Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32339 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/12/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 11/12/2019), n.32339

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21662/2018 R.G. proposto da:

A.H., rappresentata e difesa dall’Avv. Stefania Santilli, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO e PREFETTURA DI MILANO;

– intimati –

avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Milano depositata il 18

giugno 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.H., cittadina della Tanzania, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso l’ordinanza del 18 giugno 2018, con cui il Giudice di pace di Milano ha rigettato il ricorso da lei proposto contro il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Milano il 28 marzo 2018.

Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, si rileva l’inammissibilità della costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta tardivamente mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale: nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione, non essendo prevista la fase della discussione in pubblica udienza, il Collegio giudica infatti senza l’intervento del Pubblico Ministero e delle parti, il cui concorso alla fase decisoria, dovendo realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, postula pertanto che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835).

2. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’escludere l’applicabilità del principio di non refoulement, avente carattere assoluto e quindi riguardante tutti i provvedimenti di espulsione, nonchè operante anche in caso di mancata presentazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto della situazione sociale, politica e di sicurezza del suo Paese di origine, afflitto da una grave emergenza sociale e sanitaria, nè della documentazione prodotta, da cui emergeva il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e/o degradanti, in caso di rimpatrio.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 2 e 35, dell’art. 32 Cost. e degli artt. 2,3 e 8 della CEDU, nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’escludere il suo diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto dei gravi rischi cui essa ricorrente resterebbe esposta in caso di rimpatrio, in quanto affetta da una grave patologia (AIDS) che rende necessaria la permanente sottoposizione a terapia farmacologica.

4. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riguardanti profili diversi della medesima questione, sono inammissibili.

Benvero, la motivazione dell’ordinanza impugnata non può essere condivisa nella parte in cui, a fondamento della decisione di rigetto dell’opposizione, ha rilevato, tra l’altro, che, nonostante la sua lunga permanenza in Italia, la ricorrente non aveva mai presentato istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari: tale affermazione, presupponendo che in sede di opposizione al decreto di espulsione la possibilità di far valere ragioni ostative di carattere umanitario sia subordinata all’avvenuta proposizione di una domanda di riconoscimento della protezione internazionale, si pone infatti in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che esclude la necessità di tale adempimento. In riferimento al divieto di espulsione o di respingimento previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in attuazione del principio di non refoulement sancito dalla disciplina internazionale e comunitaria (cfr. art. 33 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, resa esecutiva con L. 24 luglio 1954, n. 722; art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE), è stato affermato che la prospettazione da parte dell’opponente del concreto pericolo di essere sottoposto, in casi di rientro nel paese di origine, a persecuzione o a trattamenti inumani e/o degradanti impone al giudice di pace investito dell’opposizione al decreto di espulsione di pronunciarsi al riguardo, in quanto la norma di protezione introduce una misura umanitaria a carattere negativo, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale (cfr. Cass., Sez. I, 8/04/ 2019, n. 9762; 17/02/2011, n. 3898). Un ulteriore limite all’adozione ed all’esecuzione della misura espulsiva, non subordinato alla proposizione della domanda di protezione, è stato individuato nella garanzia del diritto fondamentale alla salute, prevista dal D.Lgs. n. 286 dle 1998, art. 35, essendosi affermato che la stessa, comprendente non solo le prestazioni di pronto soccorso e di medicina d’urgenza, ma anche tutte le altre prestazioni essenziali per la vita, impedisce il rimpatrio dello straniero che comunque si trovi nel territorio nazionale, ove quest’ultimo, a causa dell’immediata esecuzione del provvedimento, possa subire un irreparabile pregiudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 10/06/2013, n. 14500; Cass., Sez. VI, 27/06/2016, n. 13252; Cass., Sez. I, 4/04/2011, n. 7615).

4.1. Nella specie, tuttavia, la mancata proposizione della domanda di protezione internazionale non ha spiegato concreta incidenza sulla decisione adottata dall’ordinanza impugnata, la quale, nonostante il predetto rilievo, ha proceduto ugualmente alla valutazione delle ragioni di carattere umanitario fatte valere con l’opposizione, escludendone la fondatezza, in quanto l’opponente non aveva fornito alcuna prova del proprio stato di salute e dell’impossibilità di ricevere le necessarie cure nel Paese di origine. Nel censurare tale apprezzamento, la ricorrente non è in grado di evidenziare circostanze di fatto sottoposte al dibattito processuale e trascurate dalla sentenza impugnata, ma si limita a riportarsi alla documentazione prodotta, in tal modo sollecitando una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentita dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale, nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, circoscrive le anomalie motivazionali denunciabili con il ricorso per cassazione alla pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, nonchè a quelle che si convertono in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, escludendo pertanto da un lato la possibilità di estendere il vizio in esame al di fuori delle ipotesi, nella specie neppure prospettate, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo del provvedimento (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257), dall’altro la possibilità di far valere, sotto tale profilo, l’omessa o inadeguata valutazione di elementi istruttori (cfr. Cass., Sez. VI, 15/05/ 2018, n. 11863; 10/02/2015, n. 2498; Cass., Sez. lav., 9/07/2015, n. 14324).

4.2. Nel lamentare l’omessa valutazione della situazione politico-sociale del suo Paese di origine, la ricorrente propone poi una questione che non risulta trattata nell’ordinanza impugnata, e non può quindi trovare ingresso in questa sede, implicando un’indagine di fatto e non essendo stato precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio la stessa sia stata sollevata (cfr. Cass., Sez. II, 24/01/2019, n. 2038; 9/08/2018, n. 20694; Cass., Sez. VI, 13/06/2018, n. 15430).

5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione del Ministero ed alla mancata costituzione del Prefetto.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 11 dicembre 2019

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