Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32384 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 11/12/2019, (ud. 05/06/2019, dep. 11/12/2019), n.32384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18599-2017 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA, 40,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE ALLEGRA, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUSEPPE MASALA;

– ricorrente –

contro

SO.GE.A.A.L. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANICIA, 6, presso lo

studio dell’avvocato SIMONA BASTONI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE BASSU;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 15/02/2017 R.G.N.

268/2015;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con sentenza n. 47 pubblicata il 15.2.2017, ha respinto l’appello di L.M., confermando la sentenza di primo grado con cui, per quanto ancora rileva in questa sede, era stata rigettata la domanda della predetta volta alla condanna della datrice di lavoro SO.GE.A.AL. s.p.a. al pagamento del premio di produzione per le annualità dal 2009 fino al ripristino del premio stesso;

2. la Corte territoriale ha escluso che il premio di produzione (premio Sogeaal) avesse natura di compenso continuativo, in base alla formulazione letterale delle relativa previsione (comunicazioni aziendali del 17.4.2001, 3.12.2006 e 3.11.2009) e alle modalità di riconoscimento, legate all’obiettivo dell’incremento di fatturato conseguito dalla società a partire dalla soglia di 9 miliardi (obiettivo modificato nel 2009 con riferimento al pareggio di bilancio), il cui raggiungimento, peraltro, non era stato neanche allegato e dimostrato dalla lavoratrice;

3. avverso tale sentenza la L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso la SO.GE.A.AL. s.p.a.;

4. il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. con l’unico motivo di ricorso la L. ha censurato la sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2103 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

6. ha sostenuto come la Corte d’appello avesse errato nel negare il carattere retributivo al premio di produzione, contrattualmente previsto, erogato in modo continuativo e non legato a specifiche prestazioni da parte della dipendente, come desumibile dai documenti prodotti in corso di causa (lettera del 3.12.2006, comunicazione del 3.11.2009), con conseguente illegittimità della revoca unilaterale attuata in violazione del principio di irriducibilità della retribuzione;

7. ha rilevato come la lavoratrice nulla avrebbe potuto provare con riferimento all’obiettivo del 2009, indicato nella lettera del 3.12.2006 come “tutto il fatturato conseguito dalla società a far data da quello al 31.12.2006”, e come nella comunicazione del 3.11.2009 il pareggio di bilancio costituisse non il target da raggiungere bensì l’obiettivo minimo per ridiscutere i termini per l’eventuale ripristino del premio stesso;

8. il motivo di ricorso è inammissibile per alcuni aspetti, infondato per altri;

9. è inammissibile nella parte in cui censura l’interpretazione degli atti unilaterali provenienti dalla società e relativi al riconoscimento e alla revoca del premio di produzione, attività riservata al giudice di merito e non censurata nel caso di specie attraverso il riferimento alla violazione di specifiche regole ermeneutiche;

10. ferma l’applicabilità agli atti unilaterali delle norme sull’interpretazione del contratto con il limite della compatibilità (Cass. n. 14864 del 2009) e considerato che l’attività di interpretazione degli atti negoziali è riservata al giudice di merito, questa Corte ha più volte precisato come la censura mossa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 debba rappresentare elementi idonei a far ritenere erroneo il risultato interpretativo oggetto di impugnazione, non potendo il controllo di logicità del giudizio di fatto risolversi in una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata (Cass. n. 18375 del 2006; n. 25270 del 2011; n. 15471 del 2017);

11. le censure in esame non rispondono a tali requisiti e neppure investono i parametri per l’individuazione della natura retributiva dei compensi aziendali, peraltro operata dalla Corte d’appello conformemente alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 10307 del 2002; n. 11956 del 2009);

12. il motivo di ricorso è infondato laddove denuncia la violazione dell’art. 36 Cost. atteso che la particolare garanzia apprestata da questa disposizione a tutela della qualità del lavoro subordinato non comprende tutti gli elementi e gli istituti retributivi che concorrono a formare il complessivo trattamento economico, ma solo quelli che costituiscono il cosiddetto minimo costituzionale, con esclusione degli istituti retributivi legati all’autonomia contrattuale (cfr. Cass. n. 5934 del 2004; n. 15148 del 2008; n. 21274 del 2010);

13. pertanto i criteri della proporzionalità e della sufficienza posti dalla citata norma costituzionale a tutela del lavoratore, nonchè il principio dell’intangibilità della retribuzione, non trovano applicazione rispetto a compensi, come ad esempio un premio di produzione, estraneo alla sfera del cd. minimo costituzionale (cfr. Cass. n. 12054 del 2003);

14. la denuncia di violazione dell’art. 2103 c.c. è formulata in modo non conforme ai criteri di specificità (cfr. Cass. n. 287 del 2016; n. 23847 del 2017), e risulta, comunque, inconferente rispetto alla statuizione della sentenza d’appello censurata;

15. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;

16. la regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

17. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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