Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32378 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 13/12/2018), n.32378

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15112-2017 proposto da:

C.M.W., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FIRENZE 32, presso lo studio dell’avvocato ELENA IEMBO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANNAMARIA TROPIANO;

– ricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONEBCONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO (OMISSIS), in persona del Direttore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA 4 NOVEMBRE 144, presso lo studio

dell’avvocato EMILIA FAVATA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LUCIANA ROMEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 355/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, emessa il 21/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella carriera di consiglio non

partecipata del 25/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. NICOLA DE

MARINIS.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 27 marzo 2017, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, chiamata a pronunziarsi, quale giudice del rinvio disposto da questa Corte a seguito dell’annullamento della decisione resa dalla Corte di Appello di Catanzaro, sul gravame avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva accolto la domanda proposta C.M.W., dipendente di Poste Italiane S.p.A., nei confronti dell’INAIL avente ad oggetto il riconoscimento di rendita da infortunio sul lavoro occorsogli il 7.6.1995 presso l’ufficio postale ove prestava servizio, in riforma della stessa, rigettava la domanda del C.;

che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto di dover confermare la decisione di rigetto della Corte d’Appello di Catanzaro sulla base della diversa motivazione data, non dal decorso del termine prescrizionale, bensì dall’adesione alle conclusioni del CTU, che, escluso il nesso di causalità tra l’infortunio e le patologie concorrenti che pur avevano aggravato il quadro psichiatrico, aveva rilevato una riduzione della capacità lavorativa ai sensi del T.U. n. 1124 del 1965 pari solo al 6%, insufficiente, all’epoca della domanda amministrativa, a costituire alcuna rendita;

che per la cassazione di tale decisione ricorre il C., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’INAIL;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. imputa alla Corte territoriale di essere incorsa in un vizio di ultrapetizione nel rinnovare l’accertamento istruttorio conferendo al nominato CTU l’incarico di riesaminare l’esito della CTU espletata in primo grado, così eccedendo l’ambito del thema decidendum segnato dalle censure avanzate in sede di gravame dall’INPS alla predetta CTU limitate alla richiesta di rivalutazione della patologia ivi accertata (“disturbo post traumatico da stress di grado severo” anzichè “disturbo post traumatico da stress cronico e moderato” come acclarato dalla successiva CTU) sulla base delle tabelle vigenti all’epoca dell’infortunio di cui al T.U. n. 1124 del 1965, art. 74, e non di quelle, inclusive del danno biologico, introdotte a seguito dell’emanazione della L. n. 38 del 2000;

che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione della L. n. 38 del 2000, art. 13, comma 2, il ricorrente lamenta la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale, ritenendo che la fattispecie ricada nell’ambito di applicazione del T.U. n. 1124 del 1965, art. 83, comma 9, stante l’idoneità delle certificazioni esaminate dal primo CTU risalenti al 2002 ad attestare l’aggravamento dei postumi dell’infortunio rispetto all’esito dell’accertamento a riguardo operato dall’INAIL nel 1996, aggravamento da valutarsi, alla stregua della norma invocata, sulla base delle tabelle vigenti alla data del successivo esame di cui alla L. n. 38 del 2000, art. 13, comma 2;

che nel terzo motivo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è prospettato con riguardo alla mancata statuizione da parte della Corte territoriale in ordine alle spese del giudizio di legittimità;

che, precisato, in via preliminare come, con i primi due motivi l’impugnazione proposta miri a sostenere, da un lato, l’intangibilità dell’accertamento della patologia sofferta dal ricorrente come effettuato dal primo CTU, per essere le censure mosse dall’INAIL limitate all’erronea applicazione delle tabelle di valutazione di cui alla L. n. 38 del 2000, art. 13, dall’altro la correttezza dell’applicazione di tali tabelle dovendosi, in considerazione del riferirsi delle certificazioni in atti all’anno 2002, epoca successiva a quella dell’accertamento dei postumi dell’infortunio da parte dell’INAIL (1996) ormai insuscettibile di revisione, ricondurre il riesame compiuto in sede di CTU all’ipotesi dell’accertamento dell’intervenuto aggravamento, da valutarsi, ai sensi del T.U. n. 1124 del 1965, art. 83, comma 9, sulla base delle tabelle vigenti alla data del riesame medesimo e dunque sulla base delle tabelle di cui alla L. n. 38 del 2000, art. 3, deve rilevarsi l’infondatezza di entrambi i motivi, dal momento che la disposta rinnovazione dell’accertamento tecnico resta esente dal denunciato vizio di ultrapetizione per essere del tutto correttamente mirata al riesame integrale del precedente accertamento, comprensivo quindi del profilo dell’individuazione della patologia sofferta, in cui si identificano i postumi dell’infortunio oggetto specifico dell’accertamento stesso, destinato a concretarsi nella verifica della congruità dell’esito dell’analogo accertamento a suo tempo effettuato dall’INAIL in sede amministrativa con riferimento al periodo decorrente dalla data dell’infortunio, non potendo, pertanto, qualificarsi nè come revisione di quest’ultimo nè, attraverso il surrettizio riferimento a certificazioni di epoca successiva, come esame diretto a riscontrare un aggravamento di quei postumi, sicchè altrettanto correttamente si vincola il CTU ad una valutazione degli stessi alla stregua del diverso parametro assunto come rilevante dalla disciplina applicabile ratione temporis, la riduzione dell’attitudine al lavoro e non la menomazione dell’integrità psicofisica considerata dalla successiva riforma di cui alla L. n. 38 del 2000, e sulla base delle tabelle vigenti all’epoca dell’infortunio identificabili in quelle richiamate dal T.U. n. 1124 del 1965, art. 74;

che parimenti infondato risulta il terzo motivo, recando la sentenza impugnata la statuizione in ordine alle spese del giudizio di legittimità che si assume omessa, laddove, tanto nella parte motiva quanto nel dispositivo, la Corte territoriale dichiara integralmente compensate le spese dell’intero giudizio; che, pertanto, condividendosi la proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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