Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32324 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. I, 11/12/2019, (ud. 09/09/2019, dep. 11/12/2019), n.32324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20116/2018 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico

38 presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 23/05/2018

nonchè il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato l’1/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2019 dal Cons. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Roma, con decreto depositato il 23 maggio 2018, respinge il ricorso proposto da B.A., cittadino dell’Algeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente ha dichiarato di essere originario del distretto dell’Algeria e di essere arrivato in Italia, dopo un soggiorno in Turchia, per volersi costruire un futuro diverso rispetto al suo passato e di non nutrire alcun timore in caso di rimpatrio;

b) il racconto del richiedente – pur attendibile e coerente – con tutta evidenza non consente di concedere lo status di rifugiato nè la protezione sussidiaria, tanto più che in Algeria non vi sono situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato;

c) non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute che consentano di accordare la protezione umanitaria;

3. il ricorso di B.A. domanda la cassazione del suddetto decreto per tre (recte: due) motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato;

4. con un successivo ricorso B.A. impugna, per un motivo, il successivo provvedimento con il quale il Tribunale di Roma ha respinto la sua richiesta di sospensione degli effetti del decreto di rigetto della propria domanda di protezione internazionale o umanitaria, impugnato con il precedente ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. preliminarmente va disposta la riunione dei due ricorsi proposti da B.A. – rispettivamente avverso il decreto che ha respinto la sua domanda di protezione internazionale e avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’anzidetto, precedente decreto – perchè, secondo un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, i ricorsi per cassazione proposti contro provvedimenti che si integrano reciprocamente e si riferiscono alla medesima vicenda processuale vanno preliminarmente riuniti, trattandosi di un caso assimilabile a quello – previsto dall’art. 335 c.p.c. della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza (Cass. 10 maggio 1983, n. 3202; Cass. 10 luglio 2001, n. 9377; Cass. 1 aprile 2004, n. 6391; Cass. 10 aprile 2017, n. 9192);

2. sempre in via preliminare va dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso il decreto del Tribunale di Roma, in data 1 ottobre 2018, che ha respinto l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del suddetto decreto dello stesso Tribunale, in data 23 maggio 2018;

2.1. infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento impugnato, emanato a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, non è impugnabile per cassazione, trattandosi di un provvedimento di natura ordinatoria privo di definitività e decisorietà, che produce effetti temporanei, destinati ad esaurirsi con la sentenza definitiva del giudizio d’impugnazione, analogamente al provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata per cassazione, a norma dell’art. 373 c.p.c. (Cass. n. 10540 del 2018, n. 13774 del 2015, n. 16537 e 17647 del 2009; Cass. 19 luglio 2019, n. 19602);

3. il ricorso avverso il decreto in data 23 maggio 2018 è articolato in due motivi (non tre come si afferma nel ricorso stesso);

3.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso/erroneo esame delle condizioni del Paese di provenienza del ricorrente e delle conseguenze in caso di rimpatrio, omissione che si sarebbe concretizzata in un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto della discussione tra le parti, avendo il Tribunale dopo aver ritenuto esistente in Algeria un rischio legato alla lotta al terrorismo escluso l’attribuibilità di qualunque forma di protezione, ivi compresa la protezione umanitaria;

3.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione ed errata applicazione sia del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario” sia dello stesso D.Lgs. n. 286 cit., art. 19 “che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel Paese d’origine o che vi possa correre gravi rischi”, con omessa applicazione dell’art. 10 Cost. e dell’art. 3 CEDU. Si sostiene che, alla luce della situazione socio-economica del Paese di provenienza e dei conseguenti obblighi internazionali e costituzionali assunti dall’Italia di garantire un livello di vita dignitoso e la tutela della persona, la concessione della protezione umanitaria è una misura idonea ad assicurare al ricorrente un adeguato livello di vita per sè e per la propria famiglia mentre, nel Paese d’origine, il ricorrente si troverebbe in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale. Inoltre, la prova della situazione di vulnerabilità del ricorrente e della inadeguatezza delle sue condizioni di vita sarebbe in re ipsa;

4. il ricorso va dichiarato inammissibile, per le ragioni di seguito esposte;

5. il primo motivo è inammissibile, per molteplici, concorrenti ragioni;

5.1. in linea generale, le censure con esso proposte finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito sia della condizione socio-politica dell’Algeria sia della condizione personale del ricorrente quale emersa dal suo racconto, sulla base delle risultanze processuali;

5.2. a ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici del merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano nè sono state denunciate;

6. anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

6.1. infatti le deduzioni del ricorrente in materia di protezione umanitaria risultano del tutto generiche e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che dal ricorso non si riesce a individuare la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare, nè nel ricorso stesso viene contestata l’affermazione del Tribunale secondo cui B.A. ha riferito di essere arrivato in Italia, dopo un soggiorno in Turchia, per volersi costruire un futuro diverso rispetto al suo passato e di non nutrire alcun timore in caso di rimpatrio;

6.2. tale affermazione è di per sè idonea ad escludere la possibilità di riconoscere una forma di protezione internazionale o anche la protezione umanitaria, se non è supportata dalla dimostrazione in concreto di una situazione di vulnerabilità, come accade nella specie;

6.3. infatti, com’è noto e come risulta anche dal decreto impugnato, la riferita esistenza, nello Stato verso cui il soggetto si troverà ad essere rimpatriato, di dell’emergenza della lotta al terrorismo o anche di “violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani” è di per sè ininfluente ai fini della protezione umanitaria, in quanto una simile situazione per rilevare deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui all’art. 5, comma 6, cit.;

6.4. d’altra parte, sia con riguardo alla protezione umanitaria sia per la protezione internazionale nel ricorso non si contesta la statuizione del Tribunale secondo cui dall’interessato non è stata depositata – nel termine appositamente concesso – alcuna documentazione utile per dimostrare la sussistenza dei presupposti per la rispettiva, eventuale concessione, con specifico riguardo alla situazione del ricorrente;

6.5. di qui l’inammissibilità del secondo motivo;

Conclusioni.

7. in sintesi, entrambi i proposti ricorsi devono essere dichiarati inammissibili;

8. nulla si deve disporre per le spese del presente giudizio di cassazione in quanto il Ministero dell’Interno è rimasto intimato;

9. si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara i ricorsi inammissibili. Nulla per le del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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