Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32424 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 12/04/2018, dep. 14/12/2018), n.32424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 28771-2011 proposto da:

PUBLISERVIZI S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t.,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato

FRANCESCO D’AYALA VALVA, che la rappresenta e difende assieme agli

Avv.ti VICTOR UCKMAR e GIUSEPPE CORASANITI giusta procura speciale

estesa a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che

la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 89/31/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA, depositata il 15 luglio 2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12

aprile 2018 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale UMBERTO

DE AUGUSTINIS che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi per la ricorrente l’Avvocato CATERINA CORRADO OLIVA (con

delega) e per la controricorrente l’Avvocato dello Stato NERI

FABRIZIO URBANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 15 luglio 2011 la Commissione Tributaria Regionale della Toscana ha respinto l’appello avverso la sentenza n. 61/19/2009 della Commissione tributaria provinciale di Firenze, che aveva respinto il ricorso, proposto dalla società contribuente indicata in epigrafe, contro quattro comunicazioni-ingiunzioni, emesse dal 1995 al 1998, e relative iscrizioni a ruolo con recupero delle imposte non pagate (IRPEG ed ILOR) in forza del regime agevolativo previsto dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70 e dalla L. n. 427 del 1993, art. 66, comma 14, a favore delle società per azioni a capitale pubblico maggioritario.

Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi di ricorso.

Con il primo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, “difetto di giurisdizione del giudice tributario: violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2”, trattandosi di controversia relativa a recupero di aiuti di Stato.

Con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, “nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia sul motivo d’appello circa l’inesistenza della sentenza di primo grado”.

Con il terzo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione del Reg. del Consiglio 22 marzo 1999, n. 569, art. 15 e degli artt. 2946 e 2948 c.c.”, per aver la CTR applicato la prima disposizione, in quanto ritenuta norma speciale.

Con il quarto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 2 e della L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 27, comma 5, applicabile ratione temporis, nonchè dell’art. 3 della Decisione della Commissione europea, 5 giugno 2005, n. 2003/193/CE e del principio del legittimo affidamento”, laddove la CTR aveva affermato che la norma di cui all’art. 27 cit. era stata “implicitamente abrogata dal D.L. n. 10 del 2007”.

Con il quinto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, comma 2, convertito nella L. 6 aprile 2007, n. 46”, avendo la CTR affermato che il recupero delle imposte potesse essere attuato anche senza formale avviso di accertamento.

Con il sesto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 , artt. 18 e 57”, laddove la CTR aveva “ritenuto che Publiservizi avesse proposto solo in appello il motivo di impugnazione relativo alla necessità che gli aiuti dovessero essere restituiti nella misura in cui fossero stati effettivamente fruiti; con la conseguenza che, se la società era in perdita negli annualità in contestazione (a seguito di ammortamenti anticipati effettuati), non avrebbe comunque dovuto versare imposte e quindi non sarebbe stata beneficiaria effettiva di alcuna esenzione impositiva”.

Con il settimo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione del principio di non contestazione e dell’art. 115 c.p.c.”, avendo la CTR affermato “che Publisevizi non avesse fornito la prova di essere stata in perdita nelle annualità oggetto di contestazione e di non aver effettivamente fruito delle agevolazioni fiscali qualificate come aiuti di Stato” pur non essendo stato mai contestato dall’Ufficio che l’esercizio si fosse chiuso in perdita.

Con l’ottavo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione dell’art. 2697 c.c.”, laddove la CTR aveva “erroneamente caricato sulla contribuente le conseguenze negative del presunto mancato raggiungimento della prova sulla pretesa”.

Con il nono motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, art. 107, comma 1 e della decisione della Commissione Europea del 5 giugno 2002, n. 2003/193/CE” laddove la CTR aveva statuito che Publiservizi, pur non operando in regime di concorrenza, potesse essere destinataria del recupero degli aiuti di Stato.

Con il decimo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, nonchè la L. n. 185 del 2008, art. 24, comma 2, che recepisce la Decisione 2003/193/CE, art. 3 e dell’art. 15 preleggi” per avere la CTR affermato la debenza degli interessi sul recupero degli aiuti di stato.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso, deducendo l’infondatezza del ricorso.

La società contribuente ha, altresì, illustrato le proprie ragioni con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente eccepisce che la materia del recupero degli aiuti di Stato sarebbe extra-tributaria, con conseguente difetto di giurisdizione del Giudice tributario, è inammissibile, in quanto la questione di giurisdizione risulta ormai coperta da giudicato implicito, non avendo in appello la ricorrente contestato la sentenza della CTP sul punto.

1.2. Invero, allorchè il Giudice di primo grado abbia pronunciato, come nella specie, nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intende contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, eventualmente in via incidentale condizionata, trattandosi di parte vittoriosa; diversamente, l’esame della relativa questione è preclusa in sede di legittimità, essendosi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione (cfr. Cass. n. 2605/2018, 19498/2017).

2.1. Il secondo motivo di ricorso, con il quale viene censurata la mancata pronuncia della CTR sulla richiesta di annullamento della sentenza di primo grado, asseritamente pronunciatasi su presupposti fattuali del tutto diversi da quelli oggetto della materia del contendere, è parimenti inammissibile.

2.2. Atteso che la CTR risulta aver accolto preliminarmente le eccezioni procedurali dell’appellante circa la nullità della sentenza per mancata applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47 bis, comma 5, che prescrive la lettura del dispositivo in udienza, la ricorrente difetta dunque di interesse con riguardo alla questione dianzi illustrata, stante l’assorbimento di quest’ultima censura nella decisione della CTR relativa all’annullamento della sentenza di prime cure e mancando sul punto una specifica soccombenza che legittimi l’impugnazione.

3.1. E’ infondato il terzo motivo, con cui si denuncia la violazione e falsa applicazione del Reg. del Consiglio 22 marzo 1999, n. 569, art. 15 e degli artt. 2946 e 2948 c.c., sostenendo, la ricorrente, che le somme richieste debbano considerarsi prescritte non essendo intervenuto alcun atto idoneo a sospendere o interrompere la decorrenza del termine quinquennale relativo alle dichiarazioni presentate nel 2005 per aiuti di Stato ricevuti nelle annualità 1995-1998.

3.2. Orbene, sul punto trova applicazione il principio secondo il quale “in tema di recupero di aiuti di Stato, il termine di prescrizione fissato dalla disciplina nazionale non può essere calcolato prendendo come riferimento il periodo intercorso tra la fruizione degli aiuti e la notifica della comunicazione-ingiunzione, in quanto il Reg. n. 1999/659/CE, art. 15, prevede solo che i poteri della Commissione europea in materia siano soggetti ad un periodo limite di dieci anni decorrenti dal giorno in cui l’aiuto è stato concesso al beneficiario, con disposizione che, per il principio di generale prevalenza del diritto comunitario, esclude l’applicabilità della disciplina di diritto interno potenzialmente incompatibile. Nè tale disciplina contrasta con il principio di affidamento sulla legislazione nazionale e con gli artt. 53 e 97 Cost., come ritenuto dall’ordinanza della Corte Cost. n. 36 del 2009, dovendo l’inapplicabilità delle agevolazioni essere rilevata dagli stessi beneficiari e trattandosi comunque di redditi imponibili” (cfr. Cass. n. 6538/2012, fattispecie relativa alle esenzioni fiscali fruite da società per azioni a prevalente capitale pubblico per la gestione dei servizi pubblici locali).

3.3. Inoltre va confermato che “in tema di recupero di aiuti di Stato, il relativo credito erariale è soggetto al termine ordinario di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c., idoneo a garantire sia l’interesse pubblico sotteso all’azione di recupero, sia l’interesse privato ad evitare l’esposizione ad iniziative senza limiti di tempo, non essendo invece applicabile il termine di decadenza quinquennale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, sia perchè contrastante con il principio di effettività del diritto comunitario sia perchè l’azione di recupero di aiuti di Stato è vicenda giuridica diversa dal potere di accertamento in materia fiscale” (cfr. Cass. n. 15414/2015).

4.1. Parimenti infondato è il quarto motivo di ricorso, con cui si denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 2, della L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 27, comma 5, applicabile ratione temporis, nonchè dell’art. 3 della decisione della Commissione europea, 5 giugno 2005, n. 2003/193/CE, circa l’illegittimità del recupero in quanto effettuato oltre il termine di decadenza previsto dall’art. 27 cit..

4.2. La CTR, infatti, ha dato corretta applicazione al principio, in tema di recupero di aiuti di Stato, secondo cui la procedura relativa all’azione da porre in essere è assoggettata esclusivamente alle regole di cui al D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, convertito in L. 4 giugno 2007, n. 46, essendo inapplicabile l’ordinaria disciplina in tema di accertamento del reddito imponibile, poichè la disposizione del D.L. n. 10 del 2007 è stata emanata con la specifica funzione di assicurare il rispetto, da parte dello Stato italiano, del dovere di procedere al recupero delle agevolazioni usufruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico istituite per la gestione dei servizi pubblici locali e ritenute incompatibili con il diritto comunitario dalla decisione della Commissione Europea n. 2003/193 CE, dopo che la precedente disciplina di cui alla L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 27, è stata giudicata inidonea a tale scopo dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza dell’1 giugno 2006, in causa C-207/95. Ne consegue che, nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate proceda a rettifica del reddito imponibile ai fini del recupero, non deve emettere l’avviso di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 (cfr. Cass. n. 8108/2012).

4.3. Al credito erariale per il recupero di aiuti di Stato, imposto dai competenti organi dell’Unione Europea, è inapplicabile il termine di decadenza di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, sia perchè contrastante con il principio di effettività del diritto comunitario e con l’obbligo di rispettare le decisioni della Commissione, sia perchè l’azione di recupero di aiuti di Stato è vicenda giuridica diversa dal potere di accertamento in materia fiscale ed è regolata dalla normativa speciale di cui al D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito in L. 6 aprile 2007, n. 46, (Cass. n. 16349/2012; v. anche Cass. nn. 15414/2015, 15207/2012).

5.1. E’ parimenti infondato il quinto motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza impugnata per non aver affermato che l’Agenzia delle Entrate era obbligata a provvedere al recupero mediante avvisi di accertamento.

5.2. Ai sensi del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, convertito nella L. 6 aprile 2007, n. 46, l’Agenzia delle Entrate ha, infatti, l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni usufruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico istituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, per la gestione dei servizi pubblici locali e ritenute incompatibili con il diritto comunitario come aiuti di Stato dalla Decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE (cfr. Cass. n. 23414/2010), come nella specie.

6.1. E’ inammissibile il settimo motivo di ricorso con cui la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., sostenendo che la CTR non avrebbe posto a fondamento della decisione le prove documentali da essa prodotte per giustificare di “essere stata in perdita nelle annualità oggetto di contestazione e di non aver effettivamente fruito delle agevolazioni fiscali qualificate come aiuti di Stato”, circostanze asseritamente non contestate dall’amministrazione finanziaria e che, pertanto, avrebbe giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, venendo meno al dovere di porre a base della propria decisione i fatti non contestati emergenti dalla documentazione prodotta.

6.2. Al riguardo questa Corte nella sentenza n. 2196 del 2015 ha affermato che “il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario, ma, attesa (“indisponibilità dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e semprechè il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza” (conf. Cass. n. 13834/2014 e n. 9732/2016); in una successiva pronuncia (Cass. n. 26736 del 2016) è stato precisato che “l’evocato principio processualistico è certamente valevole anche per il processo tributario (Cass. n. 1540 del 2007), ma riguarda esclusivamente i profili probatori, in quanto, in ragione della indisponibilità dei diritti controversi, non può estendersi alle circostanze che implicano un’attività di giudizio” (Cass. S.U. n. 761 del 2002).

6.3. L’interpretazione del fatto, quanto agli effetti giuridici che ne derivano, non risente affatto del principio di non contestazione, essendo conseguente ad una attività valutativa in merito al significato che il fatto assume in ordine all’oggetto del giudizio; in concreto, il principio di non contestazione può condurre ad affermare pacifico il solo fatto significante, non mai anche il fatto che si sostenga da quello direttamente desumibile, ossia il significato (Cass. Sez. 5, sent. n. 2196 del 2015).

6.4. I fatti e i profili non contestati in ricorso, ed i fatti impeditivi o estintivi ivi dedotti, non contestati dall’Ufficio in sede di controdeduzioni, divengono, quindi, fatti pacifici solo sul piano della prova della loro storica esistenza (Cass. n. 10897/2005; 17966/2016; 12748/2016).

6.5. Nella specie, la CTR non ha contravvenuto a detti principi, avendo escluso l’efficacia probatoria che la società pretende di attribuire alla mancata contestazione dell’Ufficio ed alla documentazione dalla stessa prodotta (estratto dalle scritture contabili e “prospetti di riconciliazione dei valori di bilancio con le dichiarazioni Mod. 760”), valutazione sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. n. 15107 del 2013; conf. n. 19064 del 2006 e n. 26279 del 2016), nella specie dedotta, invece, nel motivo sotto il diverso profilo dell’error in iudicando; dal che l’inammissibilità del mezzo costituendo causa di inammissibilità del ricorso per cassazione l’erronea sussunzione del vizio, che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, nell’una o nell’altra fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c. (Cass. n. 21165 del 2013; conf. n. 1615 del 2015).

7. Consegue al rigetto del settimo motivo di ricorso l’assorbimento del sesto motivo, laddove si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto fosse stato formulato solo in grado di appello il motivo di impugnazione “relativo alla necessità che gli aiuti dovessero essere restituiti nella misura in cui fossero stati effettivamente fruiti”, avendo trovato piena conferma la ratio decidendi alternativa ed autonoma dianzi illustrata.

8.1. E’ fondato l’ottavo motivo di ricorso, laddove si lamenta che la CTR avrebbe onerato la contribuente dell’onere della prova circa la “non effettiva fruizione dell’aiuto”.

8.2. Come già affermato dalla Corte (Cass. n. 23799/2016, 7663/2012, 23414/2010) con riguardo al recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il mercato comune dalla decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, l’Agenzia delle entrate, ai sensi del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, conv., con modif., dalla L. n. 46 del 2007, in base alla detta normativa, ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni, ritenute incompatibili con il diritto comunitario dalla Decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE, fruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22 per la gestione dei servizi pubblici locali, dovendo escludersi il recupero nelle sole ipotesi di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola de minimis; l’onere dell’amministrazione resta pertanto limitato alla necessità di indicare (e provare) che detta società sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990, e che la stessa abbia effettivamente fruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario.

8.3. Il giudizio condotto dalla CTR, laddove ha ritenuto che la società non avesse documentato di “essere stata in perdita nel periodo in esame”, non si appalesa pertanto rispettoso dei criteri di riparto dell’onere probatorio in materia, avendo la sentenza impugnata fatto applicazione di una regola di giudizio opposta, incorrendo così nel denunciato error in iudicando.

9.1. E’ infondato il nono motivo di ricorso.

9.2. Questa Corte ha già avuto occasione di confermare l’irrilevanza, ai fini della legittimità del recupero de quo, del fatto che l’impresa beneficiaria delle agevolazioni in esame sia una società in house (quale, nella specie, la società ricorrente); si è infatti osservato che ciò discende chiaramente dalla ratio della decisione della Commissione più volte richiamata, in particolare laddove afferma che: “il mercato delle concessioni dei cosiddetti servizi pubblici è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria, aperto a tutte le imprese della Comunità e soggetto alle regole del trattato” (punto 68); “le misure in esame incidono sugli scambi tra Stati membri poichè esse danneggiano imprese straniere partecipanti a gare per concessioni locali in Italia, dato che le imprese pubbliche beneficiarie del regime in oggetto possono concorrere a prezzi più competitivi rispetto ai loro concorrenti nazionali o comunitari che non ne beneficiano. Inoltre, il regime di aiuto rende meno attraente per le imprese di altri Stati membri investire nel settore dei servizi pubblici locali in Italia (ad esempio con acquisto di partecipazione di maggioranza), poichè le aziende eventualmente acquisite non potrebbero beneficiare (o potrebbero perdere) l’aiuto, in conseguenza della natura dei nuovi azionisti” (punto 69); “quand’anche la concorrenza in un determinato settore economico e in un determinato momento sia limitata, gli Stati membri non possono adottare misure comportanti aiuti di Stato suscettibili di impedirne lo sviluppo o di diminuire il grado di concorrenza già esistente” (punto 84); le società per azioni di cui alla L. n. 142 del 1990 “possono svolgere qualsiasi attività economica in qualsiasi territorio” (punto 92) (cfr. Cass. nn. 7663/2012, 23797/2016 e 2396/2017).

10.1. E’ parimenti infondato il decimo motivo di ricorso.

10.2. La questione, infatti, è stata oggetto, in altro giudizio, dell’ordinanza interlocutoria 11 febbraio 2014, n. 3006, sulla quale si è registrata la decisione della Corte di giustizia C-89/14 del 03 settembre 2015, che ha dichiarato: “Il Reg. (CE) n. 659 del 1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, art. 14, recante modalità di applicazione dell’art. 93 del trattato CE, nonchè il Regolamento (CE) n. 794 del 2004, artt. 11 e 13, della Commissione, del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del Reg. n. 659 del 1999, non ostano a una normativa nazionale, come il D.L. del 29 novembre 2008, n. 185, art. 24, comma 4, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e imprese e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni, nella L. 28 gennaio 2009, n. 2, che preveda, tramite un rinvio al regolamento n. 794 del 2004, l’applicazione di interessi composti al recupero di un aiuto di Stato, sebbene la decisione che ha dichiarato detto aiuto incompatibile con il mercato comune e ne ha disposto il recupero sia stata adottata e notificata allo Stato membro interessato anteriormente all’entrata in vigore di detto regolamento”.

10.3. Va evidenziato, inoltre, che l’affidamento oggetto di tutela, invocato dalla controricorrente per escludere il pagamento degli interessi stante il tardivo adempimento della raccomandazione contenuta nella Decisione n. 2003/193/CE, può essere solo quello direttamente imputabile a comportamenti dell’Istituzione comunitaria, mentre non rappresenta una causa di esclusione dell’obbligo di restituzione delle somme percepite l’affidamento basato solo sulla fiducia riposta nella legge dello Stato e nel comportamento dell’Amministrazione deputata ad applicarla, tanto più nei casi, come in quello in esame, in cui l’aiuto è stato concesso in violazione del Trattato, art. 88, pt. 3.

11. Sulla base di quanto sin qui illustrato, la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in accoglimento dell’ottavo motivo, assorbito il sesto e respinti gli altri, con rinvio alla CTR della Toscana, in diversa composizione, alla quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie l’ottavo motivo di ricorso proposto dalla società Publiservizi S.p.A nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, assorbito il sesto e respinti gli altri; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, il 12 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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