Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32330 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. I, 11/12/2019, (ud. 30/09/2019, dep. 11/12/2019), n.32330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20439/2017 proposto da:

A.D., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Uljana Gazidede, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Prefettura di Bari, Questura di Bari;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 681/2017 del GIUDICE DI PACE di BARI,

depositata il 06/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2019 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione l’ordinanza pronunciata dal Giudice di pace di Bari con cui è stato rigettato il ricorso proposto da A.D. avverso il decreto prefettizio che disponeva l’espulsione dal territorio nazionale dell’istante, nonchè contro il decreto del Questore della Provincia di Bari che ordinava al medesimo di lasciare l’Italia nel termine di giorni sette.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., nonchè la violazione del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.; è altresì denunciata la nullità del decreto di espulsione “per mancata traduzione in lingua conosciuta e per omessa giustificazione”. L’istante lamenta, in sintesi, che il provvedimento espulsivo non sia stato tradotto in lingua da lui conosciuta, in violazione del cit. art. 13, comma 7.

Il motivo è infondato.

Come rilevato da questa Corte, l’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato o in quella c.d. veicolare, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana e che di tale circostanza venga fornita prova, anche presuntiva (Cass. 21 luglio 2017, n. 18123; cfr. pure Cass. 31 gennaio 2019, n. 2953). Nel caso in esame, tale presunzione è stata tratta dalla circostanza per cui l’odierno ricorrente si trovava in Italia da quasi vent’anni. L’affermazione dell’istante secondo cui lo stesso non sarebbe in grado di leggere la lingua italiana appare non conferente giacchè attraverso di essa si pretenderebbe di censurare, in modo del tutto generico, il ragionamento presuntivo posto a fondamento della conclusione per cui il ricorrente, proprio in considerazione del lungo periodo di residenza nel nostro paese era in grado di intendere il significato del provvedimento (peraltro pure tradotto in inglese, come lingua veicolare: cfr. pag. 1 dell’ordinanza impugnata); di recente questa Corte ha del resto escluso sia sindacabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il controllo del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 17 gennaio 2019, n. 1234; cfr. inoltre la cit. Cass. 31 gennaio 2019, n. 2953, secondo cui la circostanza per cui l’accertamento in via presuntiva del fatto che lo straniero conosca la lingua italiana o altra lingua nella quale il decreto è stato tradotto è censurabile in cassazione per omesso esame di un fatto decisivo): censura, quest’ultima, neppure sollevata col primo motivo di ricorso.

2. – Col secondo mezzo è opposta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, la violazione del D.Lgs. n. 286 cit., art. 31, comma 3, e la violazione di legge “per lesione del diritto all’unità familiare e dei diritti del fanciullo sanciti dalla Costituzione, dal diritto internazionale e dal t.u. in materia di immigrazione”. Rileva il ricorrente che il Giudice di pace avrebbe omesso di esaminare nel merito la sussistenza dei diritti che egli aveva contrapposto all’espulsione: e segnatamente di quello all’unità familiare, essendo padre di figli nati in Italia, di cui due ancora minorenni.

Il terzo motivo censura la sentenza impugnata per omessa valutazione di un fatto storico e per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1. L’istante si duole del fatto che il Giudice di pace abbia mancato di apprezzare la sua vicenda personale, omettendo di considerare i suoi vincoli familiari, i legami col suo paese di origine, la durata del suo soggiorno in Italia e la domanda di protezione internazionale che aveva proposto nel 1998.

I due motivi, che possono trattarsi insieme, risultano fondati nei termini che si vengono a esporre.

Il Giudice di pace, cui pure erano state rappresentate ragioni ostative all’allontanamento del ricorrente in ragione dei vincoli familiari (dati dalla presenza di figli nati in Italia), avrebbe dovuto fare applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, secondo cui “(n)ell’adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lett. a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonchè dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”.

Nel decreto impugnato è stato conferito rilievo dirimente all’insussistenza di istanze di ricongiungimento familiare. Va nondimeno osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, (il quale impone di tenere conto nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonchè dell’esistenza dei legami con il suo Paese di origine) si applica, con valutazione da effettuarsi caso per caso, anche al cittadino straniero che pure non si trovi nella posizione di formale richiedente il ricongiungimento familiare (tra le più recenti pronunce in tema cfr.: Cass. 22 gennaio 2019, n. 1665; Cass. 15 gennaio 2019, n. 781; Cass. 2 ottobre 2018, n. 23957).

3. – Il decreto è dunque cassato, con rinvio della causa al Giudice di pace di Bari; al giudice del rinvio, che dovrà fare applicazione del principio testè richiamato, è rimessa la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE

accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, in relazione al secondo e al terzo motivo, mentre rigetta il primo; cassa il provvedimento impugnato in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, al Giudice di pace di Bari, in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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