Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32417 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/12/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 11/12/2019), n.32417

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21677/2017 R.G. proposto da:

F.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Alboni Roberto, con

domicilio eletto in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona dei curatori p.t. Dott.

C.F. e C.L., rappresentato e difeso dall’Avv.

Prof. Di Cecco Giustino, con domicilio eletto in Roma, via del Banco

di S. Spirito, n. 42;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Arezzo depositato il 24 luglio

2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 giugno

2019 dal Consigliere Mercolino Guido.

Fatto

RILEVATO

che il Dott. Gino Faralli ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso il decreto del 24 luglio 2017, con cui il Tribunale di Arezzo ha rigettato l’opposizione da lui proposta avverso lo stato passivo del (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, escludendo la pre-deducibilità del credito di Euro 22.500,00, oltre IVA e CAP, da lui fatto valere ed ammesso al passivo in chirografo, a titolo di compenso per l’attività professionale prestata in favore della società fallita ai fini dell’elaborazione e della presentazione di una precedente domanda di ammissione al concordato preventivo;

che i curatori del fallimento hanno resistito con controricorso, illustrato anche con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 111, osservando che, nell’escludere che il credito fosse sorto in funzione del concordato preventivo, a causa della mancata omologazione del concordato, il decreto impugnato non ha tenuto conto della ratio della predetta disposizione, volta a promuovere l’impegno dei professionisti nei confronti di imprese in crisi, avendo erroneamente subordinato il riconoscimento della prededuzione alla verifica del risultato della prestazione o della sua concreta utilità per la massa, senza considerare che la domanda era stata ritenuta ammissibile, in quanto la procedura era stata dichiarata aperta;

che, nell’escludere la consecuzione tra le procedure, in virtù del tempo trascorso tra la presentazione della domanda di ammissione al concordato e la dichiarazione di fallimento, il Tribunale ha inoltre conferito rilievo ad un fatto mai eccepito dalle parti, senza concedere ad esso ricorrente la possibilità di difendersi e senza tener conto dell’intervenuta abrogazione del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, art. 11, comma 3-quater, la cui applicazione non poteva ritenersi d’altronde limitata ai soli casi in cui la dichiarazione di fallimento avesse fatto immediatamente seguito al rigetto della domanda di concordato;

che il ricorso è fondato;

che, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, il credito fatto valere da un professionista a titolo di compenso per l’assistenza prestata in favore del debitore ai fini della redazione e della presentazione di una domanda di concordato preventivo rientra de plano tra quelli sorti “in funzione” della procedura, e nel successivo fallimento deve essere pertanto soddisfatto in prededuzione, ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 2, senza che ai fini di tale collocazione debba accertarsi, con valutazione ex post, se la prestazione resa sia risultata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti (cfr. Cass., Sez. I, 24/09/2018, n. 22467; 4/11/2015, n. 22450);

che, nel richiamare il predetto principio, il decreto impugnato ha reputato peraltro essenziale, ai fini del riconoscimento della strumentalità del credito, l’adeguatezza funzionale della prestazione rispetto agl’interessi della massa, affermando che, in tale prospettiva, la proposta di concordato elaborata con l’ausilio del professionista deve rivelarsi quanto meno ammissibile, cioè dotata di fattibilità giuridica, e negando pertanto che nella specie il credito potesse essere collocato in prededuzione, in virtù della constatazione che il concordato, pur dichiarato ammissibile e votato dai creditori, non era stato omologato per difetto di fattibilità giuridica della proposta;

che tale affermazione trova smentita in una recente pronuncia di questa Corte, che, in riferimento ad una fattispecie analoga quella in esame, in cui l’ammissione al concordato preventivo era stata revocata per difetto di fat-tibilità giuridica della proposta, ha ribadito il principio secondo cui la verifica del nesso di funzionalità/strumentalità deve essere compiuta controllando se l’attività professionale prestata possa essere ricondotta nell’alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante, indipendentemente dall’evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale;

che, a sostegno di tale conclusione, è stata posta in risalto la ratio dello art. 111, comma 2, osservandosi che l’estensione della prededucibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali costituisce un’eccezione al principio della par condicio creditorum, introdotta per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa, e quindi priva di restrizioni, e concludendosi quindi che la funzionalità è ravvisabile ogni qualvolta le prestazioni compiute dal terzo, per il momento e il modo con cui sono state assunte in un rapporto obbligatorio con il debitore, confluiscano nel disegno di risanamento da quest’ultimo predisposto, in modo da rientrare in una complessiva causa economico-organizzativa almeno preparatoria di una procedura concorsuale, a meno che non ne risulti dimostrato il carattere sovrabbondante o superfluo rispetto all’iniziativa assunta (cfr. Cass., Sez. I, 19/02/2019, n. 4859);

che, nella medesima ottica, non può ritenersi condivisibile l’affermazione del decreto impugnato, secondo cui, anche a voler valutare l’operato del professionista sotto il profilo dell’adempimento contrattuale, il compenso andrebbe escluso o ridotto, alla luce dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento, tenendo conto del fatto che l’attività prevista dall’incarico professionale, proprio a cagione dell’anticipato arresto della procedura di concordato, non sia stata portata a compimento;

che, con riguardo all’ipotesi in cui l’incarico del professionista sia culminato nella presentazione della domanda, cui abbia fatto seguito l’apertura della procedura, questa Corte ha infatti ritenuto che non possa negarsi la nascita del diritto al compenso in favore del professionista, chiarendo che l’eccezione di inadempimento eventualmente formulata dal curatore in sede di ammissione al passivo può trovare accoglimento solo in quanto sia stato precisato il concreto pregiudizio prodotto da eventuali inesattezze contenute nella domanda, posto che tali inesattezze non hanno pregiudicato l’astratta idoneità della stessa a realizzare il risultato dell’apertura del concordato (cfr. Cass., Sez. I, 24/09/2018, n. 22467);

che, quanto infine al rapporto di consecuzione tra le procedure concorsuali, il cui accertamento non postula un’apposita eccezione di parte, trattandosi di un presupposto di fatto indispensabile per il riconoscimento della prededuzione, l’intervallo di tempo eventualmente intercorso tra la proposizione della domanda di concordato e l’apertura del fallimento non determina di per sè una soluzione di continuità fra le procedure, che costituiscono di norma espressione della medesima crisi economica dell’impresa, a meno che detto intervallo non costituisca uno degli elementi dimostrativi della variazione dei presupposti (soggettivi ed oggettivi) dell’unificazione delle procedure (cfr. Cass., Sez. I, 28/07/1999, n. 8164; 14/12/1998, n. 12536);

che, in applicazione dei predetti principi, il decreto impugnato va pertanto cassato, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Arezzo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato; rinvia al Tribunale di Arezzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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