Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32388 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. II, 14/12/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 14/12/2018), n.32388

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9492/2014 R.G. proposto da:

B.S., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

a margine del ricorso, dall’avv. Gianroberto Villa e dall’avv.

Giuseppe Gigli, con domicilio eletto in Roma, via Pisanelli 4,

presso lo studio dell’avv. Gigli;

– ricorrente –

contro

L.G., L.F.P., rappresentati e difesi,

in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’avv.

Marco Cucciati e, in forza di procura speciale autenticata dal

notaio F.F. di (OMISSIS), rep. n. (OMISSIS), dall’avv.

Gabriele Ferabecoli, con domicilio eletto in Roma, via Benaco 5,

presso lo studio dell’avv. Maria Chiara Morabito;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 381,

depositata il 25 febbraio 2013;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

giugno 2018 dal Consigliere Giuseppe Tedesco;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Del Core Sergio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli avv.ti Villa per la ricorrente e Cucciati per i

controricorrenti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.G. e L.P.F. chiamavano in giudizio davanti al Tribunale di Novara B.S. nella qualità di erede di B.G..

Essi proponevano domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo, assunto dal dante causa della convenuta con scrittura del 15 gennaio 2002, nei confronti di L.G., di trasferire, al promissario o a persona da nominare, la proprietà di un terreno in Comune di (OMISSIS), identificato in catasto al (OMISSIS).

Gli attori chiedevano che il trasferimento fosse ordinato in favore di L.P.F., in conseguenza della nomina del medesimo da parte del promissario.

Precisavano che la scrittura prevedeva anche la diversa particella (OMISSIS), ma la stessa era stata già trasferita, per cui la domanda era circoscritta alla sola particella (OMISSIS).

La convenuta si costituiva e chiariva che l’intera vicenda si inquadrava nel rapporto professionale che legava il padre a L.G., che era stato commercialista del primo, in considerazione del fatto che il Consorzio Alta Velocità Torino Milano nel marzo 2002 aveva preannunciato l’esproprio della particella (OMISSIS); che a ciò aveva fatto seguito l’incarico, dato dal proprio genitore al professionista, di curare la pratica nel migliore dei modi, con rilascio a tal fine di una procura speciale; che il contratto fatto valere in giudizio era stato sottoscritto solo per la particella (OMISSIS) e fu lasciato in bianco solo il nome dell’acquirente, che avrebbe dovuto essere riempito con il nome dell’ente espropriante; che, nonostante tale contenuto degli accordi, non solo fu inserito un diverso nominativo della parte acquirente, ma furono aggiunte la data e la ulteriore particella (OMISSIS).

Proponeva quindi querela di falso contro il preliminare del 15 gennaio 2002, chiedendo nel merito il rigetto della domanda.

In via subordinata la convenuta chiedeva che il tribunale pronunciasse l’annullamento del contratto per errore o per dolo.

Il tribunale, sul complesso delle domande, così decideva: a) non autorizzava la presentazione della querela; b) accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c. proposta dagli attori; c) rigettava le domande della convenuta.

La Corte d’appello di Torino confermava la sentenza.

Essa, quanto alla mancata autorizzazione alla presentazione della querela, precisava che nella specie, secondo la stessa prospettazione di parte, ricorreva un’ipotesi di riempimento contra pacta, la cui dimostrazione poteva essere fornita nei modi ordinari senza necessità di ricorrere alla querela.

Secondo la corte, pertanto, la questione si esauriva nella verifica della prova offerta dalla convenuta per la violazione del patto.

Ciò posto affermava che tale prova che non poteva ritenersi raggiunta, non essendo concludenti gli elementi addotti e dovendosi confermare la valutazione del primo giudice sulla inammissibilità della prova per testimoni articolata dalla convenuta.

Ha confermato infine la statuizione di rigetto della domanda di annullamento del contratto per errore o dolo proposta in via subordinata dalla B..

Per la cassazione della sentenza la B. ha proposto ricorso affidato a nove motivi, cui gli intimati hanno resistito controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Si rimprovera alla corte d’appello di non avere considerato che la querela di falso, proposta contro la scrittura del 15 gennaio 2002, riguardava non solo l’indicazione del nome del contraente, ma anche la data della scrittura e l’aggiunta della particella catastale (OMISSIS). Si sostiene che, rispetto a tali ulteriori profili, non sussisteva patto di riempimento, per cui l’ipotesi integrava riempimento absque pactis.

Il secondo motivo propone la medesima censura quale violazione dell’art. 1362 c.c. e art. 221 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 214 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui ha negato il valore presuntivo degli elementi addotti dalla convenuta ai fini della prova dei fatti.

Secondo la ricorrente, nell’analisi della corte d’appello, è mancata completamente la necessaria considerazione unitaria dei vari elementi, essendosi la corte limitata a una puntigliosa ricerca della irrilevanza di ogni singolo elemento, in una prospettiva atomistica contrastante con tipo di indagine imposta dall’art. 2729 c.c.

Il quarto motivo ripropone la medesima nella prospettiva del riempimento non absque pactis, ma contra pactis.

Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 221 c.p.c., in connessione con l’art. 244 c.p.c. e art. 2729 c.c.

E’ oggetto di censura la mancata ammissione dei capitoli di prova per testimoni: la corte di merito ha ritenuto irrilevanti i primi tre capitoli e generici gli altri capitoli.

La ricorrente sostiene che i primi tre capitoli erano invece rilevanti, in questo intesi a dimostrare circostanze destinate ad aggiungersi agli elementi indiziari già forniti ai fini della prova della falsità della data.

In quanto agli altri capitoli, la corte non avrebbe fatto buon governo del principio secondo cui “la disposizione dell’art. 244 c.p.c. sulla necessità di un’indicazione specifica dei fatti da provare per testimoni non va intesa in modo rigorosamente formalistico, ma in relazione all’oggetto della prova, cosicchè, qualora questa riguardi un comportamento o un’attività che si frazioni in circostanze molteplici, è sufficiente la precisazione della natura di detto comportamento o di detta attività (fermo restando che nell’interpretazione del significato e della portata delle deduzioni probatorie occorre tenere presente la loro finalità, in relazione alla concreta materia del contendere), in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova, attraverso la deduzione e l’accertamento di attività o comportamenti di carattere diverso, spettando peraltro al difensore e al giudice, durante l’esperimento del mezzo istruttorio, una volta che i fatti siano stati indicati nei loro estremi essenziali, l’eventuale individuazione dei dettagli” (Cass. n. 5842/2002).

Il sesto motivo propone la medesima censura nella prospettiva del riempimento non absque pactis, ma contra pactis.

Il settimo motivo e l’ottavo motivo ripercorrono le censure di cui ai motivi precedenti dal terzo al sesto, denunciando omesso esame di un punto decisivo per il giudizio (settimo motivo) e nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. (ottavo motivo).

Il nono motivo censura la sentenza nella parte la corte d’appello ha rigettato la domanda di annullamento del contratto per dolo.

In particolare, con il primo profilo di censura (9.1), si denuncia la violazione dell’art. 1362 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per errata interpretazione della domanda.

La corte non ha inteso che la domanda di annullamento del contratto per dolo comprendeva non solo la particella (OMISSIS), ma anche la particella (OMISSIS).

A sua volta tale errore interpretativo ha comportato una omessa pronuncia, con violazione dell’art. 112 c.p.c. (9.2).

Le ulteriori articolazione del motivo ripropongono le censure proposte con il terzo, il quinto, il settimo e l’ottavo motivo. Si denuncia, quindi, in relazione al mancato accoglimento della domanda di annullamento del contratto per dolo, l’erronea valutazione degli elementi indiziari e la mancata ammissione della prova per testimoni.

2. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

La denuncia dell’abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco postula il rimedio della querela di falso tutte le volte in cui il riempimento risulti avvenuto absque pactis o sine pactis – ipotesi che ricorre anche quando la difformità della dichiarazione rispetto alla convenzione sia tale da travolgere qualsiasi collegamento tra la dichiarazione e la sottoscrizione -, mentre tale rimedio non è necessario nell’ipotesi di riempimento contra pacta, ossia in caso di mancata corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto si intendeva dichiarare (Cass. n. 18059/2007; n. 25445/2010; n. 30226/2011; n. 5417/2014).

In altre parole, ciò che rileva, ai fini dell’esclusione della querela di falso, è che il riempitore sia stato autorizzato al riempimento, “mentre nessuna importanza ha il fatto che egli miri a far apparire il documento come collegato ad un’operazione economica diversa da quella alla quale si riferisce l’autorizzazione” (Cass. n. 5245/2006).

Ne consegue che deve ritenersi sussistente non un falso materiale (riempimento absque pactis), ma un abuso di biancosegno (riempimento contra pacta) in tutti i casi in cui esista un qualsivoglia accordo sugli interventi da eseguire sul testo (Cass. n. 899/2018).

La corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, al cospetto di una fattispecie in cui risultava incontroversa l’esistenza di un accordo per il riempimento del documento, senza che fosse nel contempo ravvisabile l’ipotesi di una trasformazione del documento in qualcosa di diverso da quel che era in precedenza (Cass. n. 899/2018 cit.).

3. Il terzo e il quarto motivo (mancanza di valutazione sintetica delle presunzioni), da esaminare congiuntamente, sono infondati.

La corte di merito, dopo avere passato in rassegna la molteplicità degli elementi che la ricorrente aveva addotto a sostegno dei propri assunti, ha ritenuto che i medesimi non avessero “nè considerati analiticamente, nè nel loro complesso, un significato sufficientemente concludente”.

Ciò posto è chiaro che, sotto la veste della violazione di legge, la ricorrente non denuncia una mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare, ma la censura investe, per se stesso, il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi indiziari o presuntivi, siccome non conforme alla tesi sostenute dalla parte (Cass. n. 3211/1962).

Ma in questo senso l’apprezzamento del giudice di merito costituisce un giudizio di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità, quando, come nel caso di specie, il giudice abbia dato ragione del suo convincimento senza incorrere in errori di logica o di diritto (Cass. 11530/2008; n. 3974/2002; n. 237/1995).

4. Il quinto e il sesto (mancata ammissione delle prove) sono infondati.

Al riguardo, va in primo luogo ricordato che il giudizio sulla idoneità della specificazione dei fatti dedotti nei capitoli di prova – che va comunque condotto non solo alla stregua della letterale formulazione dei capitoli medesimi, ma anche ponendo il loro contenuto in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti – costituisce apprezzamento di merito non suscettibile di sindacato in sede di giudizio di cassazione, se correttamente motivato (Cass. n. 2201/2007; n. 1513/1997; n. 5354/1980); e nel caso di specie la Corte di merito ha dato ampiamente conto di tale giudizio, esaminando i singoli capitoli e rilevando che essi non descrivevano, nei loro elementi essenziali, i fatti oggetto di prova, che avrebbero poi dovuto essere enucleati nella loro stessa essenza da parte dei testimoni.

Tale valutazione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte “La richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un’adeguata difesa” (Cass. n. 1988/2015).

Si deve d’altra parte escludere che la genericità della deduzione dei fatti sia sanabile in sede di espletamento della prova, con l’uso della facoltà di cui alla norma dell’art. 253 c.p.c., che può esercitarsi soltanto nell’ambito dei fatti specificati, essendo il giudice vincolato dai capitoli di prova articolati dalle parti (cfr. 14364/2018; n. 3280/2008).

5. Sono parimenti infondati il settimo e l’ottavo motivo, che propongono le medesime censure di cui ai precedenti motivi da diverso e improprio punto di vista.

Non si denuncia infatti alcun omesso esame di uno o più “fatti decisivi”, nè tanto meno mancanza di motivazione nel senso chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., S.U., n. 8353/2014).

6. E’ infondato anche il nono motivo.

La corte di merito non ha circoscritto la domanda di annullamento per dolo alla sola particella (OMISSIS), ma ha fatto una considerazione diversa, e cioè che mentre per la particella (OMISSIS) il dolo era stata espressamente dedotto, per la particella (OMISSIS) avrebbe dovuto desumersi dalla ricostruzione dei fatti operata dalla parte.

Ciò posto ha richiamato la valutazione di inconcludenza degli elementi addotti per la prova dei fatti e le ragioni che l’avevano indotta a non dare ingresso ai capitoli di prova specificamente riferiti a questo aspetto della lite, aggiungendo che dai documenti non si desumevano ulteriori elementi rilevanti in funzione della domanda di annullamento.

Ha aggiunto ancora che il dolo e l’errore presupponevano che il contratto fosse stato stipulato successivamente alla prima comunicazione proveniente dall’ente espropriante, risalente a fine marzo 2002, laddove la prova che il contratto fosse stato stipulato in data diversa da quella del 15 gennaio 2002, riportata sul documento, non era stata raggiunta. Ha ancora precisato che ” nulla di rilevante ai fini che ora interessano è stato dedotto con riferimento al periodo precedente il gennaio 2002″.

Emerge con chiarezza dalle considerazioni che precedono che la corte ha considerato la domanda nella sua intera estensione, riferita ad ambedue le particelle oggetto del contratto, rigettandola poi nel merito per mancanza di prova.

Gli ulteriori profili di censura proposti con il nono motivo in esame ripropongono le censure proposte con i motivi precedenti dal terzo all’ottavo.

Essi sono infondati per le stesse ragioni sopra esposte e non occorre aggiungere alcunchè a quanto già detto.

7. In conclusione il ricorso è interamente rigettato, con addebito di spese.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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