Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32410 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. I, 11/12/2019, (ud. 18/10/2019, dep. 11/12/2019), n.32410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30520/2018 proposto da:

C.D., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’Avv. Clorinda delli Paoli, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.E., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avv. Cortesi Paola Fatima, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente incidentale –

e contro

Avv. D.S.A., nella qualità di curatore speciale del minore

P.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Chiusi n. 31,

presso lo studio dell’Avv. Scarnati Alessandra, rappresentato e

difeso dall’Avv. Marinucci Ugo, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

Procuratore della Repubblica presso la Corte D’Appello di L’Aquila;

Sindaco del Comune di L’Aquila;

– intimati –

avverso la sentenza n. 32/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

pubblicata il 20/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/10/2019 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 32/2018, depositata il 20/09/2018, – in controversia concernente lo stato di adottabilità del minore P.M., nato, il (OMISSIS), dalla relazione sentimentale tra C.D. ed P.E., – ha confermata la decisione di primo grado, dell’aprile 2018, che, a fronte della totale inadeguatezza dei genitori a prendersi cura del minore, aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore, da più di due anni collocato in una casa famiglia (in quanto lo stesso presentava ritardi nello sviluppo delle capacità neurolinguistiche e comunicative ed i genitori, terminata la relazione, avevano anche interrotto i rapporti con i Servizi Sociali, cui era stato, nel 2015, affidato il piccolo, e si erano disinteressati del minore).

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che, quanto al padre, lo stesso non era stato in grado di formulare, per un triennio, un progetto di vita, che gli consentisse di prendersi cura del figlio in un ambiente adeguato (essendo rimasto disoccupato ed avendo vissuto, scontata una pena detentiva, in una “ex stalla”), offrendogli assistenza morale e materiale, ed aveva trovato un lavoro, a tempo determinato, e preso una casa in locazione, solo in pendenza del giudizio di appello, e che, quanto alla madre, la stessa si era disinteressata del figlio, quantomeno dall’agosto 2016, e solo in pendenza del giudizio di appello aveva trovato un lavoro ed una casa (il cui contratto di locazione era, peraltro, intestato ad un soggetto con il quale la stessa assumeva di convivere); in sostanza, a fronte dei comportamenti tenuti dai genitori, doveva confermarsi il giudizio di inadeguatezza delle capacità genitoriali (il che rendeva non necessario disporre una consulenza tecnica) ed il minore, da tre anni ospitato in una casa famiglia, aveva urgente necessità di trovare un ambiente famigliare idoneo.

Avverso la suddetta pronuncia, C.D. propone ricorso per cassazione, notificato il 17/10/2018, affidato ad unico motivo, nei confronti di P.E. (che resiste con controricorso e ricorso incidentale) e dell’Avv.to Augusto Di Sano, quale curatore speciale del minore P.M., (che resiste con controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 115 e 116 c.p.c., ed L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8, sia l’omessa e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla statuizione in ordine all’assenza di assistenza morale e materiale del minore da parte della madre, non dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio, essendo mancato, da parte della Corte di merito, un riscontro attuale e concreto sullo stato psicologico-evolutivo del minore ed essendosi dato rilievo ad episodi risalenti nel tempo, frutto del clima di accesa conflittualità famigliare (derivante dai maltrattamenti del P. ai danni della C., oggetto di processi penali ancora pendenti), trascurandosi le nuove circostanze emerse in appello (in ordine al miglioramento delle personali condizioni di salute della madre, al reperimento di un lavoro, in un ristorante, ed all’inizio di una nuova convivenza stabile con altro uomo).

2. Il ricorrente incidentale P., pur senza ritualmente articolare un motivo di ricorso, lamenta una mancata seria valutazione dei fatti nuovi e positivi, riguardanti la madre (la quale aveva avviato una relazione sentimentale stabile e trovato una casa ed un lavoro) ed il padre (il quale pure aveva finalmente trovato un regolare contratto di lavoro nel settore dell’edilizia, a tempo indeterminato, ed un’idonea abitazione, condotta in locazione), che escludono lo stato di adottabilità del minore.

3. Il ricorso incidentale risulta inammissibile, per mancata articolazione di puntuali motivi di doglianza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Invero, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, il che implica l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti e l’illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto o del vizio motivazionale, non potendosi rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (cfr. Cass. 26790/2018).

4. L’unica censura del ricorso principale è inammissibile.

Questa Corte ha costantemente ribadito che il giudice di merito, nell’accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorchè con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali (Cass. n. 14436/2017).

Il diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine, considerata l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, ragione questa per cui il giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità (Cass. 22589/2017; Cass. 6137/2015).

Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale incaricato non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la “situazione di abbandono” sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicchè la rescissione del legame familiare è l’unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva (Cass. 7115/2011).

Il giudizio sulla situazione di abbandono deve fondarsi su una valutazione quanto più possibile legata all’attualità, considerato il versante prognostico. Il parametro, che ci perviene anche dai principi elaborati dalla Corte di Strasburgo (cfr. in particolare la sentenza del 13/10/2015 – caso S.H. contro Italia), è divenuto un principio fermo anche nella giurisprudenza di legittimità, come può rilevarsi dalla pronuncia n. 24445 del 2015: “In tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori”.

Solo un’indagine sulla persistenza e non solo sulla preesistenza della situazione di abbandono, svolta sulla base di un giudizio attuale, in particolare quando vi siano indizi di modificazioni significative di comportamenti e di assunzione d’impegni e responsabilità da parte dei genitori biologici, può condurre ad una corretta valutazione del parametro contenuto nella L. n. 184 del 1983, art. 8, dovendosi tenere conto del diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine, così come indicato nella L. n. 184 del 1983, art. 1 (Cass. 22934/2017).

In particolare, la norma, anche alla luce della progressiva elaborazione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità e dai principi introdotti dalla Corte Europea dei diritti umani, fissa rigorosamente il perimetro all’interno del quale deve essere verificata la sussistenza della condizione di abbandono. Si deve trattare di una situazione non derivante esclusivamente da condizioni di emarginazione socio economica (disponendo l’art. 1, che siano intraprese iniziative di sostegno nel tempo della famiglia di origine), fondata su un giudizio d’impossibilità morale o materiale caratterizzato da stabilità ed immodificabilità, quanto meno in un tempo compatibile con le esigenze di sviluppo psicofisico armonico ed adeguato del minore, non dovuta a forza maggiore o a un evento originario derivante da cause non imputabili ai genitori biologici (cfr. sentenza Cedu Akinnibuson contro Italia sentenza del 16/7/2015), non determinata soltanto da comportamenti patologici ma dalla verifica del concreto pregiudizio per il minore (Cass. 7193 del 2016).

Da ultimo, questa Corte ha chiarito che “in tema di adozione di minori d’età, sussiste la situazione d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri” (Cass. 4097/2018; conf. Cass. 26624/2018, in ordine alla irrilevanza della disponibilità, meramente dichiarata, a prendersi cura dei figli minori, che non si concretizzi in atti o comportamenti giudizialmente controllabili, tali da escludere la possibilità di un successivo abbandono).

Ora, la Corte d’Appello ha esaminato la capacità genitoriale della madre (e del padre, in ordine alla quale il ricorso, incidentale, è già stato dichiarato inammissibile) ed ha formulato un giudizio negativo sulla capacità della stessa di recupero del rapporto genitoriale, sulla base di una serie di elementi comportamentali emersi da una complessa istruttoria (essenzialmente con acquisizione delle relazioni dei Servizi Sociali territorialmente competenti).

Emerge dagli atti che la sign.ra C. si è disinteressata, quanto meno dal 2016, del figlio, collocato in una casa famiglia.

Emerge altresì che il minore è stato trovato al momento dell’ingresso nella casa-famiglia in pessime condizioni igieniche e con gravi difficoltà di linguaggio, segno inequivoco di un inidoneo sviluppo psico-fisico.

Non rileva la semplice volontà della madre di prendersi cura dei figli, in assenza di adeguati riscontri.

Questa Corte ha di recente affermato (Cass. 4097/2018) che “in tema di adozione di minori d’età, sussiste la situazione d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri” (nella specie, questa Corte, confermando la sentenza di appello, ha ritenuto la persistenza di una situazione di abbandono, a fronte di un impegno solo enunciato dai genitori di rimuovere le problematiche esistenziali e di mutare lo stile di vita).

La sentenza di appello sviluppa adeguate e convincenti argomentazioni sull’inidoneità della madre, sull’impossibilità del recupero in tempi ragionevoli della situazione, spiegando dunque per quale ragione l’adozione, nella specie, costituirebbe l’unico strumento utile ad evitare ai minori un più grave pregiudizio ed ad assicurare loro assistenza e stabilità affettiva; risulta dunque effettuato un corretto giudizio prognostico volto a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, sia a quelle psichiche (Cass. 7559/2018).

Quanto poi alle carenze istruttorie, la Corte di merito ha motivatamente respinto la richiesta di consulenza tecnica, formulata dalla madre, relativa alla valutazione della sua personalità e capacità educativa nei confronti dei minori, ritenendola superflua al fine di contrastare gli elementi ed i dati oggettivi, nonchè le valutazioni dei servizi sociali, organi dell’Amministrazione che hanno avuto contatti sia con i minori che con i suoi genitori (cfr. Cass. 6138/2015).

4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale.

Ricorrono giusti motivi, considerate tutte le peculiarità della controversia, per compensare integralmente tra tutte le parti le spese processuali.

Essendo il procedimento esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale. Dichiara le spese del presente giudizio di legittimità integralmente compensate tra le parti.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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