Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32329 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. I, 11/12/2019, (ud. 09/09/2019, dep. 11/12/2019), n.32329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23760/2018 proposto da:

N.O., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico, 38

presso lo studio dell’avvocato Marco Lanzilao che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto n. 9335/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

05/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Roma, con decreto n. 9335/2018 pubblicato il 5 luglio 2018, respinge il ricorso proposto da N.O., cittadino del Gambia, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente ha dichiarato di essere di etnia (OMISSIS) e di religione musulmana, di essere fuggito dal proprio Paese perchè la sua fidanzata era rimasta incinta e i genitori di lei lo avevano denunciato alla polizia per aver costretto la figlia ad interrompere gli studi a causa della gravidanza e, in Gambia intrattenere rapporti sessuali prima del matrimonio con una giovane donna che studia è una condotta punita con una pena che può arrivare a dieci anni di carcere; in sede di interrogatorio il ricorrente ha aggiunto che l’etnia (OMISSIS) è emarginata nel proprio Paese e che questo è uno dei motivi per i quali la famiglia della fidanzata, appartenente alla potente etnia (OMISSIS), non lo ha accattato; ha anche precisato di aver lavorato in Libia per lungo tempo per potersi pagare il viaggio verso l’Italia;

b) a Commissione territoriale ha ritenuto non credibile, perchè incoerente, il racconto del richiedente, a ciò può aggiungersi che si tratta di un racconto fumoso non sufficientemente circostanziato e che non è corroborato da alcun riscontro, visto che dalle fonti internazionali più accreditate non risulta l’esistenza in Gambia del reato di intrattenimento di rapporti sessuali prima del matrimonio specie con una giovane studentessa;

c) sono soltanto vietate le unioni con i minori di età, ma in Gambia il raggiungimento della maggiore età è fissato a 18 anni e la ragazza del richiedente è rimasta incinta a 19 anni;

d) comunque le circostanze riportate non consentono di concedere lo status di rifugiato nè la protezione sussidiaria, tanto più che in Gambia non vi sono situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato;

e) in particolare, per lo status di rifugiato non risulta oggettivamente dimostrata la dedotta correlazione dell’espatrio con persecuzioni quali previste dalla Convenzione di Ginevra, mentre deve escludersi la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, avuto riguardo sia alla condizione soggettiva del ricorrente sia a quella dello Stato di origine, come si è detto;

e) infine, non può concedersi la protezione umanitaria perchè non sono state allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute, nè è emersa una situazione di fragilità da riferire ai traumi subiti nei Paesi ove lo stesso è transitato prima di arrivare in Italia;

3. il ricorso di N.O. domanda la cassazione del suddetto decreto per quattro motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in quattro motivi;

2. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto della discussione tra le parti, rappresentato dalla condizione di pericolosità e dalla situazione di violenza generalizzata esistenti in Gambia;

3. con il secondo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del Paese di origine;

3.1. in particolare si sostiene che il Tribunale, pur considerando non credibile la storia di persecuzione personale narrata dal richiedente, avrebbe comunque dovuto svolgere indagini approfondite sulla situazione generale del Paese;

3.2. tale situazione si caratterizza per una violenza generalizzata non solo di tipo fisico, di cui sono vittime specialmente i soggetti deboli, come il richiedente per il fatto stesso che è giovane e che, comunque, si sente in una situazione di pericolo;

4. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la “mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese di origine”, nelle quali ogni persona è in pericolo e la Polizia e il sistema giudiziario non garantiscono il rispetto dei diritti umani;

5. con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione ed errata applicazione sia del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 “non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario” sia dello stesso D.Lgs. n. 286 cit., art. 19 “che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel Paese d’origine o che vi possa correre gravi rischi”, con omessa applicazione dell’art. 10 Cost. e dell’art. 3 CEDU. Si sostiene che, alla luce della situazione socio-economica del Paese di provenienza e dei conseguenti obblighi internazionali e costituzionali assunti dall’Italia di garantire un livello di vita dignitoso e la tutela della persona, la concessione della protezione umanitaria è una misura idonea ad assicurare al ricorrente un adeguato livello di vita per sè e per la propria famiglia mentre, nel Paese d’origine, il ricorrente si troverebbe in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale. Inoltre, la prova della situazione di vulnerabilità del ricorrente e della inadeguatezza delle sue condizioni di vita sarebbe in re ipsa.

Esame dei motivi.

6. il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte;

7. il primo e il secondo motivo – da trattare insieme data la loro intima connessione – vanno dichiarati inammissibili, perchè, al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione di entrambi i motivi, le censure con essi proposte finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dalla Corte d’appello a proposito sia della condizione socio-politica del Gambia sia della condizione personale del ricorrente quale emersa dal suo racconto, sulla base delle risultanze processuali;

7.1. a ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici del merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano nè vengono denunciate;

8. anche il terzo motivo è inammissibile;

8.1. secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, il richiamato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e, in particolare, la disposizione di cui alla lett. c) di esso – su cui si appuntano le censure del ricorrente – deve essere interpretato in conformità con la fonte Eurounitaria di cui è attuazione (artt. 9 e 15, lett. c, delle direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia UE (vedi, in tal senso, di recente: Cass. 31 maggio 2018, n. 13858; Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064; Cass. 9 gennaio 2019, n. 284);

8.2. secondo tali indicazioni: “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c), della direttiva, per il fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel Paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (vedi CGUE: (sentenza 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; sentenza 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30);

8.3. è stato, al riguardo, specificato che, come precisato dalla Corte di Giustizia UE (nelle citate sentenze e nella sentenza della Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36), i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definire come “danno grave” (v. Considerando n. 26 della direttiva n. 2011/95/UE);

8.4. infatti, la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), postula, in realtà, da un lato, la sussistenza di una situazione configurabile come “conflitto armato” (inteso come scontro tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati) e, dall’altro, una conseguente violenza generalizzata idonea a comportare una minaccia “grave e individuale alla vita o alla persona di un civile” – quale è il richiedente – derivante da quella violenza;

8.5. nel decreto attualmente impugnato il Tribunale – con un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede se sorretto da congrua motivazione, come accade nella specie (vedi, fra le tante: Cass. n. 14006/18; n. 32064/18; Cass. 2 maggio 2019, n. 11561, quest’ultima relativa ad un giudizio analogo al presente) – ha escluso la ricorrenza di tutte le ipotesi di cui al citato art. 14, ivi compresa quella prevista nella lett. c) di tale articolo;

8.6. a tale conclusione il Giudice del merito è pervenuto sul rilevo secondo cui il ricorrente si è limitato a fare riferimento alla situazione di instabilità socio-politica e di violenza generalizzata del Gambia, aggiungendo che, peraltro, tale situazione, è in via di miglioramento dopo la sconfitta del dittatore J., sicchè pur riscontrandosi elementi di instabilità la situazione non è così critica da determinare l’applicazione dell’art. 14, lett. c, cit., nè dal racconto del ricorrente è emersa una situazione di pericolo individuale;

8.7. nel presente ricorso le suddette affermazioni non risultano contestate in modo specifico e ci si limita a sostenere che le attuali condizioni sociopolitiche del Paese di origine sarebbero sufficienti per la concessione della protezione sussidiaria, così esprimendosi un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invocando, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse;

8.8. di qui l’inammissibilità del terzo motivo, in quanto la deduzione del vizio di violazione di legge, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

9. anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile;

9.1. infatti le deduzioni del ricorrente in materia di protezione umanitaria risultano del tutto generiche e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che dal ricorso non si riesce a individuare la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare, perchè nel ricorso si fa esclusivo riferimento all’inadeguatezza delle condizioni di vita in Gambia;

9.2. nulla di utile si riferisce con specifico riguardo a N.O., di cui ci si limita a riferire che è ben integrato in Italia, senza altra specificazione;

9.3. ne consegue che non risulta impugnata la ratio decidendi posta a base del rigetto della domanda di protezione umanitaria, rappresentata dalla rilevata mancanza di allegazioni o documenti da parte del ricorrente di particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute e dalla mancata emersione dagli atti di causa di una situazione di fragilità da riferire ai traumi subiti nei Paesi ove lo stesso è transitato prima di arrivare in Italia;

9.4. nel presente motivo questa affermazione – che costituisce una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere il decreto sul punto – non viene attinta dalle censure formulate le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nella sentenza di appello impugnata;

9.5. tale omessa impugnazione rende di per sè inammissibile, per difetto di interesse, la relativa censura, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

Conclusioni.

10. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

11. nulla si deve disporre per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede;

12. si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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