Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32383 del 14/12/2018

Cassazione civile sez. II, 14/12/2018, (ud. 11/04/2018, dep. 14/12/2018), n.32383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12296-2016 proposto da:

M.L., ex lege domiciliato in Roma, p.zza Cavour presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Gaetano Mimola;

– ricorrente –

contro

C.C.I.A.A. di Pescara, elettivamente domiciliato in Roma, Via Giunio

Bazzoni 3, presso lo studio dell’avvocato Daniele Vagnozzi,

rappresentato e difeso dall’avvocato Giulio Cerceo;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1247/2015 della Corte d’appello di L’aquila,

depositata il 10/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/04/2018 dal Consigliere Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

-il presente giudizio trae origine dall’opposizione proposta da M.L. avverso l’ordinanza con cui la Camera di commercio di Pescara ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 gli aveva ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 6455,71 per la violazione della L. n. 122 del 1992, art. 10, comma 2 e avverso l’ordinanza di confisca dell’attrezzatura sequestrata, avendo ritenuto provato l’esercizio dell’attività di autoriparazione senza autorizzazione;

– con la sentenza emessa il 30 ottobre 2014 l’adito Tribunale di Pescara rigettava entrambe le opposizioni;

– proposto appello il M. contestava la conclusione cui era pervenuto il tribunale nella valutazione delle prove, poichè l’attrezzatura rinvenuta era nella sua disponibilità in quanto ereditata a seguito del decesso del fratello ed egli se ne avvaleva in ragione della sua passione hobbistica, dilettandosi a cambiare l’olio ed i filtri delle proprie autovetture nonchè a pulire i componenti di mezzi (di amici o parenti);

– la Corte d’appello dell’Aquila con sentenza n. 1247 depositata il 10/11/2015 respingeva l’appello;

– in particolare, la corte territoriale sosteneva che, ai fini dell’esercizio abusivo dell’attività di autoriparatore meccanico, non rilevava l’accertamento della proprietà dell’attrezzatura rinvenuta in possesso del M. e che la strumentazione sequestrata costituiva un compendio davvero notevole, dettagliatamente elencato nella sentenza del giudice di secondo grado e tipica, per qualità e consistenza, di una vera e propria officina meccanica;

– si trattava, in altri termini, di strumentazione professionale che la giurisprudenza aveva già ritenuta funzionale alla prova dell’attività accertata;

– nè la circostanza che alcuni dei veicoli in attesa di riparazione fossero sprovvisti di assicurazione smentiva la rilevanza probatoria del materiale sequestrato;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta da M.L. con ricorso notificato il 10 maggio 2016 ed articolato sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso la Camera di Commercio di Pescara che, in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la corte d’appello manca di esaminare le dichiarazioni rese dai testi P.G. e Pa.Ir. al Giudice di pace di Pianella in ordine al rifiuto opposto dal ricorrente alla richiesta di questi di riparare il motore delle loro autovetture;

– il motivo è inammissibile poichè, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053 del 2014, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

– ciò posto, nel caso di specie la doglianza è inammissibile perchè ha ad oggetto l’esame di testimonianze e, quindi, di elementi istruttori, di per sè non integranti il vizio denunciato, i quali, peraltro si evince dalla lettura della sentenza, sono stati specificamente esaminati (cfr. pag. 3);

– la corte aquilana ha, infatti, precisato che i testi non hanno potuto negare di essersi rivolti all’appellante per problemi palesati dalle proprie autovetture (clienti che sono pure stati sanzionati), attribuendo alla circostanza la valenza probatoria a sostegno dello svolgimento di un’attività di autoriparazione, diversa cioè da quella auspicata dal ricorrente ma insindacabile quale vizio motivazionale;

– con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 122 del 1992, art. 1, comma 2 laddove la corte d’appello aveva ricondotto il fatto concretamente accertato all’esito dell’istruttoria alla fattispecie astratta disciplinata nell’art. 1, comma 1 anzichè in quella prevista nel medesimo art. 1, comma 2 L. cit.;

– piu precisamente, mentre il primo comma disciplina le attività propriamente riconducibili all’autoriparazione, quali esemplificativamente, gli interventi di sostituzione di componenti e di impianti dei veicoli, per le quali è richiesta l’autorizzazione, il secondo comma indica attività di sostituzione del filtro, dell’olio, di carburante, per le quali non è prevista l’autorizzazione;

– la doglianza è inammissibile perchè consiste nell’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, e, in quanto tale, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione e non, come invece dedotto, attraverso quello di violazione di legge che consiste nell’erronea ricognizione da parte del giudice del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata in una norma di legge (cfr. Cass. n. 26110/2015; id. 8315/2013);

– con il terzo motivo si censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la corte d’appello non ha esaminato le osservazioni esposte nell’atto di appello con riguardo alle risultanze testimoniali circa le ragioni della presenza delle autovetture nei pressi dell’abitazione del M.;

– in particolare, ad avviso del ricorrente, la valorizzazione delle testimonianze riguardanti la presenza delle autovetture Lancia Y, Chrisler Gs, Volkswagen Golf, nei pressi dell’abitazione del M. avrebbe contraddetto le presunzioni sulle quali la sentenza impugnata aveva fondato il rigetto del gravame;

– anche questo motivo, come il primo, è inammissibile perchè, come sopra enunciato, il controllo sulla valutazione delle risultanze istruttorie non rientra fra i vizi motivazionali deducibili avanti al giudice di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. Sez. Un. 8053/2014);

– l’inammissibilità di tutti i motivi comporta l’inammissibilità dell’intero ricorso;

– in applicazione del principio di soccombenza parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ritiene inoltre la Corte di disporre d’ufficio la condanna del ricorrente al pagamento del doppio delle spese come liquidate in applicazione della disposizione di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3;

– come già affermato da questa Corte, la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta – con finalità deflattive del contenzioso – alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente (cfr. Cass. 27623/2017);

– ebbene, si ritiene che il presente ricorso presenti elementi sintomatici dell’abuso del processo e consistenti nella reiterata ed ingiustificata riproposizione di contestazioni di merito, in termini manifestamente inammissibili in sede di legittimità, nella riproposizione connotata dalla mancata censura delle argomentate ratio decidendi poste a fondamento della decisione gravata;

– le doglianze del ricorrente sono, inoltre, svolte con manifesta trascuranza delle norme che regolano il giudizio di legittimità (artt. 360 e 366 c.p.c.) ed i consolidati orientamenti giurisprudenziali sullo stesso che la parte, peraltro, nemmeno contesta, al fine di una eventuale rimeditazione da parte della Corte;

– tenuto conto del valore della controversia e dell’importo delle spese processuali, il collegio ritiene di determinare equitativamente in un importo pari a quello liquidato per le spese processuali, la somma che il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3 deve corrispondere al controricorrente Camera di Commercio di Pescara;

– ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente che liquida in Euro 2500,00 oltre 200,00 per esborsi e 15% per rimborso spese generali oltre accessori di legge; condanna il ricorrente a corrispondere alla parte controricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, l’ulteriore somma di Euro 2500,00.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018

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