Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32343 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/12/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 11/12/2019), n.32343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24093/2018 R.G. proposto da:

H.H., rappresentato e difeso dagli Avv. Pietro Nicolò e

Laura Barberio, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultima in Roma, via del Casale Strozzi, n. 31;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO e PREFETTURA DI NAPOLI;

– intimati –

avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Napoli depositata il 7

maggio 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

Fatto

RILEVATO

che H.H., cittadino della Repubblica Popolare Cinese, ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi, avverso l’ordinanza del 7 maggio 2018, con cui il Giudice di pace di Napoli ha rigettato il ricorso da lui proposto contro il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Napoli il 19 febbraio 2018;

che gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 2, lett. c), nonchè l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando l’ordinanza impugnata per aver ritenuto giustificata la valutazione di pericolosità sociale risultante dal decreto di espulsione, in virtù di una sola risalente sentenza di condanna, senza procedere all’accertamento concreto della sua appartenenza ad una delle categorie indicate nel D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, artt. 1,4 e 16;

che il motivo è fondato;

che in caso di ricorso avverso il provvedimento di espulsione adottato ai sensi D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. c), il controllo giurisdizionale deve avere ad oggetto il riscontro dell’appartenenza dello straniero ad una delle categorie di soggetti socialmente pericolosi indicate del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, artt. 1,4 e 16 (richiamato dall’art. 13, comma 2, lett. c), citato, come modificato dal D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, art. 4, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 17 aprile 2015, n. 43, che ha sostituito il precedente richiamo alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, come sostituito dalla L. 3 agosto 1988, n. 327, art. 2, ed alla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 1, come sostituito dalla L. 13 settembre 1982, n. 646, art. 13);

che, come affermato ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità, la predetta verifica, nel cui compimento il giudice di pace dispone di poteri di accertamento pieni e non già limitati da un’insussistente discrezionalità dell’Amministrazione, deve tenere conto del carattere oggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni, dell’attualità della pericolosità, nonchè della necessità di effettuare un esame globale della personalità del soggetto, quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita (cfr. Cass., Sez. VI, 25/11/2015, n. 24084; 8/09/2011, n. 18482);

che il giudice di pace non può dunque limitarsi alla valutazione dei precedenti penali dello straniero, ma deve procedere ad un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni, estendendo il proprio giudizio anche all’esame complessivo della personalità dello straniero, desunta dalla sua condotta di vita e dalle manifestazioni sociali nelle quali quest’ultima si articola, verificando in concreto l’attualità della pericolosità sociale (cfr. Cass., Sez. I, 31/07/2019, n. 20692);

che l’ordinanza impugnata non si è attenuta ai predetti principi, essendosi limitata a rilevare che il ricorrente non aveva contestato di aver riportato nell’anno 2013 una condanna a due anni e quindici giorni di reclusione, ed avendo desunto da tale circostanza l’attualità della pericolosità sociale dello straniero, senza verificare la gravità del reato per il quale era stata pronunciata la predetta sentenza e senza accertare la successiva condotta di vita del ricorrente e le relazioni sociali da lui intrattenute nel non breve periodo di tempo trascorso tra l’espiazione della pena e l’emissione del decreto di espulsione;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, artt. 3 e 7, sostenendo che, nel ritenere inapplicabile il divieto di espulsione derivante dall’avvenuta proposizione di una domanda di protezione internazionale, l’ordinanza impugnata non ha considerato che, ai sensi delle predette disposizioni, egli era autorizzato a trattenersi nel territorio dello Stato fino alla decisione della competente Commissione territoriale;

che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3 e 27, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha attribuito carattere strumentale alla domanda di protezione internazionale da lui proposta, conformemente a quanto sostenuto dalla Questura, senza considerare che la relativa valutazione spetta alla competente Commissione territoriale, la quale nella specie non si era ancora pronunciata, con la conseguenza che, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di pace, nessuna impugnazione avrebbe potuto essere proposta;

che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sono inammissibili nella parte riflettente la mancata conclusione del procedimento amministrativo volto al riconoscimento della protezione internazionale, avendo l’ordinanza impugnata accertato, sulla base della documentazione prodotta dall’Amministrazione, l’avvenuto rigetto della relativa domanda, e mirando le predette censure a sollecitare un riesame di tale apprezzamento, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di procedere ad una nuova valutazione dei fatti, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonchè la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. VI, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547);

che nella parte riguardante l’operatività del divieto di espulsione le censure risultano invece fondate, essendosi l’ordinanza impugnata limitata a dare atto della mancata dimostrazione dell’avvenuta impugnazione del provvedimento di diniego della protezione, ed avendo omesso di verificare se alla data di emissione del decreto di espulsione fosse ancora pendente il relativo termine, senza considerare che, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art. 32, comma 4, il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della competente Commissione territoriale e, in caso di rigetto della domanda di protezione, fino alla scadenza del termine per l’impugnazione, trascorso il quale soltanto può dunque provvedersi all’emissione del decreto di espulsione;

che con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998,, art. 28, comma 3, dell’art. 8 CEDU e degli artt. 3, 7, 9 e 10 della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di valutare la lesione del diritto all’unità familiare derivante dal decreto di espulsione, il quale comportava la separazione di esso ricorrente dal coniuge e dai figli minori, regolarmente residenti in Italia da diversi anni e ben integrati;

che il motivo è fondato, avendo l’ordinanza omesso qualsiasi valutazione in ordine alle censure proposte dal ricorrente avverso il decreto di espulsione, nella parte in cui non aveva tenuto conto della sua situazione familiare;

che, come ripetutamente affermato da questa Corte, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2-bis, secondo il quale è necessario tener conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno, nonchè dell’esistenza di legami con il paese d’origine, si applica (con valutazione da effettuarsi caso per caso, in coerenza con la direttiva comunitaria 2008/115/CE) anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorchè non abbia formalmente avanzato domanda di ricongiungimento, e ciò in linea con la nozione di diritto all’unità familiare emergente dalla giurisprudenza della Corte EDU relativa all’art. 8 CEDU e fatta propria dalla sentenza n. 202 del 2013 della Corte costituzionale, senza che possa distinguersi tra vita privata e familiare, trattandosi di estrinsecazioni del medesimo diritto fondamentale tutelato dall’art. 8 citato, che non prevede gradazioni o gerarchie (cfr. Cass., Sez. I, 2/10/2018, n. 23957; 22/07/2015, n. 15362);

che l’ordinanza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dalle censure accolte, con il conseguente rinvio della causa al Giudice di pace di Napoli, che provvederà, in persona di un diverso magistrato, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, nonchè parzialmente il secondo e il terzo motivo; cassa l’ordinanza impugnata, in relazione alle censure accolte; rinvia al Giudice di pace di Napoli, in persona di un diverso magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 11 dicembre 2019

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