Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32371 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 13/12/2018), n.32371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18288-2017 proposto da:

R.D.T.G., elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARCO MERELLI;

– ricorrente –

contro

O.S., B.B., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato GUGLIELMO GIULIANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 281/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso di data 30 maggio 2012 R.D.T.G. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Ravenna O.S. e B.B. chiedendo la risoluzione del contratto di affitto di un fondo agricolo con fabbricato rurale per inadempimento dei convenuti, con condanna al rilascio del fondo ed al pagamento dei canoni. Il Tribunale adito rigettò la domanda di risoluzione per inadempimento e dichiarò risolto il contratto per recesso dei conduttori a decorrere dal 10 novembre 2011, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 10.675,35 oltre interessi. Avverso detta sentenza propose appello R.D.T.G.. La Corte d’appello di Bologna respinse l’appello. Proposto ricorso per cassazione sempre da R.D.T.G., con sentenza n. 15759 del 2016 questa Corte accolse il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata. Riassunto il giudizio, con sentenza di data 16 marzo 2017 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, dichiarò il contratto risolto ai sensi dell’art. 1456 c.c. in data 8 settembre 2011 e condannò i convenuti al pagamento della somma di Euro 9.433,09 oltre interessi.

Osservò la corte territoriale che, rispetto alla cessazione del contratto in data 10 novembre 2011 a seguito del recesso effettuato dagli affittuari con raccomandata del 7 giugno 2010, il contratto doveva intendersi risolto già in data 8 settembre 2011, giorno di ricevimento della dichiarazione con cui il proprietario aveva manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa. Aggiunse che da tale conclusione derivava che “la data dell’8.9.2011 funge da spartiacque al fine di qualificare illegittimo e contrario a buona fede il comportamento del proprietario di rifiutarsi di ricevere il fondo in restituzione, omettendo di ritirare le chiavi dell’immobile che gli erano state messe a disposizione, tenendo altresì conto del fatto, peraltro pacifico, che gli affittuari avessero già provveduto a rilasciare il fondo. In considerazione del permanere dell’obbligo, in capo agli appellati, di corrispondere i canoni di affitto dall’agosto 2010 all’8 settembre 2011, questi ultimi vanno condannati al pagamento, in favore dell’appellante, dei canoni per il periodo come sopra indicato, per un totale di Euro 9.433,09”.

Ha proposto ricorso per cassazione R.D.T.G. sulla base di tre motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità dei primi due motivi e di manifesta fondatezza del terzo motivo di ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1208,1219,1220 e 1590 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Espone il ricorrente che con la sentenza della Corte di Cassazione era stato affermato quanto segue: “con il secondo motivo – con il quale si denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206,1219 e 1590 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″ – il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto ingiustificato e contrario a buona fede il rifiuto del concedente di ritirare le chiavi dell’immobile messo a disposizione dagli affittuari. Il motivo è fondato, avendo il giudice di merito applicato la clausola generale di buona fede, senza dare adeguatamente conto, in riferimento alla concreta fattispecie, delle circostanze che avevano portato a qualificare il comportamento di R.D.T.G. come rifiuto di ritirare le chiavi e senza esaminare gli effetti che avrebbe potuto produrre l’accettazione della restituzione delle chiavi nella vigenza del contratto di affitto”. Osserva quindi che, in violazione di quanto enunciato dalla Corte di legittimità, il giudice di rinvio ha ritenuto valida l’offerta informale di rilascio effettuata dagli affittuari con la raccomandata in data 1 luglio 2010 (non ritirata), senza indicare le ragioni per le quali il locatore avrebbe dovuto ritirare le chiavi dell’immobile prima della data di risoluzione del contratto (8 settembre 2011), nè tantomeno come, a fronte di una non reiterata offerta di rilascio nemmeno informale dopo quest’ultima data, dopo la risoluzione contrattuale, dal momento che l’onere del rilascio è a carico del conduttore. Aggiunge che, posto che affinchè l’offerta del debitore sia valida è necessario che il termine sia scaduto se stipulato in favore del creditore (art. 1208 c.c., comma 1, n. 4), il termine di risoluzione contrattuale dell’8 settembre 2011 non era ancora scaduto quando gli affittuari ebbero ad offrire le chiavi con la raccomandata del 1 luglio 2010, nè risulta un’offerta anche informale di rilascio dopo la risoluzione dell’8 settembre 2011.

Il motivo è inammissibile. La censura si articola in tre rilievi: a) non si comprende dalla sentenza impugnata perchè il locatore avrebbe dovuto ritirare le chiavi dell’immobile prima della data di risoluzione del contratto (8 settembre 2011); b) in violazione dell’art. 1208 c.c., comma 1, n. 4, il termine dell’8 settembre 2011 non era ancora scaduto al momento dell’offerta; c) successivamente al termine dell’8 settembre 2011 non venne fatta alcuna offerta.

Il rilievo sub a) è estraneo alla ratio decidendi, non avendo affermato il giudice di appello che il locatore avrebbe dovuto ritirare,/ le chiavi dell’immobile prima della data di risoluzione del contratto (8 settembre 2011). Il rilievo sub b) è anch’esso estraneo alla ratio decidendi, non avendo accertato il giudice di appello l’esistenza di un’offerta nel rispetto delle forme di cui all’art. 1208 ss. Quanto alla circostanza che dopo la cessazione del rapporto in data 8 settembre 2011 per risoluzione ai sensi dell’art. 1456 non fosse avvenuta alcuna offerta di restituzione, il giudice di merito ha accertato che a tale data era avvenuto già il rilascio del fondo e tale accertamento non è stato oggetto dí impugnativa per vizio motivazionale. In presenza di un giudizio di fatto nel senso dell’avvenuto rilascio del bene immobile non può venire in rilievo la mora del conduttore ed il rimedio liberatorio dell’offerta non formale.

E’ appena il caso di aggiungere, in punto di conformità del giudizio di rinvio a quanto statuito con la sentenza di legittimità, che il giudice del rinvio ha ricondotto l’illegittimità della condotta del locatore all’epoca successiva alla risoluzione del contratto, facendo di tale presupposto la circostanza decisiva ai fini della qualificazione del contegno tenuto.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1227,1375 e 1590 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che era stata prevista una clausola penale per il ritardo nel rilascio dell’immobile e che in presenza di penale nessuno atto cooperativo doveva essere legittimamente posto in essere da parte del locatore per favorire il rilascio ed evitare al debitore il pagamento della penale pattuita.

Il motivo è inammissibile. La censura muove da un presupposto di fatto, l’esistenza di clausola penale, non accertato dal giudice di merito nella sentenza impugnata, sicchè lo scrutinio del motivo imporrebbe un’indagine di merito preclusa nella presente sede di legittimità, non avendo peraltro il ricorrente proposto apposita denuncia di vizio motivazionale.

E’ appena il caso di aggiungere che, come si è detto, l’accertamento del giudice di merito è stato nel senso che alla data delle risoluzione era avvenuto già il rilascio del fondo e che tale accertamento non è stato oggetto di impugnativa per vizio motivazionale.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 1147 c.c., degli artt. 112,329 e 343 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente, premesso di avere proposto domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 24.767,77, che il Tribunale aveva condannato i convenuti al pagamento della somma di Euro 10.675,35, pari ai canoni dovuti fino all’asserita data di recesso del 10 novembre 2011 e che tale statuizione, all’esito dell’appello proposto dal solo ricorrente, era stata confermata in appello, con sentenza impugnata con ricorso per cassazione sempre dal solo R.D.T.G.. Aggiunge che, essendosi formato il giudicato interno sulla condanna al pagamento della somma di Euro 10.675,35, la riduzione dell’importo dovuto nella misura di Euro 9.433,09 rappresenta un’inammissibile reformatio in peius.

Il motivo, al contrario di quanto ritenuto nella proposta del relatore, è manifestamente infondato. Non si è formato giudicato interno sull’importo dovuto dai conduttori nei termini di Euro 10.675,35 in quanto la pronuncia sull’importo dovuto, avendo carattere dipendente da quella relativa alla cessazione del rapporto contrattuale, deve intendersi caducata ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 1, con la riforma della sentenza sul punto del capo pregiudiziale. L’accertamento che il rapporto era cessato non al 10 novembre 2011 per recesso dei conduttori, ma, ai sensi dell’art. 1456 c.c., alla data 8 settembre 2011, ha comportato la sostituzione della pronuncia dipendente relativa all’importo da corrispondere da parte dei conduttori, nei termini dell’importo riconosciuto dalla decisione impugnata con l’odierno ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Avuto riguardo alla natura della controversia, non ricorrono i presupposti della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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