Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32409 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2018, (ud. 26/03/2018, dep. 14/12/2018), n.32409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12484/2011 R.G. proposto da:

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., in persona del Curatore,

rappresentata e difesa dall’avv. Gaetano Cesario del foro di Locri,

giusto decreto del 25.5.10 del Giudice delegato, con domicilio

eletto in Roma, alla via Germanico, n. 101, presso lo studio

dell’avv. Angelo Francesco Macrì;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

Tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8/17/10 della Commissione Tributaria regionale

della Calabria depositata il 24 marzo 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26/3/2018 dal

Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, dott. Sorrentino Federico, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Gaetano Cesario

Lucisano;

udito il difensore della parte controricorrente, Avv. Fabrizio Urbani

Neri.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Ufficio II.DD. di Locri, sulla base di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, emetteva avviso di accertamento, per l’anno di imposta 1984, nei confronti della società (OMISSIS) s.p.a., nel frattempo fallita, per indebita contabilizzazione di costi relativi ad operazioni inesistenti e per indebita deduzione di costi non inerenti, cui conseguiva un recupero a tassazione ai fini Irpeg e Ilor.

In particolare, dalle verifiche effettuate era emersa una enorme sproporzione tra le giacenze rilevate e le risultanze contabili, che la società contribuente aveva giustificato dichiarando la distruzione di prodotto avariato, ritenuta dall’Ufficio inverosimile e ricollegabile ad acquisti fittizi di pomodori, imballaggi ed agrumi, finalizzati a beneficiare di indebiti aiuti comunitari.

Avverso tale accertamento proponeva ricorso la Curatela del Fallimento dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale, che lo respingeva.

Proposto appello dalla società contribuente, la Commissione Tributaria regionale accoglieva la impugnazione, annullando l’accertamento. I giudici di appello, pur ritenendo fittizie le operazioni, affermavano che l’Ufficio non avrebbe potuto procedere ad accertamenti utilizzando i ricavi contabilizzati e disconoscendo i costi fittizi, attesa la complessiva inattendibilità della contabilità.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso per cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 31,39 e 42, nonchè la omessa, insufficiente od illogica motivazione su un punto decisivo della controversia.

Questa Corte, con sentenza n. 13950 del 28.5.08, in accoglimento del ricorso, avendo riscontrato carenze motivazionali, enunciava i principi di diritto ai quali il giudice del rinvio avrebbe dovuto conformarsi e, ritenendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, cassava la sentenza e rinviava la causa ad altra sezione della Commissione Tributaria regionale.

A seguito di riassunzione della causa ad opera del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria regionale ha ritenuto fondato l’accertamento, motivando che nella fattispecie sottoposta al suo esame dovesse trovare applicazione il principio di tipicità degli atti di accertamento, secondo cui, in tema di accertamento dei redditi di impresa, non integrava violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, la circostanza che l’Ufficio si fosse limitato a recuperare soltanto i costi fittizi senza poi abbattere i pretesi maggiori ricavi fittiziamente dichiarati; aggiungeva che la semplice produzione di documenti di spesa non provava, di per sè, la sussistenza del requisito della inerenza alla attività di impresa, dato che la spesa, per essere correttamente inserita nella contabilità aziendale, doveva essere supportata da idonea documentazione, da cui potesse ricavarsi, oltre che l’importo, anche la ragione della stessa.

Avverso la sentenza la Curatela del Fallimento della società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva. La contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso – rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e dell’art. 394c.p.c. – omessi ulteriori accertamenti di fatto – Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per assoluta carenza di motivazione – Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente deduce che il Giudice di appello, in violazione dei principi che fissano i vincoli cui deve attenersi il giudice di rinvio, nel confermare la legittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio, ha omesso di accertare il merito della controversia e, quindi, di esaminare le domande, eccezioni e conclusioni che le parti avevano proposto nel giudizio di appello in cui era stata pronunciata la sentenza cassata, non procedendo agli accertamenti necessari a verificare la fondatezza dei recuperi a tassazione effettuati sulla base delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza.

Con la memoria ex art. 378 c.p.c. la ricorrente ha, peraltro, evidenziato che la sentenza di annullamento con rinvio pronunciata da questa Corte è stata emessa prima della entrata in vigore della disposizione di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, convertito in L. 26 aprile 2012, n. 44, che detta una nuova disciplina in materia di spese o altri componenti negativi relativi a fatture per operazioni inesistenti, e che la disposizione normativa è applicabile alla presente controversia, ai fini dell’accertamento delle imposte dirette, quale ius superveniens, in forza del dell’art. 8, comma 3, in base al quale le previsioni di cui al medesimo articolo, commi 1 e 2, si applicano, se più favorevoli, in luogo di quanto disposto dalla L. n. 537 del 1993, art. 14, previgente comma 4-bis, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima della entrata in vigore delle nuove norme, facendo comunque salva l’ipotesi in cui i provvedimenti emessi in base al comma 4-bis previgente si siano resi definitivi.

2. Il ricorso è fondato.

Va, in primo luogo, rilevato che con la sentenza impugnata il giudice di appello dichiara di “accogliere l’appello” (proposto dalla società contribuente), ma, in realtà, dal contesto della motivazione si evince chiaramente che la Commissione Tributaria regionale ha invece inteso respingere l’appello, tanto che nella sentenza si afferma che “il ricorso in riassunzione proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate è fondato e, di conseguenza, deve trovare accoglimento” e si muovono critiche alla precedente sentenza di appello (cassata da questa Corte con la sentenza n. 13950/2008), che aveva annullato l’atto di accertamento senza esaminare in concreto le questioni oggetto della controversia emerse del corso della verifica fiscale.

3. Con la pronuncia che ha cassato la precedente sentenza della Commissione Tributaria regionale di Catanzaro – Sezione Staccata di Reggio Calabria – e disposto il giudizio di rinvio questa Corte aveva ritenuto sussistente il denunciato difetto motivazionale della sentenza impugnata, rilevando che, secondo un indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, “in tema di accertamento dei redditi di impresa, non integra la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, la circostanza che l’Ufficio si limiti a recuperare soltanto i costi fittizi, senza poi abbattere i pretesi maggiori ricavi fittiziamente dichiarati”, e ciò in ragione della esistenza di un principio di tipicità degli atti di accertamento, nel cui ambito, fatta eccezione per i provvedimenti adottati in via discrezionale in autotutela o su richiesta di rimborso, non sono previsti provvedimenti finalizzati alla riduzione del debito d’imposta dichiarato dal contribuente (Cass. n. 4224 del 24/2/2006).

Aveva, inoltre, aggiunto, richiamando i principi enunciati con la sentenza n. 6650 del 2006, che, in tema di imposte sui redditi e con riguardo al reddito di impresa, la sola produzione di documenti di spesa non prova la sussistenza del requisito della inerenza all’attività della impresa, che presuppone che la spesa si riferisca ad attività da cui siano derivati ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa, e che per provare tale requisito non è sufficiente che la spesa sia stata riconosciuta e contabilizzata dall’imprenditore, essendo necessario che essa sia supportata da idonea documentazione, da cui possa ricavarsi, oltre che l’importo, anche la ragione della stessa.

In virtù della rilevata non corretta applicazione della regula iuris da parte della sentenza impugnata, questa Corte ha disposto il rinvio per il necessario nuovo esame da parte di diversa Sezione della Commissione Tributaria di seconda istanza, ritenendo altresì di non poter decidere nel merito la causa, occorrendo ulteriori accertamenti di fatto.

4. Il giudice del rinvio, chiamato a riesaminare la controversia, pur avendo richiamato i principi di diritto evidenziati da questa Corte con la sentenza di annullamento, non ha fornito alcuna pronuncia in merito ai motivi di appello fatti valere dalla società contribuente, volti a dimostrare la infondatezza dei rilievi contestati dalla Agenzia delle Entrate e, quindi, la illegittimità dell’accertamento, omettendo in tal modo di effettuare una valutazione delle irregolarità riscontrate, contestate e poste a base dell’accertamento dall’Amministrazione, concernenti le componenti positive del reddito, le componenti negative del reddito, la emissione di fatture per operazioni inesistenti, la indeducibilità di costi non documentati e di costi non inerenti, nonchè la irregolare tenuta delle scritture contabili, il cui accertamento questa Corte le aveva rimesso in sede di cassazione con rinvio.

La omessa pronuncia sui motivi di appello integra il denunciato vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 22759 del 27/10/14; n. 6835 del 16/3/2017).

5. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza impugnata va cassata e va disposto il rinvio, anche per il regolamento delle spese processuali, alla Commissione Tributaria della Calabria, in diversa composizione, la quale, provvederà al riesame ed a fornire congrua motivazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria della Calabria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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