Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32366 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. I, 11/12/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 11/12/2019), n.32366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso iscritto al n. 23173/2018 R.G. proposto da:

A.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Carla Panizzi, con

domicilio eletto in Roma, via Val d’Ossola, n. 116, presso lo studio

dell’Avv. Marco Fedeli;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI PORDENONE, in persona del Prefetto p.t., rappresentata

e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale

in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Pordenone depositata il 25

gennaio 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 23 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO

che A.P., cittadino del (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso l’ordinanza del 25 gennaio 2018, con cui il Giudice di pace di Pordenone ha rigettato il ricorso da lui proposto contro il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Pordenone il 12 dicembre 2017;

che il Prefetto di Pordenone ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13 e art. 19, comma 2, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando l’ordinanza impugnata per aver ritenuto inapplicabile il divieto di espulsione di cui dell’art. 19 cit., comma 2, lett. c), in virtù dell’esistenza di un precedente provvedimento espulsivo, senza considerare che la mancanza di tale presupposto non è prescritta da alcuna disposizione, risultando sufficiente la convivenza con parenti entro il secondo grado di nazionalità italiana, da verificarsi in riferimento al momento in cui l’espulsione viene posta in esecuzione;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 19 e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, osservando che l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto del difetto di motivazione del decreto di espulsione, non preceduto da alcuna istruttoria e non recante l’indicazione delle ragioni del provvedimento, ma solo il richiamo del precedente decreto di espulsione e di alcuni procedimenti giudiziari, uno solo dei quali si è concluso con la condanna;

che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 10-bis, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando l’ordinanza impugnata per aver omesso di rilevare che l’espulsione, disposta in conseguenza del diniego del permesso di soggiorno da lui richiesto ai sensi del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, artt. 2 e 3, non è stata preceduta dalla notificazione del relativo avviso con l’avvertenza della facoltà di presentare memorie nei termini di legge;

che, in ordine alla questione sollevata con il primo motivo, l’ordinanza impugnata ha richiamato il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il divieto di espulsione previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c), non è applicabile allorchè lo straniero sia stato già destinatario di un provvedimento espulsivo, in quanto una siffatta estensione della portata del divieto, eccedente la lettera della legge, che inequivocabilmente prevede il divieto di espulsione per chi sia già convivente con un parente entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana, favorirebbe l’instaurazione di convivenze o la celebrazione di matrimoni strumentali e renderebbe inefficace ex post, e per fatto sopravvenuto, l’atto di esercizio del potere espulsivo, che invece solo una espressa previsione di legge avrebbe potuto rendere revocabile (cfr. Cass., Sez. VI, 10/07/2012, n. 11582; Cass., Sez. I, 17/07/2006, n. 16208; 11/07/2006, n. 15753);

che la questione appare peraltro meritevole di più attenta considerazione, anche alla stregua del diverso orientamento formatosi nella giurisprudenza penale, che, in riferimento all’espulsione disposta in sede penale quale misura di sicurezza, afferma la necessità di verificare la sussistenza della causa ostativa all’esito dell’espiazione della pena, affidandone il riscontro al magistrato di sorveglianza in sede di esecuzione del provvedimento, ed escludendo la necessità che la convivenza sia già in atto alla data di commissione del reato (cfr. Cass. pen., Sez. I, 9/05/2017, n. 40529);

che tale affermazione fa leva, in particolare, sui principi sanciti dall’art. 8 della CEDU, in forza dei quali ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, e non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui (cfr. Corte EDU, sent. 7/04/2009, Cherif ed altri c. Italia; Corte EDU, sent. 30/06/2005, Bove c. Italia);

che vengono altresì richiamate le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale in ordine all’estensione agli stranieri della speciale protezione garantita dagli artt. 29,30 e 31 Cost., alla famiglia in generale ed ai figli minori in particolare (cfr. Corte Cost., sent. n. 376 del 2000), nonchè le ulteriori fonti sovranazionali, quali l’art. 10 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali aperto alla firma a New York il 16 dicembre 1966, gli artt. 23 e 24 del Patto internazionale relativo ai diritti civili politici aperto alla firma il 19 dicembre 1966, resi esecutivi in Italia dalla L. 25 ottobre 1977, n. 881, gli artt. 3, 9 e 10 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva dalla L. 27 maggio 1991, n. 176 e gli artt. 7, 9 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000, e recepita dal Trattato di Lisbona;

che la rilevanza della questione impone la rimessione della causa alla pubblica udienza, al fine di consentirne la discussione orale, nel contraddittorio delle parti e con l’intervento del Pubblico Ministero.

P.Q.M.

rinvia la causa a nuovo ruolo, ai fini della trattazione del ricorso in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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