Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32408 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. I, 11/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 11/12/2019), n.32408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 7283-2018 r.g. proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 115,

presso lo studio dell’avvocato MAURO PANZOLINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROSSANA CATALDI;

– ricorrente –

contro

UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 145, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO GARAU, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5304/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Cardino Alberto, che ha chiesto accogliersi il terzo motivo del

ricorso ovvero, in via subordinata, rinvio dell’udienza in attesa

della decisione delle Sezioni Unite;

udita, per la ricorrente, l’Avv. Ursino per delega, che ha chiesto

accogliersi il proprio ricorso;

uditi, per la controricorrente, l’Avv. Paolo Garau, che ha chiesto

respingersi l’avverso ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza depositata il 6 ottobre 2015, il Tribunale di Roma ha respinto la domanda risarcitoria proposta da UnipolSai nei confronti di Poste Italiane con riferimento a un assegno di traenza non trasferibile, emesso su conto corrente acceso presso la UGF Banca e inviato per posta ordinaria all’indirizzo del beneficiario, tale assegno essendo stato tuttavia negoziato da Poste Italiane in favore di persona diversa, che lo aveva presentato all’incasso avvalendosi di documenti contraffatti.

2.- La Corte di Appello di Roma, con pronuncia pubblicata il 4 agosto 2017, ha accolto l’appello proposto da UnipolSai, condannando Poste Italiane a versare, a titolo risarcitorio, la somma portata sul titolo, più interessi legali sino al saldo, riscontrando la responsabilità della banca negoziatrice per non aver correttamente identificato il portatore del titolo.

3.- Avverso la decisione della Corte di Appello è insorta Poste Italiane, che ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Ha resistito, con controricorso, UnipolSai.

Entrambe le parti hanno inoltre depositato memorie.

La ricorrente Poste Italiane s.p.a. ha depositato, da ultimo, memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo è denunziata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43 violazione e falsa applicazione degli art. 1176 e 1992 c.c., in relazione alla diligenza di Poste nell’esecuzione del pagamento e conseguente omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

2. Con il secondo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione al criterio di riparto dell’onere probatorio e mancata prova del danno.

3. Con il terzo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83 e D.M. 26 febbraio 2004 (carta della qualità del servizio pubblico postale), in riferimento all’art. 1227 c.c., comma 1 e conseguente omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti (in relazione al profilo della spedizione dell’assegno con posta ordinaria quale concausa del danno patito dal creditore).

4. Il ricorso è infondato.

4.1 Il primo motivo è, in parte infondato, e, in altra parte, inammissibile.

4.1.1 Quanto al primo profilo, occorre ricordare che – in ordine alla natura giuridica della responsabilità della banca negoziatrice di un assegno dotato di clausola di non trasferibilità, si è recentemente espressa la giurisprudenza di vertice di questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 12477 del 21/05/2018) che, in seguito ad un annoso dibattito giurisprudenziale dispiegatosi dal 1958, ha fissato il principio secondo cui – ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, (c.d. legge assegni) – la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2.

4.1.2 Nel percorso che ha portato alla decisione delle S.U. ora ricordata non può, tuttavia, essere dimenticato altro fondamentale arresto giurisprudenziale rappresentato sempre dalla sentenza espressa, nel massimo consesso di questa Corte, nel pronunciamento n. 14712 del 2007, che è intervenuto a comporre un precedente contrasto di giurisprudenza sorto circa la natura (contrattuale, extracontrattuale o ex lege) della responsabilità derivante dal pagamento dell’assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore ed alla conseguente durata – decennale o quinquennale – del termine di prescrizione dell’azione di risarcimento proposta dal danneggiato. Con tale pronuncia le sezioni unite – ribadito preliminarmente che l’espressione “colui che paga”, adoperata dall’art. 43, comma 2 L.A., va intesa in senso ampio, sì da riferirsi non solo alla banca trattaria (o all’emittente, nel caso di assegno circolare), ma anche alla banca negoziatrice (che è l’unica concretamente in grado di operare controlli sull’autenticità dell’assegno e sull’identità del soggetto che, girandolo per l’incasso, lo immette nel circuito di pagamento) – hanno riconosciuto natura contrattuale alla responsabilità cui si espone il banchiere che abbia negoziato un assegno munito della clausola di non trasferibilità in favore di persona non legittimata. E’ necessario ricordare che la conclusione non trova fondamento nel consueto argomento utilizzato dalla tesi contrattualistica (secondo la quale la banca girataria per l’incasso, oltre ad essere mandataria del girante, sarebbe sostituta della trattaria nell’esplicazione del servizio bancario per quanto attiene all’identificazione del presentatore ed al conseguente pagamento), ma nella c.d. teoria del contatto sociale qualificato, ravvisabile ogni qualvolta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto.

4.1.3 Ed è proprio sulla scorta di queste considerazioni, che le S.U. del 2018 hanno ribadito il principio secondo cui la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 Legge Assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso.

Così, una volta ricondotta la responsabilità della banca negoziatrice nell’alveo di quella contrattuale derivante da contatto qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. – non risulta più sostenibile la tesi secondo cui detta banca risponde del pagamento dell’assegno non trasferibile effettuato in favore di chi non è legittimato, a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore.

Sul punto, la sentenza Sez. U, n. 12477/2018, ha evidenziato, verbatim, che “Una responsabilità oggettiva può infatti concepirsi solo laddove difetti un rapporto in senso lato “contrattuale” fra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno”.

Ne consegue che, sulla base dei suesposti principi, nell’azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice che ha pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2 dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve.

4.1.4 Ciò posto, osserva la Corte come la sentenza impugnata – nonostante si fosse schierata, in premessa, per l’opzione interpretativa superata dall’ultimo arresto della giurisprudenza di vertice di questa Corte (e, dunque, per l’affermazione di una responsabilità oggettiva della banca negoziatrice) – abbia poi, svolto il suo ragionamento probatorio, in ordine alla invocata responsabilità della banca, sulla base dei principi fondanti la responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c. e art. 1176 c.c., comma 2, con ciò non discostandosi dai principi di diritto affermati nell’ultimo arresto delle S.U. sopra ricordato (e qui riaffermati), e così riconoscendo tale responsabilità, nel caso di specie, proprio in conseguenza dell’accertamento del mancato corretto adempimento da parte dell’istituto di credito degli obblighi sulla stessa incombenti per la verifica della identità del portatore del titolo di credito.

4.1.5 Sono da considerarsi invece inammissibili le ulteriori doglianze articolate dalla parte ricorrente perchè, per un verso, genericamente prospettate e perchè, per altro verso, volte alla rilettura degli atti istruttori per una diversa ricostruzione dei presupposti fattuali posti a sostegno del giudizio di responsabilità della banca negoziatrice.

Sul punto, occorre precisare come la parte ricorrente non abbia inteso neanche proporre, in realtà, una censura volta – nel suo contenuto – a sollecitare il confronto tra le condotte adottate dalla banca negoziatrice e la clausola generale di diligenza, come tale integrata dagli standard valutativi della realtà sociale e dagli altri principi estraibili dall’ordinamento positivo (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22950 del 10/11/2015; cfr. anche Sez. 2, Sentenza n. 8047 del 21/03/2019), ma voglia, al contrario, sottoporre, ora, a questa Corte la rivalutazione degli elementi di prova sulla cui base la corte territoriale ha fondato il giudizio di responsabilità contrattuale dell’istituto di credito. Senza contare che il sopra menzionato giudizio è proponibile in sede di legittimità, quando la valutazione di responsabilità integrata dalla clausola generale si ponga in contrasto con i principi dell’ordinamento e con quegli standard valutativi sopra ricordati, che concorrono, con detti principi, a comporre il diritto vivente (così, Cass. 3645/99), sempre che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto a quegli standard, conformi ai valori dell’ordinamento (cfr. anche, Cass. 5095/2011).

Ciò detto, occorre evidenziare come la questione dell’applicazione della circolare ABI sia stata sollevata dalla parte ricorrente in termini generici e meramente contrappositivi, e ciò sia perchè non viene precisato quale sia il contenuto, rilevante in causa, della detta circolare, sia perchè il riferimento, nella motivazione impugnata a tale circolare, risulta essere altrettanto generico e non esplicativo per il giudizio sopra solo astrattamente prospettato.

4.2 Il secondo motivo di censura è invece infondato, in quanto il pregiudizio patrimoniale subito da Unipol assicurazioni s.p.a. è dipeso, in realtà, dall’erronea negoziazione da parte della banca negoziatrice del titolo. Ne consegue che la sola acquisizione di provvista dal conto Unipol, in favore della banca trattaria, ha fatto sì che il pagamento dell’assegno di traenza a soggetto non legittimato abbia lasciato intatta la situazione debitoria dell’Unipol nei confronti del vero destinatario del pagamento, con conseguente pregiudizio patrimoniale, reclamato, oggi, a ragione in questo giudizio. Del resto, non va dimenticato che, nell’odierno contenzioso, la parte danneggiata – che ha agito in giudizio – non è la banca trattaria, ma l’istituto assicurativo che aveva versato la provvista sul conto di traenza.

4.3 Il terzo motivo è, invece, inammissibile perchè la questione riguardante il concorso di colpa ex art. 1227 c.c., comma 1, in ragione della spedizione dell’assegno di traenza – non risulta essere stata dedotta nel giudizio di primo grado e, dunque, la sua proposizione nel giudizio di appello era già inammissibile in quella sede.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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