Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3234 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 11/02/2010, (ud. 21/10/2009, dep. 11/02/2010), n.3234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso

la stessa domiciliata in Roma in Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

G.F., rappresentato e difeso dall’avv. RUOZZI Edgardo,

presso il quale è domiciliato in Modena, Corso Canalchiaro n. 116;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 130/8/07, depositata il 19 dicembre 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21 ottobre 2009 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco.

La Corte:

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 130/8/07, depositata il 19 dicembre 2007, che, accogliendo l’appello di G.F., avvocato, gli ha riconosciuto il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998, 1999, 2000 e 2001.

Il contribuente resiste con controricorso.

Il ricorso contiene due motivi, rispondenti ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis cod. proc. civ..

Con il primo si denuncia violazione della normativa istitutiva dell’IRAP sotto il profilo del presupposto impositivo costituito dalla sussistenza di autonoma organizzazione; con il secondo, vizio di motivazione.

La ratio decidendi della sentenza impugnata è conforme al consolidato principio affermato da questa Corte in materia, secondo cui, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della “autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; costituisce poi onere del contribuente che richieda il rimborso fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette (ex plurimis, Cass. n. 3676, n. 3673, n. 3678, n. 3680 del 2007). Quanto all’affermazione secondo cui l’esercizio dell’attività professionale svolta dalla contribuente “richiede il possesso di una specifica abilitazione, in difetto della quale non è pensabile” che essa possa essere esercitata, essa non sembra assurgere, nel contesto della motivazione – della cui correttezza si è appena fatto cenno -, a ratio decidendi, costituendo un mero inciso non sviluppato.

D’altra parte, la decisione gravata contiene un in equivoco accertamento di fatto in ordine all’insussistenza, nella specie, di autonoma organizzazione, che non è oggetto di adeguata censura.

In conclusione, si ritiene, che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, e art. 380 bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto manifestamente infondato”;

che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto enunciati, il ricorso va rigettato;

che il ricorrente va condannato al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 1200,00 ivi compresi Euro 200,00 per spese vive.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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