Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3236 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 11/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 7459/2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

F.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1/2007 della Commissione Tributaria Regionale

di BOLOGNA – Sezione Staccata di PARMA del 23.1.07, depositata il

30/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO SORRENTINO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di F.M. (che non risulta costituito) e avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Emilia Romagna, in controversia concernente impugnazione di silenzio rifiuto su istanze di rimborso Irap, rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate affermando che il contribuente, procacciatore di affari, non era assoggettabile all’Irap in quanto svolgeva la sua attività in assenza di dipendenti, senza una sede e con l’utilizzo di modesti beni strumentali.

I primi due motivi di ricorso, coi quale l’Agenzia deduce che la C.T.R. aveva omesso di decidere sugli effetti della presentazione di dichiarazione integrativa ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 (questione proposta dall’Ufficio sia in primo grado che in appello) e in ogni caso aveva errato nel non rilevare che il condono c.d.

“tombale” determina l’estinzione dell’eventuale diritto al rimborso di somme corrisposte in eccesso in relazione alle annualità di imposta oggetto di definizione, risulta innanzitutto inammissibile per difetto di autosufficienza e in ogni caso improcedibile per violazione dell’art. 369 c.p.c., n. 4.

Invero, dalla sentenza impugnata non risulta che l’Agenzia avesse in primo grado e in appello posto la questione degli effetti della presentazione di dichiarazione integrativa, nè risulta che tale dichiarazione fosse stata presentata (ed eventualmente in relazione a quali annualità); la ricorrente avrebbe dovuto pertanto riportare in ricorso il testo di eventuali atti e/o documenti dai quali tali circostanze emergevano, a nulla rilevando che nella specie si denunci anche un error in procedendo, atteso che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, valido oltrechè per il vizio di cui all’art. 360, n. 5 anche per quello di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle processuali, non può limitarsi a specificare solo la singola disposizione di cui si denunzia, appunto, la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti d’operatività di detta violazione (v. tra le altre Cass. n. 6972 del 2005).

In ogni caso, a norma dell’art. 369 c.p.c., n. 4, insieme col ricorso (e pertanto nello stesso termine previsto dal citato art. 369 c.p.c., comma 1) devono essere depositati a pena di improcedibilità “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Come è evidente, la norma non distingue tra i vari tipi di censura proposti, e prevede il deposito non solo di documenti o contratti, ma anche di atti processuali, con la conseguenza che, anche in caso di denuncia di error in procedendo, gli atti processuali sui quali la censura si fonda devono essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello stesso termine, non rilevando a tal fine la richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, il deposito del fascicolo di parte (che tali atti contenga), se si tratta di un deposito che non interviene nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c., e se all’atto del deposito viene indicato in modo generico il suddetto fascicolo senza specificare gli atti e documenti in esso contenuti sui quali il ricorso è fondato (nella specie, dalla nota di deposito e iscrizione a ruolo, risulta che unitamente al ricorso furono depositati copia autentica della sentenza impugnata, istanza ex art. 369 c.p.c., e n. 1 fascicolo dei precedenti gradi).

Il terzo motivo di ricorso, col quale la ricorrente rileva che il contribuente, quale procacciatore di affari, come gli agenti di commercio, doveva considerarsi un imprenditore e pertanto il requisito dell’autonoma organizzazione doveva ritenersi intrinseco alla natura stessa dell’attività esercitata, risulta manifestamente infondato alla luce della recente giurisprudenza delle SS.UU. di questa Corte che, componendo un contrasto emerso sulla questione de qua nell’ambito della giurisprudenza della sezione tributaria della Corte, hanno affermato che, in tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio dell’attività di agente di commercio di cui alla L. 9 maggio 1985, n. 204, art. 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata, ulteriormente specificando che il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, e che costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (v.

SS.UU. n. 12108 del 2009).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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