Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32370 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2018, (ud. 04/10/2017, dep. 13/12/2018), n.32370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29327 – 2017 R.G. proposto da:

S.G. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in

Roma, alla via Crescenzio, n. 2, presso lo studio dell’avvocato

Adolfo Zini, che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato

Riccardo Venturi lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

H.D. e O.A.;

– intimati –

e

C.F.L. e C.M.;

– intimati –

avverso – ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3 – la sentenza

del tribunale di Prato n. 504 dei 19.4/19.5.2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4

ottobre 2018 dal consigliere dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., S.G., proprietario di un fabbricato in (OMISSIS), alla località (OMISSIS), conveniva innanzi al tribunale di Prato C.F.L., C.M., H.D. ed O.A..

Esponeva che il cespite di sua proprietà, ai fini dell’accesso alla pubblica via, fruiva di servitù di passo carrabile e pedonale a carico del limitrofo terreno di proprietà dei C., nel possesso di H.D. ed O.A.; che il passaggio risultava impedito a seguito e a causa della installazione di due cancelli.

Chiedeva, previa declaratoria della sussistenza della servitù di passo carrabile e pedonale a vantaggio del proprio immobile, farsi ordine ai convenuti di consentirgli il transito mercè rimozione dei manufatti e ripristino dello status quo ante.

Si costituivano H.D. ed O.A..

Instavano per il rigetto dell’avversa domanda.

Venivano dichiarati contumaci C.F.L. e C.M..

Disposto il mutamento di rito, assunta la prova per testimoni, espletata c.t.u., con sentenza n. 504/2016 l’adito tribunalerigettava le domande tutte dell’attore e lo condannava a rimborsare alle controparti costituite le spese di lite nonchè a farsi carico delle spese di c.t.u..

Evidenziava in primo luogo il tribunale che i titoli di provenienza non fornivano alcun riscontro della costituzione e dell’esistenza della servitù per la quale l’attore aveva agito in confessoria.

Evidenziava in secondo luogo che il S. non aveva esperito domanda volta ad ottenere l’accertamento dell’interclusione del suo fondo e quindi la costituzione in via coattiva di servitù di passaggio a favore del proprio cespite ed a carico del cespite limitrofo; nè aveva richiesto la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia.

Evidenziava in terzo luogo che gli esiti istruttori non davano conto delle condotte ascritte a H.D. ed O.A..

Proponeva appello S.G..

Resistevano unicamente H.D. ed O.A..

Con ordinanza del 6.6.2017 la corte d’appello di Firenze dichiarava inammissibile il gravame ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c..

Segnatamente la corte evidenziava che il gravame era “basato semplicemente sul fatto che S. aveva necessità ed era solito passare sul fondo di H. – O.” (così ordinanza della corte di Firenze, pag. 2).

S.G. ha proposto ricorso a questa Corte sulla scorta – nel complesso – di tre motivi.

C.F.L., C.M., H.D. ed O.A. non hanno svolto difese.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Con il primo motivo – esperito avverso la statuizione di prime cure – il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errata interpretazione, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1051,1062 e 1069 c.c..

Deduce che ha errato il primo giudice a sostenere che “non basta la mera esistenza di opere visibili e permanenti” (così ricorso, pag. 11); che invero la strada che conduce alla sua proprietà è sempre esistita ed è sempre stata l’unica via di comodo accesso al suo fabbricato.

Deduce al contempo che in dipendenza del frazionamento dell’originaria unica proprietà “non poteva non sussistere il diritto di passo carrabile a servizio dell’ex rimessa – deposito – magazzino” (così ricorso, pag. 12) ed ora, a seguito dei lavori di ristrutturazione, del fabbricato di sua proprietà.

Deduce inoltre che il consulente d’ufficio ha accertato ed i testimoni escussi hanno riferito che l’immobile di sua proprietà è intercluso.

Con il secondo motivo – del pari esperito avverso la statuizione di prime cure – il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa motivazione, l’errata interpretazione e valutazione della c.t.u. e delle risultanze istruttorie.

Deduce che ha errato il tribunale a non attribuir rilievo alcuno agli esiti dell’espletata c.t.u.; che invero l’ausiliario ha riferito che l’immobile di sua proprietà è di fatto intercluso, ossia che è possibile allo stato l’accesso solo attraverso un disagevole passaggio pedonale.

Deduce altresì che ha errato il tribunale a non attribuir valenza alcuna alle dichiarazioni rese dai testimoni escussi.

Deduce infine che la realizzazione dei manufatti idonei ad impedire l’esercizio della servitù, non solo non è stata oggetto di contestazione, ma ha ricevuto riscontro alla luce degli accertamenti del consulente.

Con il terzo motivo – esperito avverso l’ordinanza della corte d’appello – il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che contrariamente a quanto affermato dalla corte di Firenze nell’atto di gravame non sono state formulate doglianze relative in via esclusiva all’esercizio del diritto di passo.

Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono strettamente connessi. Se ne giustifica perciò la disamina contestuale. Ambedue i motivi in ogni caso sono inammissibili.

Si sono enunciate in precedenza le prime due “linee” in cui è articolata la motivazione del primo dictum (“la domanda di accertamento dell’esistenza del diritto di servitù per cui è causa è rimasta totalmente sfornita di prova”: così sentenza di primo grado, pag. 5; “il S. non ha svolto una specifica domanda tesa (…) ad ottenere (…) la costituzione (…) di una servitù di passaggio coattivo (…). Analogamente, (…) non ha mai chiesto la costituzione giudiziale di (…) servitù per destinazione del padre di famiglia”: così sentenza di primo grado, pag. 5).

E’ ben evidente dunque che i passaggi e del primo e del secondo mezzo di impugnazione, che fanno leva, ad un tempo, sull’esistenza de facto del percorso mediante il quale si esercita la servitù e quindi – si assume – della servitù e sull’interclusione del fondo di proprietà dell’iniziale attore, non si correlano affatto alla ratio decidendi che sorregge il primo dictum (cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione devono connotarsi, a pena di inammissibilità, in conformità ai requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata)

Efficacemente la corte distrettuale ha rimarcato che l’appellante confonde “il piano petitorio col piano possessorio” (così ordinanza della corte di Firenze, pag. 2).

Evidentemente neppure sono pertinenti le prospettazioni concernenti l’erronea valutazione degli esiti istruttori parimenti veicolate dai motivi di ricorso in disamina.

Tanto ben vero a prescindere, a tal ultimo riguardo, dal rilievo ulteriore per cui gli spiegati motivi si qualificano propriamente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacchè, da un canto, recano censura del giudizio “di fatto” cui il tribunale di Prato ha atteso, giacchè, dall’altro, è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Su tale scorta si rappresenta che si applica ratione temporis al caso di specie la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 4, che esclude che il provvedimento di primo grado possa essere impugnato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Inammissibile è pur il terzo motivo di ricorso.

Soccorre l’insegnamento per cui l’impugnazione a questa Corte di legittimità è da proporre, alla luce del chiaro dettato dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, avverso il provvedimento di prime cure e l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c., è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui agli artt. 348 bis c.p.c., comma 2, art. 348 ter c.p.c., comma 1, periodo 1, e art. 148 ter comma 2, periodo 1), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso (cfr. Cass. sez. un. 2.2.2016, n. 1914).

Nella fattispecie l’ordinanza della corte d’appello di Firenze non risulta inficiata da alcun vizio, nè segnatamente da vizi “suoi propri”.

Del resto con il terzo mezzo, a censura dell’ordinanza della corte fiorentina, il ricorrente adduce, per un verso, che nell’atto di appello era “stata fornita la prova dell’esistenza della servitù” (così ricorso, pag. 17), per altro verso, che, nell’atto di appello, “pag. 14 si è precisato anche che, visto che in origine la proprietà era unica, non poteva che trattarsi di una servitù per destinazione del padre di famiglia” (così ricorso, pag. 18).

C.F.L., C.M., H.D. ed O.A. non hanno svolto difese. Nonostante la declaratoria di inammissibilità dl ricorso nessuna statuizione va assunta in ordine alle spese.

Il ricorso è stato notificato in data 18.12.2017. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, S.G., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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