Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32312 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. I, 13/12/2018, (ud. 07/11/2018, dep. 13/12/2018), n.32312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25425/2014 proposto da:

L.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Simone De

Saint Bon n.89, presso lo studio dell’avvocato De Luca Raffaele,

rappresentato e difeso dagli avvocati Gallo Giuseppe, Gallo Luciano,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1246/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/11/2018 dal cons. FRANCESCO TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

il tribunale di Catanzaro condannava L.F., per quanto ancora rileva in questa sede, al risarcimento dei danni cagionati al Ministero dei beni culturali e ambientali in dipendenza di un’attività di sbancamento di un fondo posto in (OMISSIS);

tale attività aveva determinato la distruzione e la definitiva perdita di importanti reperti archeologici risalenti al 4 e al 5 secolo a.C., testimonianza dell’antica polis di (OMISSIS);

la corte d’appello di Catanzaro rigettava a sua volta il gravame del L., confermando la valutazione del tribunale a proposito dell’imputabilità del danno;

L. ha proposto ricorso per cassazione deducendo quattro motivi; il Ministero non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – per condivisibile orientamento, il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo impone (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso;

tra questi rientrano anche quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti;

ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione inammissibile o infondato, può considerarsi superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. tra le altre Cass. n. 12515-18, Cass. n. 15106-13);

tale rilievo consente al collegio, nella concreta fattispecie, di esaminare le censure prospettate senza dar corso alla rinnovazione della notifica del ricorso per cassazione, che pure è da considerare nulla in quanto effettuata presso l’avvocatura distrettuale anzichè presso l’avvocatura generale dello Stato (per tutte Cass. Sez. U n. 608-15);

2. – col primo mezzo il ricorrente denunzia l’omesso esame di fatti a suo dire rilevanti ai fini della prova della responsabilità;

tali fatti sarebbero costituiti dall’essere risultato dalla c.t.u. che i reperti in questione erano andati distrutti da un temporale abbattutosi sulla città e da una conseguente frana;

deduce inoltre che, sempre in base alla c.t.u., era mancata l’alta sorveglianza sul sito da parte della sovrintendenza;

col secondo mezzo è dedotto l’omesso esame di fatti asseritamente rilevanti con riguardo alla prova dei danni;

si sostiene in tal caso che la sovrintendenza non aveva dato la prova della consistenza dei reperti che sarebbero andati distrutti;

altro omesso esame è dedotto col terzo motivo, questa volta in ordine al fatto che vi era stata una richiesta di danni da parte di esso L. nei confronti del Ministero per l’occupazione dell’area, stante l’inerzia prolungata della sovrintendenza;

infine, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatto decisivo sulla responsabilità della sovrintendenza per i danni da esso patiti e per quelli relativi al danneggiamento dei reperti, stante la “copiosa corrispondenza” effettuata per “smuovere” funzionari ad agire e stante l’accertamento tecnico preventivo che aveva manifestato i pericoli di crollo nell’area e la precarietà delle condizioni igienico-sanitarie;

3. – il ricorso è inammissibile;

le doglianze di cui ai motivi primo, secondo e quarto sono dirette a ottenere un riesame nel merito della vicenda che ha portato il giudice a quo a ritenere il ricorrente responsabile dei danni in esame;

la corte d’appello ha invero esaminato i fatti cui si allude, e in particolare la questione attinente alla situazione di pericolo di crollo caratterizzante il cantiere anche in rapporto all’igiene pubblica;

ciò ha fatto riportando testualmente la deduzione che era stata prospettata da L. con l’atto di appello;

ha altresì esaminato la tesi dell’appellante secondo cui i danni ai reperti sarebbero stati da imputare all’inerzia del Ministero;

consegue che le paventate omissioni in ordine all’esame dei fatti non sussistono;

il vero è che il ricorrente contesta la valutazione che, all’esito, la corte d’appello ha svolto in merito al nesso causale tra la distruzione dei reperti e la condotta del medesimo, il che postula un sindacato di merito notoriamente inammissibile in questa sede;

difatti la corte territoriale ha evidenziato, così tacitando ogni questione, la non decisività degli asseriti ritardi dell’amministrazione, poichè la situazione di pericolo, allegata da L., avrebbe dovuto essere eliminata da un intervento che, ove volontariamente assunto dall’imprenditore, avrebbe dovuto in ogni caso preservare i reperti archeologici; e ciò in quanto, secondo la ricostruzione operata dal giudice del merito, egli ben era stato al corrente dell’esistenza di reperti, il cui rinvenimento aveva finanche omesso di denunciare, e la prosecuzione dell’opera di sbancamento era stata fatta nonostante un ordine di fermo dei lavori;

4. – può osservarsi che il giudice d’appello ha esaminato anche la questione inerente la consistenza dei reperti danneggiati, richiamando le fonti di prova documentale al riguardo ritenute essenziali (le denunzie del sovrintendente con le annesse descrizioni e il fascicolo fotografico allegato e custodito nell’archivio pubblico), opportunamente segnalando che dalla stessa c.t.u. era emerso come il cantiere fosse inserito in un’importante area archeologica nella quale già in precedenza erano stati rinvenuti analoghi oggetti;

5. – il terzo motivo è inammissibile per novità;

dalla sentenza non risulta che L. avesse appellato la decisione di primo grado con riguardo alla asserita esistenza di un danno da occupazione; nè la decisione d’appello è stata impugnata facendo valere un’asserita omissione di pronuncia su un distinto specifico motivo di gravame; in conclusione il ricorso è inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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