Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32342 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. II, 13/12/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 13/12/2018), n.32342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27268-2014 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE TITO LIVIO 59,

presso studio dell’avvocato UGO PIOLETTI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PIERLUIGI PARLATANO;

– ricorrente –

contro

F.E., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MARZI0 1, presso lo studio dall’avvocato VIANELLO LUCA,

rappresentato e difeso unitamente all’avvocato MONFORTANO SIMONA;

– controricorrente –

P.R., D.M.A., rappresentati e difesi

dall’avvocato GIULIO DI MATTEO;

– controricorrenti incidentali –

e contro

M.L., G.A., FA.MI.,

S.M.P., SC.BR., C.G., G.L.,

F.E., A.L., CA.SI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 331/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera consiglio del

03/06/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RILEVATO

che, con la sentenza n. 331/14 la corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del tribunale di Como che, in parziale accoglimento delle domande del signor F.E., aveva condannato la sig.ra G.A., insieme agli altri convenuti D.M.A., P.R., Fa.Mi., S.B., C.G., G.A., S.M.P., al ripristino del preesistente stato di un edificio sito in (OMISSIS) e delle relative tubazioni di acqua, gas e fognatura e aveva altresì condannato le chiamate in causa M.L. e A.L., danti causa della sig.ra G., a manlevare quest’ultima da quanto ella fosse stata tenuta a pagare in forza della sentenza che la vedeva soccombente;

che, in particolare, la corte di appello, disattesa la domanda di usucapione svolta in via riconvenzionale dalla sig.ra G. e dagli altri convenuti, condannava costoro a rimuovere la sopraelevazione dell’edificio realizzata nel corso di una ristrutturazione risalente all’ultimo decennio dello scorso secolo, perchè la stessa risultava in contrasto con la disciplina delle distanze prevista dalle N.T.A., nonchè all’arretramento delle tubature per acqua, gas e fognature perchè la stessa risultavano poste a distanza inferiore a quella minima di un metro dal confine prevista dall’art. 889 c.c., comma 2;

che M.L. ha impugnato per cassazione la sentenza di appello sulla scorta di tre motivi;

che F.E. ha depositato atto di controricorso e Di.Ma.An. e P.R. hanno depositato atto di controricorso e ricorso incidentale;

che gli altri intimati non hanno spiegato attività difensiva in questa sede;

che D.M.A. e P.R. hanno rinunciato al ricorso incidentale con atto del 16.4.18 notificato alle altre parti costituite, la ricorrente M. ed il contro ricorrente F.;

che la causa è stata chiamata nell’adunanza in camera di consiglio del 5 giugno 2018 per la quale solo il contro ricorrente F. ha depositato una memoria;

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa disattendendo il motivo di appello con cui ella aveva lamentato l’ultrapetizione in cui era incorso il primo giudice ordinando l’abbassamento del fabbricato de quo, ancorchè la domanda del F. avesse ad oggetto “l’arretramento” di tale fabbricato, relativamente alla porzione in ampliamento e sopraelevazione;

che, a corollario del motivo, la ricorrente deduce che, poichè le norme locali sull’altezza degli edifici non sono integrative della disciplina delle distanze del codice civile, la domanda del F. non avrebbe potuto comunque potuto avere ad oggetto l’abbassamento del fabbricato, giacchè, ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2, la violazione delle suddette norme locali non sarebbe sanzionabile con la riduzione in pristino ma potrebbe generare soltanto una responsabilità risarcitoria;

che il motivo va disatteso, perchè la corte territoriale ha adeguatamente motivato sia sulla portata della domanda dell’attore, valorizzandone il passo in cui si chiedeva: “arretrare il fabbricato, relativamente alla porzione eseguita in ampliamento e in sopraelevazione” sia sulla portata della statuizione del primo giudice, chiarendo che “la condanna al ripristino riguarda la porzione di edificio che non rispetta le distanze previste dalla Norme Tecniche di Attuazione vigenti”, cosicchè nella specie deve farsi applicazione del principio fissato da questa Corte nella sentenza n. 1545/16, a cui il Collegio intende dare conferma e seguito, che “L’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, la cui statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultra petizione, atteso che, avendo il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la erroneità di quella motivazione, sicchè, in tal caso, il dedotto errore non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico dell’accertamento in concreto della volontà della parte”;

che, quanto all’argomentazione di supporto svolta nel motivo di ricorso con riferimento alla dedotta inapplicabilità, nella specie, del rimedio della riduzione in pristino, è sufficiente considerare che nella sentenza impugnata si riferisce (pag. 5) che il primo giudice aveva accertato che la porzione di edificio in ampliamento e sopraelevazione “non rispettava le distanze previste dalle N.T.A. vigenti” e che, d’altra parte, le norme locali regolative delle distanze sono richiamate dall’art. 873 c.c., con la conseguenza che la relativa violazione è sanzionabile con la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 c.c.;

che con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente deduce la nullità della sentenza gravata perchè la motivazione della statuizione di rigetto della domanda di usucapione sarebbe meramente apparente;

che in detto motivo vengono promiscuamente sviluppate molteplici ed eterogenee argomentazioni (si sottolinea, tra l’altro, come gli accertamenti peritali non abbiano consentito di collocare temporalmente l’aumento di volumetria; come già nel 1953 l’immobile risultasse difforme rispetto ai progetti originari; come sarebbe illogico desumere l’assenza di irregolarità ad una certa epoca da un sopralluogo della Polizia Municipale effettuato senza il supporto di misurazioni effettuate dai tecnici; come sia stata omessa la considerazione di un accordo tra vicini documento da una missiva della dante causa dei convenuti al Comune di Como del 2.12.52; come sia stato trascurato il principio giurisprudenziale alla cui stregua il diritto di mantenere un fabbricato a distanza inferiore di quella fissata dalle norme locali può formare oggetto di usucapione; come gli accertamenti peritali abbiano riconosciuto che l’immobile de quo non era mai stato conforme alle previsioni amministrative, salvo, contraddittoriamente, ascrivere il relativo ampliamento alla società Silce, dante causa intermedio dei convenuti; come risulti incongrua la datazione delle tubature in epoca incompatibile con il riconoscimento della maturata usucapione sulla scorta del solo generico argomento che, in base all’id quod plerumque accidit, tali beni avrebbero una durata limitata nel tempo);

che il motivo va giudicato infondato, perchè la motivazione della corte territoriale non può dirsi apparente, in quanto rispetta il “minimo costituzionale” (cfr. SSUU 8053/14) con il riferimento, quanto all’epoca di ampliamento e sopraelevazione del fabbricato, alla motivazione del primo giudice che, a propria volta, si basava sull’ “esame delle fotografie sub doc. 13 prodotte in giudizio dall’attore” (pag. 3, sesto cpv. della sentenza gravata) e, quanto all’epoca di posa delle tubature, ad un canone di comune esperienza; tale motivazione poteva essere censurata mediante la deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge o del vizio di omesso esame di fatto decisivo che avesse formato oggetto di discussione tra le pari, ma non è qualificabile come meramente apparente; donde il rigetto della doglianza;

che con il terzo motivo, anch’esso riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente deduce la nullità della sentenza gravata sul rilievo della non corrispondenza alla realtà (cfr. ultima pagina, primo rigo, del ricorso) dell’affermazione della corte milanese secondo cui la sig. M. non aveva dedotto le ragioni per le quali aveva chiesto la riforma della statuizione della sentenza di primo grado che l’aveva condannata a manlevare la sig.ra G.;

che il motivo va disatteso per difetto di specificità, in quanto la ricorrente, per un verso, non individua specificamente – trascrivendoli in ricorso (cfr. Cass. 22880/17) o localizzandoli con precisione all’interno dell’atto di appello (c.d. localizzazione interna, secondo le previsioni del protocollo Cassazione – CNF del 17.12.2015) – i passi del proprio appello che conterrebbero la specifica illustrazione delle ragioni di critica alla statuizione del primo giudice che l’aveva riconosciuta tenuta a manlevare la sig.ra G.; per altro verso, non illustra le ragioni di diritto per le quali l’error in judicando da lei ascritto alla corte milanese – concernente l’apprezzamento del contenuto dell’atto di appello – ridonderebbe in nullità della sentenza;

che quindi in definitiva il ricorso principale va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola;

che il giudizio sul ricorso incidentale di D.M.A. e P.R. va dichiarato estinto per rinuncia, essendo stato l’atto di rinuncia notificato alla parti costituite nel giudizio di cassazione e, d’altra parte, non rilevando l’accettazione della rinuncia ai fini della produzione dell’effetto estintivo (Cass. 3971/15: “La rinuncia al ricorso per cassazione produce l’estinzione del processo anche in assenza di accettazione, in quanto tale atto non ha carattere “accettizio” (non richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione, rimanendo, comunque, salva la condanna del rinunciante alle spese del giudizio”);

che le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra M.L. ed F.E., mentre si compensano nei rapporti tra M.L., da un lato, e D.M.A. e P.R., dall’altro, in ragione della soccombenza di entrambe tali parti;

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara estinto per rinuncia il giudizio sul ricorso incidentale.

Condanna la ricorrente principale M.L. a rifondere al contro ricorrente F.E. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.800, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Compensa le spese del giudizio di cassazione tra la ricorrente principale e i contro ricorrenti e ricorrenti incidentali D.M.A. e P.R..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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