Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32380 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/12/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 11/12/2019), n.32380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25163-2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRA CAPUANO

BRANCA;

– ricorrente –

contro

P.G., C.P., E.L., V.M.,

G.G.G., S.M.V.,

GR.RO., V.L., LEGA NORD PADANI SEZIONE COMUNALE DI CORNEDO

VICENTINO in persona del Segretario pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE LIBIA 4, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO GALIENA, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ENZO URBANI;

– controricorrenti –

contro

ME.NA.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1407/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 23/5/2018, la Corte d’appello di Venezia, per quel che ancora rileva in questa sede, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da M.M. per la condanna della Lega Nord Padania – Sezione comunale di Cornedo Vicentino, di E.L., Gr.Ro., C.P., S.M.V., V.L., V.M., P.G., G.G. e M.N. al risarcimento dei danni subiti dall’attore a seguito della diffusione (anche via Internet) di una pubblicazione a contenuto diffamatorio;

che a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha ritenuto che le pubblicazioni contestate dall’attore non avessero travalicato i limiti propri dell’esercizio del diritto di satira, non essendo trasmodate in forme di gratuita diffamazione;

che, avverso la sentenza d’appello, M.M. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

che la Lega Nord Padania – Sezione comunale di Cornedo Vicentino, di E.L., Gr.Ro., C.P., S.M.V., V.L., V.M., P.G. e G.G. resistono con controricorso;

che M.N. non ha svolto difese in questa sede;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2043 c.c., art. 51 c.p., artt. 8 e 10 Cedu (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso il carattere diffamatorio delle pubblicazioni contestate, sulla base di un’interpretazione e di una lettura del tutto illogiche e infondate delle immagini, degli scritti, nonchè dei diversi accostamenti allusivi sottoposti a valutazione, gratuitamente offensivi e del tutto privi di alcuna finalità informativa;

che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la domanda risarcitoria proposta dall’attore, omettendo di dar rilievo alle circostanze indicate nel ricorso suscettibili di attestare l’inequivoco carattere diffamatorio delle pubblicazioni contestate, senza neppure consentire al M. l’assunzione delle prove ritualmente richieste nel corso del giudizio al fine di comprovare il ricorso della denunciata diffamazione;

che entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono manifestamente infondati;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicchè, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su di un fatto, pur rimanendo soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito;

che, conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purchè siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato, non potendo invece, essere riconosciuta la scriminante di cui all’art. 51 c.p. nei casi di attribuzione di condotte illecite o moralmente disonorevoli, di accostamenti volgari o ripugnanti, di deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21235 del 17/09/2013, Rv. 627963 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28411 del 28/11/2008, Rv. 605611 – 01);

che, in particolare, deve ritenersi sussistente l’esercizio del diritto di satira se il fatto addebitato a terzi risulti espresso in modo apertamente difforme dalla realtà, sì che possa apprezzarsene con immediatezza l’inverosimiglianza e il carattere iperbolico (Sez. 3, Sentenza n. 14822 del 04/09/2012, Rv. 623667 – 01);

che, conseguentemente, deve ritenersi incensurabile in sede di legittimità la valutazione del giudice del merito condotta sul legittimo esercizio del diritto di satira, là dove il giudice individui, nelle manifestazioni satiriche contestate, il ricorso di una relativa adeguata conte-stualizzazione e la riconoscibilità dell’intento di esasperazione grottesca e iperbolica della figura e della condotta della persona attinta dalla satira (arg. ex Sez. 3, Sentenza n. 6787 del 07/04/2016, Rv. 639642 – 01);

che, nel caso di specie, la corte territoriale, dopo aver inquadrato il contesto politico all’interno del quale le pubblicazioni contestate risultavano obiettivamente inserite, ha evidenziato come il costante riferimento delle fotografie caricaturali e delle vignette contestate all’attività politica svolta dal M. fosse valso a inquadrarne l’incidenza nell’ambito di una manifestazione satirico-politica, caratterizzata dalla continenza dell’espressione, e dall’assenza di termini volgari o ripugnanti, o dalla gratuità dell’aggressione;

che, pertanto, l’avvenuto riconoscimento, da parte del giudice a quo, nelle pubblicazioni contestate in questa sede, di un’adeguata contestualizzazione dei temi politici trattati e la conseguente riconoscibilità dell’intento di esasperazione grottesca e iperbolica della figura e della condotta del M. in relazione alla vicenda politica in cui lo stesso risultava oggettivamente coinvolto (senza alcuna violazione del limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia politica perseguito), esclude la censurabilità, in questa sede di legittimità, della valutazione in tal senso condotta dal giudice del merito, in assenza di evidenti vizi d’indole logica o giuridica;

che parimenti infondata deve ritenersi la censura sollevata nei confronti della contestata mancata ammissione delle prove testimoniali, dal ricorrente giudicate decisive al fine di attestare il carattere diffamatorio delle pubblicazioni contestate;

che, preliminarmente, varrà considerare come, in difetto di ammissione, già in primo grado, delle prove in questa sede ancora invocate dal ricorrente, quest’ultimo doveva ritenersi onerato della proposizione di uno specifico motivo di appello diretto a censurare la sentenza di primo grado sul punto;

che, nè nell’esposizione delle premesse in fatto del ricorso, nè nell’illustrazione del motivo in esame, si rinviene alcuno specifico rilievo su tale specifico punto, con la conseguente inammissibilità della censura per tale motivo, di là dalla relativa irriducibile genericità (cfr. Cass. n. 4741 del 2005, ribadita da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2917);

che, in ogni caso, è appena il caso di richiamare il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dai rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti (rifiuto che il giudice di merito non è tenuto a formalizzare in modo espresso e motivato, qualora l’inconcludenza dei mezzi istruttori invocati dalle parti possa implicitamente dedursi dal complesso della motivazione adottata: cfr. Sez. L, Sentenza n. 5742 del 25/05/1995, Rv. 492429 – 01), il ricorrente ha l’onere di dimostrare che con l’assunzione delle prove richieste la decisione sarebbe stata diversa, in base a un giudizio di certezza e non di mera probabilità, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla deci-sività delle prove (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017, Rv. 645753 – 01);

che, nella specie, la corte territoriale ha espressamente evidenziato come, dall’esame delle evidenze processuali disponibili, fosse rimasto escluso il carattere diffamatorio delle espressioni satiriche contestate avendo confermato, in conformità ai principi di diritto più sopra richiamati, il ricorso di un’adeguata contestualizzazione del libello satirico e la riconoscibilità dell’intento di esasperazione grottesca e iperbolica della figura e della condotta della persona attinta dalla satira, senza alcuna violazione del limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito;

che si tratta di considerazioni che il giudice d’appello ha elaborato, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dalla ricorrente;

che, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza dei motivi esaminati, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore

dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge, da distrarsi in favore del difensore dei controricorrenti, dichiaratosi anti-statario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 25 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 11 dicembre 2019

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