Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3236 del 09/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3236 Anno 2018
Presidente: PICARONI ELISA
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 25902-2015 proposto da:
MONTI SILVANA, PACIFICI ALBERINA, PACIFICI DOMENICO,
MONTI VALERIO, MICHETTI LEO, PACIFICI UBALDO, MICHETTI
GABRIELLA, PICCIONI BARBARA, elettivamente domiciliati in
ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 154, presso lo studio
dell’avvocato VINCENZO SPARANO, che li rappresenta e
difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti contro
CASA INCONTRO SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PIEMONTE 39-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO
TOMASELLI, che la rappresenta e difende in virtù di procura a
margine del controricorso;

Data pubblicazione: 09/02/2018

CELIA ELISABETTA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
TEVERE 44, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DI
GIOVANNI, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ANNALISA AMICUCCI in virtù di procura a margine
del controricorso;

avverso la sentenza n. 2279/2015 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 13/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 18/01/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalle parti;

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Pacifici Maria conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma
Celia Elisabetta chiedendo l’annullamento del contratto
preliminare di compravendita concluso dalla sorella Pacifici
Italia in data 7 maggio 2003, avente ad oggetto un
appartamento in Roma alla via S. Romano n. 73, sul
presupposto

dell’incapacità

naturale

della

promittente

venditrice affetta da tempo da schizofrenia.
L’attrice aggiungeva che solo di recente si era avveduta della
conclusione del contratto, allorquando aveva rinvenuto la
germana in possesso di due assegni circolari, sicchè,
avvalendosi della collaborazione di Casa Incontro, che aveva
funto da mediatrice in occasione della conclusione del
preliminare, era risalita alla promissaria acquirente,
comunicandole, a seguito della convocazione per la stipula del
definitivo, l’impossibilità di poter procedere a tale atto, attesa
l’invalidità del contratto concluso.
Si costituiva la convenuta che chiedeva di essere autorizzata
alla chiamata in causa di Pacifici Italia e dell’agenzia
immobiliare, deducendo, in primo luogo, il difetto di
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– controricorrenti –

legittimazione attiva dell’attrice, ed in secondo luogo, istando
per la condanna dei terzi chiamati, anche in solido, alla
restituzione della somma di C 5.000,00 a suo tempo versata a
titolo di caparra (avendo già ottenuto la restituzione della
somma di C 20.000,00) oltre al pagamento della somma di C

somma pagata a titolo di provvigione.
Nella contumacia di Pacifici Italia, il Tribunale adito, con la
sentenza n. 14813/2006 rilevava il difetto di legittimazione
attiva di Maria Pacifici, e reputava che le domande
riconvenzionali della Celia fossero assorbite, in quanto
connesse inscindibilmente all’eventuale e non avvenuto
accoglimento della domanda attorea.
Avverso tale sentenza proponeva appello la Celia che
contestava la valutazione di assorbimento delle domande
riconvenzionali, dichiarando che, proprio per effetto della
ritenuta validità del contratto, nutriva interesse al loro
accoglimento.
Si

costituiva

Casa

Incontro

S.r.l.

che

resisteva

all’impugnazione; Maria Pacifici restava contumace e si
costituiva anche Michetti Gabriella quale tutrice di Pacifici
Italia, che a sua volta insisteva per la conferma della decisione
di prime cure.
Nel corso del giudizio decedeva Italia Pacifici, e riassunto il
giudizio, la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 2279
del 13 aprile 2015, ravvisata l’indipendenza della domanda
riconvenzionale della Celia da quella principale, pur ritenendo
che il contratto fosse tuttora efficace, accoglieva la domanda di
restituzione del doppio della caparra, essendo immotivato il
rifiuto della promittente alienante di addivenire alla stipula del
definitivo, rigettava quella di restituzione della provvigione sia

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25.000,00 quale doppio della caparra, nonché al rimborso della

nei confronti dell’agenzia immobiliare (attesa la novità della
richiesta fondata sul presupposto dell’inadempimento della
mediatrice, avendo invece in primo grado ancorato tale
domanda all’ipotesi di annullamento del contatto), che nei
confronti degli eredi di Pacifici Italia, stante l’idoneità della

tutte le possibili voci di danno subite.
Per l’effetto, ha condannato gli eredi di Pacifici Italia al
pagamento in favore di Celia Elisabetta della somma di C
30.000,00 con gli interessi legali dalla domanda.
Michetti Gabriella, Michetti Leo, Monti Silvana, Monti Valerio,
Pacifici Alberina, Pacifici Domenico, Pacifici Ubaldo, Piccioni
Barbara, quali eredi di Pacifici Italia, hanno proposto ricorso
sulla base di un motivo.
Celia Elisabetta e Casa Incontro S.r.l. hanno resistito con
controricorso.
Preliminarmente occorre dare atto che con decreto
presidenziale del 9 giugno 2017, avendo i ricorrenti agito in
qualità di eredi di Pacifici Italia, ed avendo preso parte al
giudizio di merito anche Pacifici Maria, essendo stato il giudizio
proprio instaurato da quest’ultima, era stata disposta
l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Pacifici Maria,
e che a tale provvedimento è stata data puntuale e tempestiva
attuazione.
Al riguardo, i ricorrenti hanno documentato che Pacifici Maria
era già deceduta in data 11/3/2010, e che alla stessa sono
succeduti quali eredi legittimi, i figli Michetti Gabriella e Leo,
già parti ricorrenti, ai quali è stata comunque notificata copia
del ricorso, dovendosi in tal modo ritenere ottemperato il
provvedimento reso ai sensi dell’art. 331 c.p.c.

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restituzione del doppio della caparra a ristorare forfetariamente

L’unico motivo di ricorso denunzia ex art. 360 co. 1 nn. 3 e 4
c.p.c. la violazione degli artt. 101, 102, 110, 300, 303, 305 e
307 c.p.c., facendosi rilevare che nel corso del giudizio di
appello era deceduta Pacifici Italia.
Si assume che la sentenza di appello ha attestato una

tale evento, sarebbe stato riassunto nei confronti degli eredi
della parte defunta, laddove invece la riassunzione era
avvenuta solo nei confronti di Pacifici Maria e dell’agenzia
immobiliare.
Da tale omissione si ritiene che sia derivata la violazione
dell’art. 307 c.p.c., in quanto, stante l’omessa riattivazione del
contraddittorio, il giudice di appello avrebbe dovuto dichiarare
l’estinzione del processo, ed inoltre, anche a non voler
accedere a tale conclusione, il giudizio di appello si sarebbe
svolto a contraddittorio non integro, essendo stata accolta una
domanda nei confronti degli eredi della Pacifici, senza che fosse
stata loro assicurata la possibilità di partecipare alla
prosecuzione del giudizio.
Il motivo è solo in parte fondato.
Ed, invero, va in primo luogo rilevato che la stessa
controricorrente Celia ha riconosciuto che l’atto di riassunzione
non è stato indirizzato nei confronti di tutti i coeredi della
defunta Pacifici Italia, ma, oltre che alla società, alla sola
Pacifici Maria, sul presupposto (rivelatosi poi erroneo) che
fosse l’unica erede della promittente venditrice.
Non può però reputarsi che il vizio nella riassunzione del
processo interrotto possa portare, come auspicato dai
ricorrenti, alla declaratoria di estinzione del giudizio.
A tal fine va richiamato il costante orientamento di questa
Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 2174/2016) secondo cui la

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circostanza non veritiera e cioè che il processo, a seguito di

riassunzione del processo si perfeziona nel momento del
tempestivo deposito del ricorso in cancelleria con la richiesta di
fissazione dell’udienza, senza che rilevi l’eventuale inesatta
identificazione della controparte nell’atto di riassunzione, il
quale opera in termini oggettivi ed è valido, per

contenga gli elementi sufficienti ad individuare il giudizio che si
intende proseguire. Ne consegue che non incide sulla
tempestività della riassunzione, ai sensi dell’art. 305 c.p.c., la
successiva notifica del ricorso e dell’unito decreto, atta invece
al ripristino del contraddittorio nel rispetto delle regole proprie
della “vocatio in ius”, sicché, ove essa sia viziata o inesistente,
o comunque non correttamente compiuta per erronea o incerta
individuazione del soggetto che deve costituirsi, il giudice è
tenuto ad ordinarne la rinnovazione, con fissazione di nuovo
termine, ma non può dichiarare l’estinzione del processo (conf.
ex multis Cass. n. 21869/2013).
Con specifico riferimento al caso di specie, e premesso che
Maria Pacifici è una delle coeredi della defunta Italia Pacifici,
l’avvenuta notifica della riassunzione nei suoi confronti ha
determinato l’applicazione dell’altrettanto pacifico principio in
forza del quale (cfr. Cass. n. 4488/2002) la tempestiva
riassunzione del processo interrotto, eseguita nei confronti di
uno dei litisconsorti necessari, impedisce ogni decadenza o
preclusione, poiché i suoi effetti conservativi si estendono agli
altri soggetti necessari, nei cui confronti, in difetto di loro
spontanea costituzione, deve essere disposta l’integrazione del
contraddittorio (conf. ex multis Cass. n. 2322/2011).
Tuttavia, la Corte d’appello avrebbe dovuto emettere l’ordine di
integrazione del contraddittorio, una volta riscontrata la non
perfetta riassunzione del giudizio nei confronti di tutti gli eredi

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raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., quando

è

della parte defunta, e non l’ha fatto. L’omissione ha impedito la
rituale partecipazione al giudizio degli odierni ricorrenti, i quali
risultano quindi destinatari di una condanna, senza essere stati
posti nelle condizioni di poter prendere parte al processo.
Il motivo va quindi accolto e la sentenza impugnata deve

di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente
giudizio.
PQM
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione e cassa la
sentenza impugnata, con rinvio anche per le spese del
presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di
Roma.
Così deciso nella camera di consiglio del 18 gennaio 2018
Il Preside e

essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello

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