Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32416 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 12/04/2018, dep. 14/12/2018), n.32416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7198/2011 R.G. proposto da:

D.B.S., rappresentato e difeso dagli Avvocati Giuseppe

Zizzo, Francesco Rigano e Claudio Lucisano, elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via

Crescenzio n. 91, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia n.

133/2010 depositata il 10 agosto 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 aprile 2018

dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo

l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso;

uditi gli Avv. Claudio Lucisano e Zizzo Giuseppe per il ricorrente e

l’Avv. Fabrizio Neri Urbani per l’Agenzia delle entrate;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con cartella di pagamento ai sensi del D.P.R. 600 del 1973, art. 36 bis, l’Agenzia delle entrate rilevava dal modello 770/2004, relativo ai redditi del 2003, con riferimento ai dati forniti dal sostituto di imposta Makroform, redditi soggetti a tassazione separata, per la somma di Euro 38.366,99, oltre interessi e sanzioni, indicando come anno di insorgenza del diritto al trattamento di fine rapporto di D.B.S. il 2000, e con la dizione “indennità per la cessazione di collaborazione coordinata e continuativa ammontante ad un imponibile di euro 200.683”.

2. Presentava ricorso il contribuente evidenziando che il rapporto di lavoro con la Makroform era cessato il 1-12-2000, che, però, le somme relative al trattamento di fine rapporto erano state erogate in due soluzioni, Euro 96.618,16 nell’anno 2001 ed Euro 110.296,08 nell’anno 2003, che tali redditi erano stati soggetti a tassazione separata da parte del datore di lavoro, come attestato dai modello CUD 2002 e CUD 2004, che dopo il 2000, anno di cessazione del rapporto di lavoro, non vi erano stati altri redditi da lavoro dipendente, che vi era stata una errata compilazione dei modelli Cud da parte della società, che era stato persino indicato che le somme “sarebbero riferite a rapporti maturati dopo il 1/1/2001” (cfr. pag. 4 del ricorso per Cassazione), che invece, tutte le somme erano maturate entro il 31-12-2000, che le quote di trattamento di fine rapporto maturate prima dell’1-1-2001 erano “tassate in via definitiva” ai sensi del D.P.R. 917 del 1986, art. 17, prima delle modifiche di cui al D.Lgs n. 47 del 2000, applicabili solo a decorrere dopo l’1-1-2001.

3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso del contribuente, rilevando che il rapporto di lavoro era cessato prima del 31-12-2000, che solo per errore il sostituto di imposta aveva indicato nel modello Cud 2002 che il trattamento di fine rapporto erogato era riferibile alle quote maturate a decorrere dall’1-1-2001, mentre il ricorrente nell’anno 2001 non aveva avuto alcun rapporto di lavoro con detto sostituto di imposta, che, quindi, poichè il trattamento di fine rapporto era maturato entro il 31-12-2000, la liquidazione effettuata dal sostituto di imposta doveva ritenersi definitiva ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, commi 1 e 2, modificato dal D.Lgs. del 18 febbraio 2000, n. 47.

4. Con l’appello l’Agenzia rilevava di aver effettuato uno sgravio parziale, con detrazione dalle imposte delle ritenute sul TFR corrisposto nell’anno 2001 (Cud 2002), ma che gli importi restanti erano dovuti dal contribuente in qualità di obbligato principale verso il Fisco.

5. L’appellato contribuente rilevava che l’unica dichiarazione da controllare era quella del sostituto di imposta, unico destinatario di eventuali differenze dovute.

5. La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello dell’Ufficio, evidenziando che il sostituito era fin dall’origine obbligato solidale al pagamento dell’imposta, che nella motivazione dell’atto impugnato si leggeva che il controllo formale riguardava “indennità per la cessazione di collaborazione coordinata e continuativa ammontante ad un imponibile di Euro 200.683”, che l’eccezione del contribuente sulla “definitività” della liquidazione operata dal sostituto di imposta non era supportata dalla documentazione in atti, che la lettera di cessazione del rapporto di lavoro dell’1-12-2000 era superata dal modello Cud 2002, da cui risultava che la somma di Euro 96.322,08, erogata nel 2001, a titolo di “indennità di fine rapporto” era rilevante ai fini contributivi INPDAI per l’intero anno 2001, che l’assoggettamento a contributi previdenziali indicava che il rapporto di lavoro era continuato anche nel 2001, con la ulteriore conferma proveniente dall’annotazione nel Cud che la somma suindicata riguardava “quote di TFR maturate a decorrere dall’1-1-2001″, che era onere del contribuente dimostrare che l’indennità indicata consisteva proprio nel TFR (pagato con ritardo) e che il diritto alla percezione del trattamento di fine rapporto era sorto nel 2000 ” e non in una indennità per la cessazione di altro rapporto di collaborazione coordinata e continuativa”, che quindi era stata corretta la riliquidazione operata dall’Ufficio sulla somma di Euro 110.296,08″, con tassazione, peraltro, anche di “somme diverse, o comunque aggiuntive, a quelle indicate nel Mod. Cud 2004.

6. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione il contribuente.

7. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.

8. Il ricorrente depositava memoria scritta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISONE

1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, avendo la Commissione regionale negato un fatto, invece, pacifico tra le parti, ossia la circostanza che il diritto alle somme era maturato nel 2000.

1.1. Tale motivo è inammissibile.

Invero, il riferimento alla violazione del principio di non contestazione deve essere dedotto come violazione del disposto dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, attenendo la non contestazione ad un meccanismo di semplificazione processuale, prima elaborato dalla giurisprudenza e poi incasellato nell’art. 115 c.p.c., a decorre dalla L. n. 69 del 2009.

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente evidenzia la “violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione e dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, in quanto per il principio di non contestazione la circostanza che le somme erogate dal sostituto di imposta negli anni 2001 e 2003 fossero relative ad indennità di fine rapporto di lavoro dipendente e maturate entro il 31-12-2000 non è stata mai contraddetta dall’Agenzia.

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto è pacifico che il diritto alle somme considerate nella cartella è sorto prima del 31-12-2000.

3.1. Tali motivi, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

Invero, l’Agenzia delle entrate ha specificatamente contestato le richieste del contribuente, sostenendo la avvenuta prosecuzione del rapporto di lavoro anche per l’anno 2001.

Infatti, la circostanza che le somme non fossero riconducibili per intero alla indennità di fine del rapporto di lavoro subordinato cessato l’1-12-2000, non risulta pacifica tra le parti.

Proprio dal modello CUD 2004 del sostituto di imposta emerge che la somma di Euro 96.322,08 erogata nel 2001, a titolo di indennità di fine rapporto, altre indennità e somme soggette a tassazione separata, era rilevante ai fini contributivi per l’intero anno 2001, sicchè il rapporto di lavoro era proseguito anche nel 2001. Inoltre, sempre nel CUD 2004 del sostituto di imposta si legge che il trattamento di fine rapporto è maturato a decorrere dall’1-1-2001.

Peraltro, nella sentenza della Commissione regionale, sul punto, si rileva che era onere del contribuente dimostrare che l’indennità indicata nel Modello Cud 2004 del sostituto consisteva proprio nel trattamento di fine rapporto, con diritto sorto nell’anno 2000 “e non in una indennità per la cessazione di altro rapporto di collaborazione coordinata e continuativa”, come risulta dalla cartella di pagamento impugnata, con legittima riliquidazione da parte dell’ufficio sulla somma di Euro 110.296,08.

La Commissione regionale, quindi, nella sua motivazione che risulta sufficientemente argomentata, ha valorizzato, da un lato la circostanza che i dati sono stati forniti dal sostituto di imposta con il Modello 770 in relazione agli anni 2001 e 2003, oltre al contenuto della lettera di cessazione del rapporto come inesorabilmente inficiato dai successivi contributi previdenziali pagati per l’intero anno 2001, e dall’altro, l’annotazione nel modello Cud secondo cui la somma era relativa alle quote di trattamento di fine rapporto maturate a decorrere dall’1-1-2001, riferire ad altro rapporto di collaborazione, coordinata e continuativa come risultante dalla cartella di pagamento.

4. Con il quarto motivo di impugnazione si deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, in quanto il ricorrente ha sempre negato che le somme di cui alla cartella fossero relative a rapporto diversi da quello di lavoro subordinato cessato il 1-12-2000 “non potendo certamente bastare la mera affermazione della loro esistenza, e della loro natura di indennità per la cessazione di rapporti di lavoro coordinato e continuativo, a giustificare la conferma della pretesa avanzata con la cartella in controversia”. Vi è stato, quindi, malgoverno delle regole sulla distribuzione dell’onere della prova nel processo tributario.

4. Il motivo è infondato.

Invero, per la Suprema Corte, in tema di IRAP, nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa dall’Amministrazione finanziaria D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, spetta al contribuente, che “ritratta” la propria dichiarazione, fornire la prova, in applicazione dell’art. 2697 c.c., del fatto impedivo dell’obbligazione tributaria (asserita mancanza dell’autonoma organizzazione), determinandosi, altrimenti, un’irrazionale disparità di trattamento tra coloro che chiedono il rimborso di un’imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, e coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti all’imposta ed averne indicato l’ammontare in dichiarazione, ne omettono il versamento (Cass.Civ., 28 dicembre 2016, n. 27127).

In effetti, dal modello 770 del sostituto di imposta emerge proprio che, in realtà, il rapporto di lavoro non è cessato entro il 31-12-2000, impedendo così la riliquidazione del trattamento di fine rapporto successivo a tale data.

Infatti, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, prima delle modifiche di cui al D.Lgs. 47 del 2000, prevede la tassazione della indennità di fine rapporto secondo un metodo unitario “fisso”, la cui determinazione era “definitiva” (“Tuttavia le medesime indennità…se percepite a titolo definitivo per effetto della cessazione del solo rapporto con il soggetto erogatore, sono imponibili per il loro ammontare netto con l’aliquota determinata con il criterio di cui al comma 1”).

Le modifiche di cui al D.Lgs. n. 47 del 2000, invece, ai sensi del D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 19, riguardano le quota di trattamento di fine rapporto “maturate a decorrere dal 1 gennaio 2001″, mentre per il trattamento di fine rapporto, comprese le relative anticipazioni,… maturate fino a tale data continuano ad applicarsi le disposizioni del menzionato art. 17, nel testo vigente anteriormente alla data stessa”.

Pertanto, solo alle quote di trattamento a decorrere dall’1-1-2001 è prevista la determinazione “bifasica” dell’imposizione, aggiungendo al T.U.I.R. il nuovo art. 17, che “Gli uffici finanziari provvedono a riliquidare l’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione”.

Dal modello 770 del sostituto è emerso anche che la somma erogata era “rilevante ai fini contributi Inpdai per l’intero anno 2001”, sicchè correttamente la Commissione regionale ne ha desunto che “l’assoggettamento a contributi previdenziali indica che il rapporto di lavoro è, almeno giuridicamente, proseguito anche nel 2001, con l’ulteriore elemento dato dal riferimento inserito nel modello 770 che il “TFR erogato riferibile alle quote di TFR maturate a decorrere dall’1-1-2001”.

Tutti elementi che, letti congiuntamente, hanno consentito alla Agenzia di superare il contenuto formale della lettera di cessazione del rapporto di lavoro subordinato all’1-12-2000. Due circostanze che risultano di concreto ed univoco valore probatorio.

5. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17 (ora 19), (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, in quanto il T.U.I.R., art. 17 è stato innovato dal D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 11, ma a prescindere dalla disciplina applicabile, quindi a seconda che il trattamento di fine rapporto, sia originato entro il 3112-2000 o successivamente, comunque l’aliquota media deve essere conteggiata non nella misura del 37,48%, ma attraverso la determinazione del “reddito di riferimento”, sul quale liquidare l’imposta sulla base delle aliquote progressive irpef vigenti nell’anno in cui sorge il diritto alla percezione delle somme.

5.1. Tale motivo è inammissibile, in quanto, da un lato, è carente di autosufficienza, non consentendo di comprendere appieno il ragionamento sotteso alla censura di violazione di legge (a pagina 28 del ricorso si fa riferimento in via del tutto generica alla determinazione di una aliquota di riferimento pari al 37,48%, senza indicare altro in relazione alla stessa), e, dall’altro, pur indicando una pretesa violazione di legge, in realtà, va a censurare l’apprezzamento di fatto degli elementi probatori da parte del giudice di merito, richiedendo una diversa valutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità (cfr. l’indicazione del meccanismo di calcolo a pagina 29 del ricorso “quindi si moltiplicava il risultato per cento, ottenendo la misura dell’aliquota media (M), dove M=I.100/R”).

6. Le spese del giudizio vanno poste a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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