Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3242 del 02/02/2022
Cassazione civile sez. II, 02/02/2022, (ud. 13/12/2021, dep. 02/02/2022), n.3242
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24050/2017 R.G. proposto da:
B.G., E M.R., rappresentate e difese
dall’avv. Giacomo Ciardelli, con domicilio eletto in Roma, alla Via
Gioacchino Belli n. 36, presso l’avv. Luca Pardini;
– ricorrenti –
contro
D.G.B., rappresentato e difeso dall’avv. Aldo
Urciuolo, con domicilio eletto in Roma, Via Flavia n. 112, presso
l’avv. Annaluce Licheri;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 874/2017,
pubblicata in data 19.4.2017
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13.12.2021
dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
Fatto
FATTI DI CAUSA
D.G.B. ha adito il tribunale di Lucca, esponendo che, con atto del 14.02.2006, aveva venduto alla Bema s.a.s. un appezzamento di terreno edificabile nel Comune di (OMISSIS), (OMISSIS), in catasto foglio (OMISSIS). Ha altresì dedotto che il contratto prevedeva letteralmente che “nella realizzazione del fabbricato di cui alla detta richiesta di concessione edilizia, la società “BE.MA. di Be.Mo. & C. s.a.s.” potrà edificare il fabbricato edificando alla distanza di mt. 4 dal confine con residui beni della parte venditrice, ogni eccezion fin d’ora rimossa da parte di quest’ultima. Le parti, in proprio e come sopra rappresentata, consentono che il presente patto venga inserito nella nota di trascrizione del presente attò.
L’art. 33, comma 2, del regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS), stabiliva – infatti – che la distanza minima dai confini non poteva essere inferiore a ml. 5,00, fatti salvi eventuali accordi in deroga tra le parti interessate.
L’attore ha lamentato che la Bema, nel realizzare la costruzione, non aveva rispetto la distanza concordata dalle parti, poiché il manufatto era stato edificato a meno di mt. 4 dal confine, e ha quindi chiesto la condanna della convenuta all’arretramento della costruzione, con risarcimento del danno e vittoria di spese di lite.
La Bema s.a.s., costituendosi in giudizio, ha eccepito che le parti avevano raggiunto accordi verbali che consentivano la costruzione a distanza inferiore a quella concordata e che l’amministrazione aveva comunque rilasciato una concessione in sanatoria, regolarizzando l’opera.
Esaurita l’istruttoria, con acquisizione documentale ed espletamento di c.t.u. e di prova testimoniale, il tribunale ha accolto la domanda, disponendo l’arretramento della costruzione fino al rispetto della distanza di mt. 4 dal confine.
L’appello proposto dalla Bema è stato respinto dalla Corte territoriale di Firenze.
Il giudice distrettuale, dopo aver dato atto le parti avevano effettivamente concordato che la società potesse realizzare una costruzione mantenendosi ad una distanza di metri 4 dal confine dell’appellato (anziché di cinque metri come previsto dalla disciplina locale) e che l’accordo era esplicitamente consentito dal regolamento edilizio comunale, ha ritenuto con detta convezione fosse stata costituita una servitù a favore del fondo dell’appellato, avente ad oggetto l’obbligo di non edificare ad una distanza inferiore a quella indicata, la cui violazione legittimava la tutela reintegratoria, non applicandosi l’art. 2058 c.c..
La cassazione della sentenza è chiesta da B.G. e M.R., quali acquirenti degli immobili realizzati dalla Bema s.a.s., con ricorso in due motivi.
D.G.B. resiste con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 1079 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, in base alle pattuizioni stipulate dalle parti, il fondo a favore della quale era stata costituita la servitù era l’immobile della società costruttrice e non quello della controparte, che non poteva considerarsi dominante, anche perché non ne era stato ancora definito il confine. Si evidenzia inoltre che il resistente, prima della vendita, aveva presentato un progetto di costruzione da realizzare sul terreno ancora indiviso, per poi tracciare un confine ideale, prima inesistente. Quindi, essendo la proprietà originariamente unica, non era possibile costituire la servitù, mancando il requisito dell’alterità dei fondi.
Il motivo non merita accoglimento.
Dalla ricostruzione in fatto operata dalla Corte distrettuale si evince che la servitù era stata costituita con lo stesso atto di trasferimento della porzione del suolo acquistata dalla Bema s.a.s., datato 14.2.2006, sicché con la stessa vendita era venuto contestualmente in essere anche il requisito dell’alterità dei fondi dominante e servente – originariamente facenti capo al solo D., che è richiesto per la costituzione della servitù.
La predisposizione di un progetto che prevedesse la realizzazione degli immobili a distanza inferiore a quella legale è circostanza non esaminata e di cui il ricorso non specifica dove e quando sia stata allegata nei gradi di merito, in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, apparendo comunque irrilevante, essendo pacifico che, al momento del perfezionamento dell’atto di trasferimento, il fondo ceduto alla Bema s.a.s. era ancora inedificato, non realizzandosi neppure quella situazione di fatto creata dall’unico proprietario, suscettibile di dar luogo alla servitù per destinazione del padre di famiglia.
E’ senz’altro indubbio che la clausola, per come risultante dalla sentenza, attribuiva un vantaggio all’immobile della Bema s.a.s. (che quindi, contrariamente a quanto si legge nella sentenza – a pag. 7- andava individuato come fondo dominante), ma, ciò nonostante, l’utilitas derivante dalla servitù non consisteva nella possibilità di derogare in toto alla distanza legale, ma nel poter edificare a distanza non inferiore a mt. 4, restando impregiudicata la facoltà del titolare del fondo servente di chiederne il rispetto (Cass. 3684/2021; Cass. 4353/1998), facendo valere la situazione di carattere reale costituita per contratto.
Questa Corte ha più volte ricordato che le convenzioni tra privati con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali, specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà, attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come “qualitas fundi”, ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù.
Nell’ipotesi, pertanto, di inosservanza della convenzione limitativa dell’edificabilità, restano esperibili i rimedi di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell’opera abusiva, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ai sensi dell’art. 873 c.c. (Cass. 24940/2021; Cass. 4770/1996).
Va – per completezza – escluso che la convenzione, volta a derogare al regime delle distanze imposte dalla normativa locale, fosse nulla per contrasto con norma inderogabile: la possibilità di edificare a distanza inferiore a quella prescritta, ove le parti avessero consensualmente previsto una distanza inferiore, era esplicitamente consentita dal del regolamento edilizio, con clausola che esprimeva una valutazione di compatibilità di tali accordi con l’interesse pubblico, tale da escludere l’applicabilità dell’art. 1418 c.c..
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 873,874 e 2058 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la Corte di merito abbia disposto la riduzione in pristino, invocando sia l’art. 873 c.c., che si riferisce alle distanze tra le costruzioni, che all’art. 874, che riguarda tutt’altra materia. Anche a ritenere che il richiamo all’art. 874 fosse un mero refuso e che la Corte di merito abbia inteso applicare l’art. 872 c.c., sarebbe esclusa la possibilità di demolizione, avendo la parte diritto solo al risarcimento del danno.
Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 2058 c.c., comma 2, artt. 1366,1375,1175 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, non essendo configurabile una servitù, il resistente poteva ottenere solo il risarcimento del danno in forma specifica, restando esclusa la demolizione, poiché eccessivamente onerosa.
I due motivi sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1. La sentenza, pur menzionando erroneamente l’art. 874 c.c. (che deve ritenersi un mero refuso), ha chiaramente posto in rilievo la natura reale del vincolo che derivava dall’accordo stipulato in deroga alle prescrizioni dello strumento locale, correttamente argomentando in merito all’inapplicabilità dell’art. 2058 c.c. e alla piena tutela ripristinatoria accordata al titolare del fondo servente. Avendo le parti costituito una vera e propria servitù, la violazione della distanza concordata legittimava la riduzione in pristino, non applicandosi in materia di diritti reali la diversa previsione dell’art. 2058 c.c..
Sul punto è sufficiente richiamare l’orientamento recentemente ribadito dalle sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 10499/2016), secondo cui l’art. 2058 c.c. non esula dall’ambito della tutela risarcitoria e non si pone come strumento autonomo da esso, suscettibile di generalizzata applicazione anche in caso di violazione dei diritti reali (Cass. s.u. 5113/2009; Cass. 2359/2012; Cass. 19942/20020).
Vi ostano la collocazione della norma, la sua portata letterale e la stessa nozione di danno, non riferibile al solo nocumento di natura patrimoniale, ma anche all’alterazione, sul piano fenomenico, come conseguenza dell’atto illecito, dell’integrità e della consistenza del bene.
Di conseguenza non è possibile applicare l’art. 2058 c.c., disciplinante la materia del risarcimento, ove venga esercitata la tutela ripristinatoria e in caso di lesione di diritti assoluti sui beni materiali, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo – come nel caso della domanda di riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze – atteso il carattere assoluto del diritto leso. (Cass. 1607/2017; Cass. 16611/2019; Cass. 19942/2020).
Il ricorso è respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
PQM
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3500,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese processuali, in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 13 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2022