Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32411 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. I, 11/12/2019, (ud. 18/10/2019, dep. 11/12/2019), n.32411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31457/2018 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via C. Poma n. 4,

presso lo studio dell’Avv. Gualtieri Maria Teresa, rappresentato e

difeso dall’Avv. Di Blasi Francesco, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

R.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via E. Fermi n. 80,

presso lo studio dell’Avv. Pesce Salvatore, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Roma;

– intimato –

avverso il decreto cron. N. 4731/18 del TRIBUNALE PER I MINORENNI di

ROMA, depositato il 27/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/10/2019 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale per i minorenni di Roma, con decreto depositato in data 27/07/2018, ha respinto la richiesta di D.M. di ordine di rimpatrio in Giappone delle minori D.L., nata, a (OMISSIS) e D.L., nata, a (OMISSIS), dai coniugi D. e R., a seguito di loro sottrazione internazionale attuata, nell’ottobre 2017, dalla madre, R.M., rientrata in Italia (dal Giappone ove la famiglia, per decisione condivisa dei genitori, dal 2016 aveva trasferito la residenza, ivi lavorando, dal 2015, il D., fantino di fama internazionale) con le bambine, al fine di ristabilire l’effettivo esercizio della responsabilità genitoriale in capo al padre. In particolare, il Tribunale, ascoltate le minori ed entrambi i genitori, ha sostenuto che sussisterebbero le condizioni per l’emissione dell’ordine di ritorno delle minori (trasferite in Italia per decisione unilaterale della madre, nel quadro di una forte tensione tra i coniugi) in Giappone, Stato di loro residenza abituale, i cui Giudici sono titolari della giurisdizione per la controversia concernente l’affidamento – pur essendo la normativa italiana applicabile alla situazione, connotata da elementi di internazionalità a causa dell’ultima residenza abituale delle minori in Giappone, quale legge nazionale delle figlie e dei genitori, in forza sia della Legge Nazionale n. 218 del 1995, sia della L. n. 10 del 1898, art. 32, di diritto internazionale privato giapponese -, in difetto, alio stato, di attivazione di alcuna procedura in merito all’affidamento delle due minori, pendendo invece dinanzi al Tribunale di Velletri una procedura di separazione personale dei coniugi (incardinato dalla R. nel 2017).

Tuttavia, ad avviso dei giudici minorili, il rientro forzoso in Giappone comporterebbe, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. b della Convenzione dell’Ala, il fondato rischio per le due minori di essere esposte ad un vero pericolo psichico o comunque ad una situazione intollerabile, considerati i rischi derivanti dalla durata del procedimento giudiziario in detto Paese per l’affidamento (stante la necessità di una difficile attivazione di filtri linguistici e culturali) ed il probabile aumento dell’ostilità delle bambine nei confronti del padre (da addebitare ad una grave responsabilità della madre, invitata pertanto, dai giudici minorili, a prendere coscienza dei danni di tale manipolazione, in particolare, dei sentimenti della figlia L.), cui addebiterebbero il distacco improvviso dalla madre, essendo emerso, dall’ascolto delle minori che “il Giappone non è la casa a cui tornare ma una fase della loro vita, in cui, specie per la maggiore L., i momenti di disagio prevalevano su quelli di serenità”.

Avverso la suddetta pronuncia, D.M. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di R.M. (che resiste con controricorso). Il ricorrente ha depositato memorie; la controricorrente ha depositato documenti (copie dei certificati di residenza delle minori).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 3 e 12 della Convenzione dell’Ala del 1980, in materia di sottrazione internazionale dei minori, resa esecutiva con L. n. 64 del 1994, in merito ai presupposti che legittimavano l’ordine di rimpatrio, avendo il Tribunale riconosciuto che vi era stato un illecito trasferimento in Italia delle minori, con distacco dal luogo di residenza abituale in Giappone, da parte della madre, ma negato, inspiegabilmente, l’ordine di rimpatrio; 2) con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1, lett. b) della Convenzione dell’Aja del 1980, in merito all’insussistenza di un fondato rischio per le due minori, in caso di ritorno in Giappone, di essere esposte a pericolo fisico o psichico o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile, ritenuto esistente dal Tribunale sulla base di mere supposizioni, senza adeguati approfondimenti tecnici (avendo tra l’altro lo stesso PM, nelle conclusioni, espresso parere favorevole al rimpatrio in Giappone); 3) sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla rescissione del legame padre-figlie e dall’alienazione della figura paterna ad opera della R. con l’illecita sottrazione, sia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della CEDU, in merito alla mancata tutela del diritto alla vita famigliare.

2. Le prime due censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono infondate.

La disciplina sulla sottrazione internazionale, di cui alla Convenzione dell’Aja del 1980, resa esecutiva in Italia nel 1994, mira a tutelare il minore contro gli effetti nocivi del suo illecito trasferimento o mancato rientro nel luogo ove egli svolge la sua abituale vita quotidiana, sul presupposto della tutela del superiore interesse dello stesso alla conservazione delle relazioni interpersonali che fanno parte del suo mondo e costituiscono la sua identità (Corte Cost. 231/2001).

L’art. 12 della Convenzione prescrive: “Qualora un minore sia stato illecitamente trasferito o trattenuto ai sensi dell’art. 3, e sia trascorso un periodo inferiore ad un anno, a decorrere dal trasferimento o dal mancato ritorno del minore, fino alla presentazione dell’istanza presso l’Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente dove si trova il minore, l’autorità adita ordina il suo ritorno immediato. L’Autorità giudiziaria o amministrativa, benchè adita dopo la scadenza del periodo di un anno di cui al capoverso precedente, deve ordinare il ritorno del minore, a meno che non sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente…”. L’art. 13, stabilisce poi che l’Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non sia tenuta ad ordinare il ritorno del minore “qualora la persona, istituzione o ente che si oppone al ritorno, dimostri: a) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno; o b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile”. L’Autorità giudiziaria o amministrativa può altresì, sempre secondo l’art. 13, rifiutarsi di ordinare il ritorno del minore qualora essa accerti che il minore si oppone al ritorno e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere.

Il luogo da cui il minore non deve essere arbitrariamente distolto ed in cui, se allontanato, deve essere immediatamente riaccompagnato è la residenza abituale, da intendersi quale luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, ma anche scolastici, amicali ed altro, derivanti dallo svolgersi della sua quotidiana vita di relazione.

Una volta accertato, in capo al genitore richiedente il rimpatrio, l’effettivo esercizio del diritto di affidamento al momento del trasferimento nonchè il luogo costituente residenza abituale del minore, costituiscono pertanto condizioni ostative al rientro il fondato rischio, per il minore, di essere sottoposto a pericoli fisici o psichici o, comunque, di trovarsi in una situazione intollerabile (art. 13, comma 1 lett. b). Altro elemento che il Tribunale dovrà imprescindibilmente valutare è la volontà del minore, quando abbia raggiunto un’età ed un grado di maturazione tali da giustificare il rispetto della sua opinione (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2017, n. 3319; Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2016, n. 18846; Cass. civ., se.I, 5 marzo 2014, n. 5237). Quando l’episodio di sottrazione internazionale rimanga circoscritto al territorio dell’Unione Europea, troverà applicazione il procedimento per il rientro del minore previsto dalla convenzione dell’Aja del 1980, integrato dalle disposizioni del successivo reg. n. 2001/2003, che prevale sulla convenzione nelle relazioni tra Stati membri dell’Ue. Va richiamata altresì la convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996, sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, ratificata dal nostro Paese solo di recente, con la L. 18 giugno 2015, n. 101, ed entrata in vigore il 1 gennaio 2016, che, nell’àmbito della più ampia materia della responsabilità genitoriale, contiene alcune disposizioni di rilevanza processuale che riguardano la sottrazione internazionale dei minori.

Nella specie, la sottrazione internazionale ha riguardato minori residenti stabilmente, da ultimo, in Giappone, che ha aderito alla Convenzione dell’Ala del 1980, ove la famiglia, prima residente in Italia, si era trasferita dal 2016.

Questa Corte sin dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 9501 del 1998 ha chiarito che “in tema di illecita sottrazione internazionale di minori, l’art. 13, lett. b), della Convenzione dell’Aja non consente al giudice cui sia richiesto di emettere provvedimento di rientro nello Stato di residenza del minore illecitamente trattenuto da un genitore, di valutare inconvenienti connessi al prospettato rientro, che non raggiungano il grado del pericolo fisico o psichico o della effettiva intollerabilità da parte del minore, essendo questi, e solo questi, gli elementi considerati dalla predetta Convenzione rilevanti ed ostativi al rientro” (nella specie, si è ritenuto irrilevante, ai fini della decisione sul rientro di due minori, affidati provvisoriamente alla madre e residenti in Gran Bretagna, condotti in Italia dal padre per una vacanza e non riconsegnati alla scadenza stabilita alla madre, il lunghissimo periodo di tempo trascorso in Italia ed il loro stabile inserimento nell’ambiente del genitore). Il principio è stato successivamente ribadito (Cass. 2474/2004; Cass. 14792/2014; Cass. 2417/2016).

Sempre questa Corte ha precisato (Cass. 8000/2004; Cass. 5236/2007; Cass. 20365/2011) che il giudizio sulla domanda di rimpatrio non investe il merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore, cosicchè tale domanda “può essere respinta, nel superiore interesse del minore, solo in presenza di una delle circostanze ostative indicate dagli artt. 12, 13 e 20 della Convenzione, fra le quali non è compresa alcuna controindicazione di carattere comparativo che non assurga – nella valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito – al rango di vero e proprio rischio, derivante dal rientro, di esposizione a pericoli fisici e psichici o ad una situazione intollerabile”. Il giudice, nella sostanza, deve attenersi ad un criterio di rigorosa interpretazione della portata della condizione ostativa al rientro, sicchè egli non può dar peso al mero trauma psicologico o alla semplice sofferenza morale per il distacco dal genitore autore della sottrazione abusiva, a meno che tali inconvenienti non raggiungano il grado – richiesto dalla citata norma convenzionale – del pericolo psichico o della effettiva intollerabilità da parte del minore (Cass. 6081/2006).

L’accertamento sulla sussistenza delle uniche condizioni ritenute rilevanti ed ostative al rientro dall’art. 13, lett. b), della Convenzione dell’Aja del 1980 (vale a dire il grado del pericolo fisico o psichico o della effettiva intollerabilità) costituisce indagine di fatto sottratta al controllo di legittimità, esigendo la valutazione di elementi probatori, se la ponderazione del giudice di merito è sorretta da una motivazione immune da vizi logici e giuridici.

Ora, il Tribunale, a fronte della richiesta paterna di rimpatrio attivata entro un anno dalla sottrazione delle minori, dopo avere accertato che, dal febbraio 2016 all’ottobre 2017, si era “stabilizzata in Giappone la residenza abituale della famiglia e, in particolare, delle due bambine, che là hanno frequentato la scuola ed hanno iniziato ad avere una vita sociale”, con conseguente sussistenza della giurisdizione del Giappone per la controversia concernente l’affidamento delle minori, allo stato, peraltro, non ancora attivata (essendo invece pendente, dal 2017, su ricorso della R., un procedimento di separazione personale dei coniugi, attualmente sospeso), e sebbene in astratto fossero sussistenti i presupposti di un possibile rimpatrio delle minori in Giappone, trattandosi di sottrazione illecita delle stesse posta in essere dalla madre, essendo la decisione del mancato rientro in Giappone avvenuta senza il consenso (ed in contrasto) con l’altro genitore titolare effettivo del diritto di custodia, ha ritenuto che ricorressero, in una situazione, a causa delle dinamiche dei rapporti

all’interno della famiglia, “già cosi deteriorata”, le condizioni derogatorie ostative enucleate dall’art. 13, lett. b) della Convenzione dell’Aja.

In particolare, il Tribunale – pur avendo anche, ad abundantiam, espresso dubbi sul fatto che il giudice giapponese fosse davvero “nelle migliori condizioni per decidere del destino delle due bambine”, per ragioni correlate essenzialmente alla diversa lingua ed alla diversa cultura, dovendo farsi ricorso ad interprete, ed ai lunghi tempi di attesa del procedimento, considerazioni queste, in effetti, come rilevato nel presente ricorso per cassazione, opinabili – ha ritenuto, all’esito dell’audizione delle due bambine, sussistente un vero pericolo psichico per le minori di incremento dell’ostilità delle bambine nei confronti del padre, cui verrebbe inevitabilmente addebitato lo strappo dal loro ambiente in Italia (ove sono nate e vissute sino al 2016 ed ove la famiglia si è formata), essendo emerso che “il Giappone non è la casa a cui tornare ma una fase della loro vita, in cui, specie per la maggiore L., i momenti di disagio prevalevano su quelli di serenità”; il Tribunale ha comunque evidenziato altresì una responsabilità della madre per “la manipolazione dei sentimenti della figlia” maggiore, incapace di nutrire ed esternare sentimenti di affetto nei confronti del padre.

Trattasi di valutazione conforme ai principi di diritto sopra richiamati e di accertamento in fatto immune da vizi motivazionali, nei limiti segnati dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. S.U. 8053/2014).

Le doglianze espresse, in memoria, dal ricorrente, in ordine alle modalità di esercizio del diritto di visita, in Italia, delle minori da parte del padre, residente in Giappone ove esercita la sua attività professionale, stabilite nel giudizio di separazione giudiziale dei coniugi pendente dinanzi al Tribunale di Velletri, non possono formare del presente giudizio.

3. Il terzo motivo è inammissibile, avendo la Corte vagliato la complessiva situazione famigliare e personale delle due minori, senza trascurare fatti decisivi, ritenendo la soluzione dell’ordine di rimpatrio immediato in Giappone impraticabile alla luce del vaglio dell’interesse delle minori e del rischio psichico cui esse andrebbero incontro, pur auspicando una presa di coscienza della madre in ordine alla necessità di assicurare un effettivo diritto alla bigenitorialità delle due bambine.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Ricorrono giusti motivi, considerate tutte le peculiarità della controversia, per compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

Essendo il procedimento esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Dichiara le spese del presente giudizio di legittimità integralmente compensate tra le parti.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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