Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3238 del 09/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3238 Anno 2018
Presidente: PICARONI ELISA
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 18098-2016 proposto da:
FABBRI FABIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
MALCESINE 30, presso lo studio dell’avvocato STEFANO
BARBIANI, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GIOVANNI PORCELLI in virtù di procura in calce al
ricorso;
– ricorrente contro

FABBRI PIERO, FABBRI FRANCA quali eredi di FABBRI
ALFONSO, NICOLETTI DINO, NICOLETTI LOREDANA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CICERONE, 44, presso
Io studio dell’avvocato PAOLO SANTORO, che li rappresenta e
difende giusta procura in calce al controricorso;

Data pubblicazione: 09/02/2018

MOSCA PIA, FABBRI DANIELA, FABBRI MANUELA quali eredi di
FABBRI ANTONIO, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA
MONDRAGONE, 10, presso lo studio dell’avvocato PAOLA
MASTRABGELI, e rappresentate e difese dall’avvocato MARCO
BERTOZZI giusta procura in calce al controricorso;
ALFIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BAFILE 5, presso lo studio dell’avvocato LUCA FIORMONTE, e
rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE MARESI giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrenti avverso la sentenza n. 826/2016 della CORTE D’APPELLO di
BOLOGNA, depositata il 16/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 18/01/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dal ricorrente;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Vittoria ed Alfonso Fabbri convenivano in giudizio dinanzi al
Tribunale di Rimini i fratelli Antonio, Anna e Mario, deducendo
che, a seguito dell’apertura delle successioni di Peppino Fabbri
e della di lui madre Maria Valentini, i beni appartenevano ai
condividenti per la quota di 1/15 pro capite in favore di
Vittoria, Alfonso ed Anna, e per la quota di 6/15 pro capite in
favore di Antonio e Mario.
Pertanto, chiedevano procedersi allo scioglimento della
comunione insistente su di un terreno e su di un fabbricato
ubicati in S. Arcangelo di Romagna.
Intervenivano nel giudizio Nicoletti Loredana e Dino, quali eredi
di Fabbri Vittoria, nonché Sancisi Alfio, quale erede di Fabbri
Anna.
Il Tribunale adito con la sentenza n. 1365 del 31 agosto 2010
dichiarava lo scioglimento della comunione ereditaria, facendo
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SANCISI

proprio il progetto di divisione predisposto dal CTU e riportato
nell’elaborato peritale come “T2”, disattendendo in particolare
le richieste del convenuto Mario che sosteneva di essere
proprietario esclusivo del fabbricato, in quanto da lui solo
edificato a propria cura e spese, nonché per averlo usucapito

La Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 826 del 16
maggio 2016 rigettava l’appello principale proposto da Mario
Fabbri e quello incidentale avanzato da Antonio Fabbri,
confermando la sentenza di primo grado.
In ordine al motivo di appello con il quale si reiterava la tesi
della proprietà esclusiva in capo all’appellante principale del
fabbricato oggetto di causa, evidenziava che all’esito
dell’istruttoria doveva concludersi per la natura comune del
bene.
Si trattava, infatti, di edificio realizzato su di un terreno
comune ai germani, mentre quanto all’usucapione, sempre alla
luce dell’istruttoria svolta, emergevano una serie di circostanze
contrarie alla deduzione dell’appellante, quali la mancata
opposizione dello stesso appellante alla cointestazione
catastale in capo a tutti i fratelli, ovvero l’inclusione del bene
nella denuncia di successione.
Inoltre mancava un atto di interversione del possesso.
Quanto al tema dell’accessione, dalle deposizioni dei testi
escussi, era emerso che parte dei lavori relativi all’edificio
erano stati commissionati da Fabbri Antonio, mentre altro teste
addotto allo stesso appellante, aveva riferito che quest’ultimo
era direttore dei lavori, il che giustificava la ragione per la
quale lo stesso si era occupato della contabilità e quindi dei
pagamenti.

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per il possesso ultraventennale.

In merito all’usucapione, risultava che il fabbricato era stato
utilizzato ed occupato anche dal fratello Antonio, circostanza
questa che era inconciliabile con la tesi del possesso esclusivo.
Quanto al mancato riconoscimento del rimborso dei costi
sostenuti dall’appellante per la costruzione del fabbricato, la

secondo cui si trattava di una domanda riconvenzionale
autonoma che era stata tardivamente proposta, risultando
quindi inammissibile.
Analoga conclusione valeva anche per la domanda di rimborso
delle somme spese per le migliorie dell’immobile, essendo
peraltro emerso che tutti i germani, ed in parte anche la
madre, avevano contribuito all’edificazione del fabbricato
prestandovi la loro opera ed il denaro necessario.
Veniva altresì disatteso il motivo di appello che investiva la
scelta del progetto divisionale da parte del giudice di prime
cure, rilevandosi che le critiche alla conclusione circa la comoda
divisibilità dei beni erano state sollevate per la prima volta solo
in appello, occorrendo comunque constatare che il progetto
adottato era quello che meglio tutelava i diritti di tutti i
condividenti, riducendo al minimo l’entità dei conguagli.
In tal senso andava rigettato anche l’appello incidentale che
verteva sulle spese, dovendosi condividere la decisione di
compensare le stesse tra i germani Antonio e Mario, e
risultando corretta, la decisione di porle a carico di questi nei
confronti degli altri condividenti in base al principio della
soccombenza. Inoltre anche la richiesta di ridurre la
liquidazione dei compensi doveva esser disattesa, essendo la
doglianza del tutto generica, ed emergendo invece che le spese
erano state correttamente liquidate sulla scorta delle tabelle
all’epoca vigenti, tenuto conto della difficoltà del giudizio.

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Corte d’Appello condivideva la conclusione del Tribunale

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Fabbri
Fabio, quale erede di Fabbri Mario, sulla base di quattro motivi.
Gli altri intimati, ed in particolare Fabbri Daniela e Fabbri
Manuela, quali eredi di Fabbri Antonio, e Fabbri Piero e Fabbri
Franca, quali eredi di Fabbri Alfonso, deceduti nelle more della

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di
inammissibilità del ricorso per la pretesa violazione dell’art.
366 n. 3 c.p.c., ritenendo il Collegio che lo stesso, ancorchè
contenga l’integrale riproduzione di alcuni degli atti di causa
(sentenza d’appello ed atto di appello) risulta articolato con
modalità tali da accompagnare alla riproduzione di tali atti le
parti illustrative, che consentono di reputare soddisfatto il
requisito formale imposto dalla norma in questione.
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa
applicazione degli artt. 934 e 1102 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.,
sostenendosi che erroneamente la sentenza impugnata ha
affermato che l’immobile oggetto di causa sarebbe comune in
quanto edificato su di un terreno in comunione, e ciò anche
laddove l’appellante avesse costruito lo stesso a proprie spese,
assumendosi che si tratta di affermazione in palese contrasto
con i principi affermati da questa Corte la quale ha
reiteratamente precisato che l’istituto dell’accessione di cui
all’art. 934 c.c. non può trovare applicazione nel caso in cui la
costruzione sul fondo comune avvenga ad opera di un solo
comunista.
La Corte poi avrebbe sostenuto la tesi della natura comune del
bene, omettendo di pronunciarsi sulle specifiche censure
mosse avverso la decisione del Tribunale violando in tal modo
anche la previsione di cui all’art. 112 c.p.c.

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proposizione del ricorso, hanno resistito con controricorso.

Il secondo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione
degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 nn. 3
e 5 c.p.c.
Si deduce che in altra parte della sentenza, la Corte
distrettuale ha affermato che dalle prove raccolte emergeva

tutti i comunisti, ma avrebbe in tal modo totalmente frainteso il
senso delle deposizioni testimoniali, confondendo tra gli
interventi di manutenzione intervenuti in epoca recente, e le
spese sostenute dal solo dante causa del ricorrente per la
costruzione dell’edificio.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la
loro connessione, sono infondati.
Va innanzi tutto esclusa la denunziata violazione dell’art. 112
c.p.c., posto che la Corte d’appello si è comunque pronunziata
sul motivo di gravame che investiva il mancato riconoscimento
della proprietà esclusiva dell’immobile in favore dell’appellante
in quanto unico costruttore, né l’omessa considerazione di
alcune delle tesi difensive proposte dalla parte configura il vizio
di omessa pronuncia.
Quanto al merito del motivo, a prescindere dalla condivisione
dell’assunto del giudice di appello circa il fatto che l’accessione
prevalga sulle norme in tema di comunione nel caso in cui il
fabbricato sia realizzato da uno solo dei comunisti sul bene
comune – per il principio contrario a quello richiamato dalla
sentenza gravata si veda da ultimo, Cass. n. 7253/2007, a
mente della quale la disciplina sull’accessione, contenuta
nell’art. 934 cod.civ., si riferisce solo alle costruzioni su terreno
altrui, mentre alle costruzioni eseguite da uno dei
comproprietari su terreno comune si applica la disciplina in
materia di comunione, con la conseguenza che la comproprietà

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che in realtà il fabbricato era frutto del concorso economico di

della nuova opera sorge a favore dei condomini non costruttori
solo se essa sia stata realizzata in conformità di detta
disciplina, cioè con il rispetto delle norme sui limiti del
comproprietario all’uso delle cose comuni, cosicché le opere
abusivamente create non possono considerarsi beni

appartenenti al comproprietario costruttore e rientranti nella
sua esclusiva sfera giuridica; conf. Cass. n. 1556/2011 trattandosi peraltro di questione che risulta oggetto di
rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. n.
9316/2017), tuttavia dalla lettura della sentenza emerge che la
ratio che ha portato al rigetto del motivo di appello è consistita
anche nell’accertamento in fatto dell’effettiva partecipazione di
tutti i comunisti alla costruzione del fabbricato.
In tal senso, deve semplicemente procedersi alla valorizzazione
nella sentenza gravata, e senza quindi la necessità di dover
prendere posizione sull’applicabilità delle regole dell’accessione
in materia di costruzioni realizzate su terreni in comunione,
dell’accertamento in fatto circa la riconducibilità della
costruzione alla comune volontà e contribuzione di tutti i
comunisti.
Rileva in tutta la sua evidenza l’infondatezza del secondo
motivo di ricorso che investe appunto la correttezza della
valutazione delle risultanze istruttorie così come operata dal
giudice di appello.
A tal riguardo occorre ricordare che per dedurre la violazione
del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il
giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove
dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con
la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la
violazione deve avere giudicato o contraddicendo

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condominiali per accessione ma vanno considerate

espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di
non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè
giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e
disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia
riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo

contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo
stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può
ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le
prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale
attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a
caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n.
11892/2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
Il motivo in esame mira surrettiziamente a sollecitare un
diverso apprezzamento del fatto, in contrasto con i limiti al
sindacato del giudizio di legittimità, contrasto del quale appare
sostanzialmente consapevole lo stesso ricorrente.
Trattasi di un limite già ribadito dalla giurisprudenza di questa
Corte in relazione alla vecchia formulazione dell’art. 360 co. 1
n. 5 c.p.c., e che appare vieppiù rafforzato a seguito della
novella del 2012, alla luce dell’interpretazione che della norma
hanno fornito le Sezioni Unite di questa Corte, laddove hanno
precisato che ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo
introdotto dalla legge n. 134 del 2012, il vizio denunciabile è
limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio,
che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata
così sostituita la precedente formulazione (omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto
controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione
dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., deve essere

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probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non

interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12
delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è
denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si
tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in

vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere
dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si
esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto
materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel
“contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”
della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non
possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi
dell’art. 360 n. 5 citato, la correttezza logica del percorso
argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato
come incomprensibile il ragionamento ovvero che la
contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o
apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile
quale violazione della legge processuale ex art. 132 c.p.c.).
Nel caso di specie, e con precipuo riferimento alla valutazione
della deposizione del teste Belchieri, il motivo si risolve
appunto nella critica all’apprezzamento dell’inferenza logica
delle affermazioni rese, contestandosi il fatto che la sentenza
d’appello abbia tratto dalla qualifica di direttore dei lavori,
attribuita dal teste a Fabbri Mario, la non illogica conclusione
secondo cui questi, dei fratelli Fabbri, era quello che si
occupava anche della contabilità, ma senza che ciò potesse
indurre ad affermare che fosse l’unico a sostenere i costi
dell’opera.

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quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il

Il terzo motivo di ricorso denunzia poi la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1102, 1158 e 1164 c.c. nonché degli
artt. 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui la Corte distrettuale ha
disatteso la richiesta di accertare l’avvenuto acquisto del bene
per usucapione.

un’interversione del possesso per consentire al comunista di
poter usucapire le quote degli altri condividenti, sicchè, in
presenza della prova del godimento esclusivo, quanto meno
per uno degli appartamenti ubicati nel fabbricato, avrebbe
dovuto trovare accoglimento la richiesta de qua.
Anche in tal caso deve ritenersi che la censura vada respinta,
sebbene previa correzione della motivazione del giudice di
merito, e precisamente nella parte in cui si è affermato che per
l’usucapione del bene comune sarebbe necessario il
compimento di un atto di interversione del possesso.
In tal senso la giurisprudenza di questa Corte è costante
nell’affermare che (cfr. da ultimo Cass. n. 17512/2016) in
tema di comunione, il comproprietario che sia nel possesso del
bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota
degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo
del possesso e, se già possiede “animo proprio” ed a titolo di
comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in temi di
esclusività, a tal fine occorrendo che goda del bene in modo
inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da
evidenziare in modo univoco la volontà di possedere “uti
dominus” e non più “uti condominus”, senza che possa
considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano
dall’uso della cosa comune ( conf. Cass. n. 23539/2011; Cass.
n. 7221/2009).

Ric. 2016 n. 18098 sez. M2 – ud. 18-01-2018 -10-

Si sostiene che appare erroneo il riferimento alla necessità di

Tuttavia, il rigetto della richiesta di usucapione non si fonda
unicamente su tale erronea affermazione in punto di diritto, ma
appare invece saldamente ancorata ad un accertamento in
fatto circa l’assenza delle condizioni che in base alla richiamata
giurisprudenza permettono l’usucapione tra comunisti.

non è sindacabile in questa sede, la Corte di merito ha
verificato che il fabbricato è stato semplicemente goduto dal
germano Mario alla stessa stregua del germano Antonio, sicchè
non potendosi attribuire alla mera astensione dall’uso della
cosa comune da parte degli altri condividenti, rilevanza ai fini
che qui interessano, in assenza dell’allegazione di condotte che
possano valere ad evidenziare una volontà di possedere in
solitario e comunque in maniera inconciliabile con il
concorrente diritto degli altri fratelli, la doglianza deve essere
rigettata.
Il quarto motivo, infine denunzia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 c.p.c.
Si rileva che l’appellante principale aveva in realtà proposto
quattro motivi di appello, e precisamente con il quarto aveva
mosso una serie di censure in ordine alle statuizioni del
Tribunale in punto di spese di lite.
La sentenza impugnata si è invece limitata ad esaminare solo i
primi tre motivi dell’appello principale, passando poi
direttamente alla disamina del motivo di appello incidentale
proposto da Fabbri Antonio, egualmente vertente sulle spese di
lite.
Trattasi quindi di un’omessa pronuncia su di un motivo di
impugnazione che determina l’invalidità in parte qua della
sentenza di appello.

Ric. 2016 n. 18098 sez. M2 – ud. 18-01-2018 -11-

In tal direzione, con accertamento, che per le suesposte ragioni

Il motivo è fondato, in quanto emerge che, quanto alla
regolamentazione delle spese di lite da parte del Tribunale, che
i giudici di appello si sono limitati ad esaminare il solo motivo
di appello incidentale spiegato sul punto da parte degli
appellati, omettendo qualsiasi statuizione in ordine alle censure

La sentenza deve pertanto esser cassata in accoglimento di
taled motivo di ricorso, con rinvio per nuovo esame ad altra
Sezione della Corte d’Appello di Bologna, anche per le spese
del giudizio di legittimità.
PQM

Rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto e cassa la
sentenza impugnata, limitatamente al motivo accolto, comn
rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bologna, anche
per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 18 gennaio 2018
Il Presiderifte

DEPOSIUTO IN CANCELLERIA
eggi

, …………………..

U/

Il Funziorbario Giudio
Luisa PASSINgli

Ric. 2016 n. 18098 sez. M2 – ud. 18-01-2018 -12-

mosse con il quarto motivo dell’appello principale.

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