Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32340 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. II, 13/12/2018, (ud. 22/05/2018, dep. 13/12/2018), n.32340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19466-2017 proposto da:

D.M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN TOMMASO

D’AQUINO 83, presso lo studio dell’avvocato FILOMENA MOSSUCCA,

rappresentato difeso dall’avvocato SALVATORE PAGLIUCA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la decreto n. 194/2017della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositato il 25/05/2017, RG. n. 72/2017 VG;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2018 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

RITENUTO

che:

– con ricorso depositato il 25.11.2016, D.M.C. adiva la Corte d’Appello di Potenza per chiedere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dell’indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001 derivante dalla irragionevole durata di un giudizio civile svoltosi innanzi al Tribunale di Potenza, definito con sentenza della medesima Corte d’Appello del 24.3.2015;

– il giudice della fase monitoria respingeva il ricorso con decreto N. 7/2017, confermato dalla Corte d’Appello in composizione collegiale con provvedimento del 25.5.2017, sul presupposto che il ricorrente avesse resistito in giudizio nonostante la consapevolezza dell’infondatezza della propria pretesa;

per la cassazione del decreto, il D.M. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo;

– il Ministero della Giustizia è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, lett. a) e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte territoriale escluso il pregiudizio per la durata del processo dalla mera infondatezza della domanda, laddove l’art. 2, comma 2 quinquies, come modificato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, richiede l’ulteriore requisito, non risultante dalla sentenza impugnata, dell’avere la parte agito o resistito in giudizio consapevole dell’infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dei casi di cui all’art. 96 c.p.c.;

– con il secondo motivo di ricorso si allega l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia per avere la corte territoriale tratto il convincimento della consapevolezza dell’infondatezza della domanda dalla proposizione dell’appello avverso la sentenza di primo grado, nonostante il giudizio d’appello si fosse svolto nel rispetto dei termini di ragionevole durata;

i motivi, che vanno trattati congiuntamente per la loro evidente connessione non sono fondati;

la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies come modificato dalla L. n. 208 del 2015, prevede che “non è riconosciuto alcun indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta alle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’art. 96 c.p.c.”;

l’apprezzamento della temerarietà della lite e della consapevolezza dell’infondatezza della domanda è oggetto dell’accertamento del giudice di merito, attraverso l’esame degli atti di causa, il comportamento processuale e gli altri elementi che siano indice dell’elemento soggettivo dell’istante; dalla vicenda processuale e da un ragionamento anche di tipo inferenziale, il giudice di merito deve trarre elementi univoci per dimostrare che l’istante ha introdotto e proseguito il giudizio, senza apprezzabili possibilità di un suo esito favorevole, facendo venir meno la condizione soggettiva di incertezza, che esclude lo stato di disagio ed il paterna d’animo, presupposto del diritto all’equa riparazione;

nella specie la corte territoriale ha compiuto detta indagine, non limitando l’accertamento alla mera infondatezza della domanda, ma verificando una serie di elementi acquisiti al processo, come la totale omissione dell’onere probatorio, la proposizione dell’appello basato sulle medesime ragioni della domanda e l’introduzione di domande inammissibili;

a nulla rileva la circostanza che l’appello si sia svolto in tempi ragionevoli, avendo la corte apprezzato non la violazione del termine del giudizio di secondo grado ma il complessivo comportamento processuale del ricorrente che, dopo aver proposto un’azione manifestamente infondata, non ha desistito dal coltivarla anche nel successivo grado di giudizio;

il secondo motivo di ricorso è palesemente inammissibile, in quanto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ai ricorsi per cassazione proposti contro i provvedimenti pubblicati a partire dall’11.9.2012 (D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012), non è censurabile il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione ma solo il vizio di omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio;

Il ricorso va, pertanto, rigettato;

non deve provvedersi sulle spese di lite, non avendo il Ministero svolto attività difensiva;

non si deve far luogo alla dichiarazione di cui All’art. 13, comma 1-quater del testo unico approvato con D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 trattandosi di procedimento esente dal pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 22 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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