Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32316 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. I, 13/12/2018, (ud. 15/11/2018, dep. 13/12/2018), n.32316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23051/2015 proposto da:

C.M.C., M.N.G., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Barberini n. 36, presso lo studio

dell’avvocato Piccione Corrado, rappresentati e difesi dall’avvocato

Pappalardo Grazia, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Leopoldo

Nobili n. 11, presso lo studio dell’avvocato Menghini Mario,

rappresentato e difeso dall’avvocato Boccadifuoco Alessandro, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 486/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 20/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/11/2018 dal cons. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania con la sentenza del 20 marzo 2015 ha respinto l’impugnazione avverso l’ordinanza emessa ex art. 702-bis c.p.c. e ss. dal Tribunale di Siracusa il 4 dicembre 2012, che ha dichiarato la nullità del contratto concluso per atto pubblico del 2 febbraio 2012, con il quale C.M.C. aveva trasferito al figlio, M.N.G., la nuda proprietà della metà indivisa di alcuni immobili, ricadenti nella comunione legale con il marito M.G., ed ha dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale della convenuta, volta alla restituzione delle somme prelevate dal conto corrente del medesimo; ciò, dopo avere disposto la separazione della causa vertente sulla domanda riconvenzionale, parimenti proposta dai convenuti, di divisione giudiziale dei beni in comunione.

Avverso la sentenza viene proposto ricorso, affidato a quattro motivi ed ha resistito con controricorso l’intimato.

Quindi, prima dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato rinuncia al ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per omessa motivazione circa un fatto decisivo controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 702-bis e 702-ter c.p.c. avendo la corte d’appello negato la necessità di mutare il rito in quello ordinario, in presenza dell’istanza di sospensione del processo.

Con il secondo motivo, deducono la nullità della sentenza per vizio processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la sentenza impugnata escluso la necessità di mutare il rito.

Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 191 c.p.c., L. n. 55 del 2015, artt. 2 e 3atteso che tale ultima disciplina ha modificato la norma codicistica, disponendo lo scioglimento della comunione legale fra i coniugi sin dal momento dell’autorizzazione presidenziale a vivere separati, disposizione applicabile ai procedimenti in corso: poichè, nella specie, l’udienza presidenziale è stata celebrata in data 11 ottobre 2012, l’applicabilità della nuova regola va rilevata d’ufficio in ogni stato e grado, anche dal giudice di legittimità, divenendo legittimo il trasferimento operato, posto che ope legis è intervenuto lo scioglimento della comunione dei coniugi.

Con il quarto motivo, lamentano la violazione degli artt. 177,184,192 c.c., art. 167 c.p.c., perchè la moglie ai sensi dell’art. 184 c.c., comma 3, ha diritto alla metà di quanto depositato sul conto corrente del coniuge, avendo errato la corte territoriale a qualificare dette somme come proventi dell’attività separata del marito, quando, invece, mai egli aveva affermato ciò, così violando il principio della non contestazione, e le somme erano investimenti familiari rientranti nel regime legale della comunione.

2. – Il giudizio va dichiarato estinto, ai sensi degli art. 390 e 391 c.p.c., per essere intervenuta la rinuncia al medesimo (cfr. Cass., sez. un., ord. 25 marzo 2013, n. 7378; Cass., ord. 26 febbraio 2015, n. 3971; 5 maggio 2011, n. 9857; 15 ottobre 2009, n. 21894).

3. – Le spese gravano sulla parte rinunziante, in mancanza di accettazione della rinuncia stessa.

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il giudizio di legittimità e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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