di censura;

Equitalia Polis s.p.a. si è costituita con controricorso con il quale ha chiesto dichiararsi ammissibili e fondati i motivi di ricorso;

M.D. si è costituito con controricorso con cui ha chiesto il rigetto del ricorso ed ha depositato memoria il 4 maggio 2018.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza della Commissione tributaria regionale in epigrafe, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 19 e 21, per avere ritenuto sindacabile la legittimità delle cartelle di pagamento mediante l’impugnazione del rigetto dell’istanza di autotutela;

il motivo è fondato;

secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., Sez. Unite, 16 febbraio 2009, n. 3698), avverso l’atto con il quale l’amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo (come è nella fattispecie) non è sicuramente esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, sia perchè, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo;

d’altro lato, va evidenziato che la questione, che era stata prospettata dal contribuente con l’istanza di annullamento in autotutela, riguardava, secondo quanto si ricava dallo stesso controricorso da questi depositato, la non corretta attribuzione nei suoi confronti della responsabilità solidale per la sanzione irrogata a carico della società, stante il fatto che egli, nel periodo in esame, non aveva rivestito la qualifica di legale rappresentate e, pertanto, non era stata prospettata, invece, la diversa questione, presa in considerazione dal giudice di appello, della mancata notifica degli atti impositivi personalmente al contribuente, sicchè, sul punto, il giudice di primo grado aveva ritenuto che, attesa la mancata impugnazione dei ruoli e delle cartelle di pagamento, le stesse erano da considerarsi definitive;

dal motivo di ricorso del contribuente, quindi, si deduce che la ragione di doglianza dallo stesso prospettata atteneva alla circostanza che non doveva essere considerata fondata la pretesa fatta valere anche nei suoi confronti, quale rappresentante legale della società, per il pagamento in via solidale delle sanzioni irrogate nei confronti della società;

il giudice di appello, in questo contesto, si è invece pronunciato su questioni relative alla legittimità delle cartelle di pagamento che, non essendo state impugnate, non potevano essere sindacate attraverso l’impugnazione del rigetto dell’istanza di autotutela;

ne consegue la cassazione della sentenza censurata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, va confermata la pronuncia del giudice di primo grado;

sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite del giudizio di merito. La condanna alle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, conferma la decisione del giudice di primo grado;

compensa interamente tra le parti le spese di lite del giudizio di merito;

condanna il controricorrente M.D. al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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