Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32360 del 13/12/2018
Cassazione civile sez. un., 13/12/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 13/12/2018), n.32360
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente di Sezione –
Dott. MANNA Felice – Presidente di Sezione –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18519/2018 proposto da:
Z.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 213,
presso lo studio dell’avvocato MARCO PIETROBATTISTA STUDIO LEGALE
MAIONE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIACOMO
SOTTOCASA;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SAVONA, PROCURATORE GENERALE
PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 45/2018 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,
depositata il 14/05/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/11/2018 dal Consigliere MARIA GIOVANNA SAMBITO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato Giacomo Sottocasa.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Savona ha irrogato la sanzione disciplinare della censura all’avv. Z.C., perchè ritenuta responsabile di avere effettuato sul sito internet relativo al suo studio professionale “un annuncio di ricerca di procacciatore di pratiche legali con compenso da stabilire in sede privata”.
Con sentenza del 14 maggio 2018, il Consiglio Nazionale Forense ha dichiarato inammissibile l’impugnazione della Professionista, rilevando che la decisione impugnata era stata a lei notificata il 9 gennaio 2015, ma che il ricorso era stato depositato soltanto il 3 febbraio 2015)oltre, cioè, il termine di venti giorni previsto dall’art. 50 del regio decreto n. 1578 del 1933.
Avverso tale decisione, la Z. propone ora ricorso per cassazione affidato a due motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta che, nel ritenere tardivo il gravame, il Consiglio Nazionale Forense è incorso in violazione di legge (L. n. 247 del 2012, art. 65; artt. 33 e 39 del Regolamento, n. 2 del 21/2/2014) avendo applicato il termine di venti giorni previsto dal pregresso regime in luogo di quello di trenta giorni indicato dal menzionato regolamento, entrato in vigore il 1.1.2015, e, dunque, nella specie applicabile, essendo il provvedimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati stato a lei notificato il 9.1.2015.
2. Con il secondo motivo, si denunzia che tale decisione è stata assunta in assenza di motivazione.
3. Il primo motivo, pur redatto in forma non esattamente ortodossa (denuncia un error in iudicando in luogo del pertinente error in procedendo), consente di individuare chiaramente il vizio denunciato (decadenza dall’impugnazione in applicazione di una disposizione non più vigente), ed è, dunque, ammissibile, in applicazione del principio secondo cui non è a tal fine necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle tassative ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, (Cass. SU n. 17931 del 2013). Nel merito, esso è fondato.
4. La L. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense dispone, all’art. 65, comma 1, che: “Fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti previsti nella presente legge, si applicano se necessario e in quanto compatibili le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate”. Questa Corte (Cass. SU n. 27756 e n. 27757 del 2018) ha, di recente, affermato che la regola transitoria dettata da tale disposizione inibisce l’immediata applicazione delle disposizioni processuali, sino al verificarsi dell’evento assunto come rilevante, e cioè sino all’entrata in vigore dei previsti regolamenti. Ed in materia di procedimento disciplinare, il regolamento, previsto dalla L. n. 247, art. 50, comma 5, è stato, poi, approvato dal C.N.F. il 21 febbraio 2014, con delibera n. 2, ed è entrato in vigore al 1 gennaio 2015 (art. 39).
5. Alla data del 9.1.2015, nella quale è stato notificato alla ricorrente il provvedimento del C.O.A., il termine per proporre il ricorso avanti al Consiglio nazionale forense era, dunque, quello di trenta giorni, previsto dalla L. n. 247 del 2012, art. 61, comma 1, secondo cui: “Avverso le decisioni del consiglio distrettuale di disciplina è ammesso ricorso, entro trenta giorni dal deposito della sentenza, avanti ad apposita sezione disciplinare del CNF da parte dell’incolpato, nel caso di affermazione di responsabilità (…)”.
6. Tale termine, alla stregua degli esposti dati fattuali, risulta osservato, a nulla rilevando il fatto che l’organo che ha emesso la decisione impugnata sia diverso da quello deputato a farlo in base alla nuova procedura, il che costituisce una mera derivazione del criterio temporale del tempus regit actum, in base al quale devono trovare applicazione le regole vigenti al tempo del compimento dei singoli atti (cfr. Cass. SU n. 27756 e 27757 del 2018, cit. e, sui presupposti di applicabilità dell’art. 61 della L. n. 247/12, Cass. SU n. n. 30999 del 2017; n. 21113 del 2017; ord. n. 7298 del 2017).
7. Il secondo motivo è assorbito.
8. La sentenza va cassata con rinvio, anche per la statuizione sulle spese, al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa con rinvio, anche per la statuizione sulle spese, al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018