Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3231 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 3231 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 26098-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A.,

in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA,
PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato
STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato TRIFIRO SALVATORE, giusta delega in
2014

atti;
– ricorrente –

66

contro

– NIGRO MICHELE C.F. NGRMHL71E23F205D, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo

Data pubblicazione: 12/02/2014

studio dell’avvocato FONTANA GIUSEPPE,

che

lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICA
MANGIA, giusta delega in atti;
– MARINO LAURA, C.F. MGRMHL71E23F205D elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 967/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 29/10/2007 r.g.n. 175/2006

181/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega TRIFIRO’
SALVATORE;
udito l’Avvocato FONZO FABIO per delega FONTANA
GIUSEPPE;
udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO NATALE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso
per il rigetto in subordine accoglimento per quanto
di ragione, per quanto riguarda l’indennità.

studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO, che la

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

rigettato i gravami proposti (con distinti ricorsi, poi riuniti) dalla Poste
Italiane spa, rispettivamente nei confronti di Marino Laura e di Nigro
Michele, avverso le pronunce di prime cure che avevano ritenuto la
nullità del termine apposto ai contratti di lavoro conclusi inter partes,
con conseguente conversione a tempo indeterminato dei contratti
stessi e condanna della datrice di lavoro al pagamento delle
retribuzioni dalla data di messa in mora.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la Poste
Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su dodici
motivi.
Gli intimati Marino Laura e di Nigro Michele hanno resistito con
distinti controricorsi.
Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

La Corte territoriale ha ritenuto che il primo dei contratti a

termine conclusi con Marino Laura, stipulato a decorrere dal
23.10.1998 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso,
in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di
sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”,
3

Con sentenza del 20.9-29.10.2007 la Corte d’Appello di Milano ha

ai sensi dell’art. 8 CCNL 1994, come integrato dall’accordo del

successivo al 30.4.1998, data alla quale, con l’accordo del
16.1.1998, era stato differito il termine di possibile stipula di contratti
a termine per le causale anzidetta.
L’impostazione seguita dalla Corte territoriale è stata ampiamente
censurata dalla Società ricorrente con i primi sei mezzi, da
esaminarsi congiuntamente siccome fra loro connessi; la ricorrente
contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al
citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla
stessa definiti come attuativi; deduce in particolare che questi ultimi
accordi avevano natura meramente ricognitiva.
1.1 Osserva il Collegio che le considerazioni della Corte territoriale in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato dalla
giurisprudenza di legittimità (con riferimento al sistema vigente
anteriormente al CCNL del 2001 ed al dl.vo n. 368/01) – sono
sufficienti a sostenere sul punto l’impugnata decisione.
Al riguardo, sulla scia di Cass., SU, n. 4588/2006, è stato precisato
che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 legge n.
56/87, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine
rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230/62, discende dall’intento
del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i
4

25.9.1997, fosse privo di supporto autorizzatorio, siccome

lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite

a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e
prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche
di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di
fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr,
ex plurimis, Cass., nn. 21063/2008; n. 9245/2006; 4862/2005;

14011/2004); ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a
favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari,
non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul
medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi
nel sistema da questa delineato (cfr,

ex plurimis, Cass., nn.

21062/2008; 18378/2006).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (cfr, ex plurimis,
Cass., nn. 18383/2006; 7745/2005; 2866/2004).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a
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della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere

termine di dipendenti postali, con raccordo sindacale del 25

e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio
1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della
situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino
alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la
legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998,
per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 legge n. 230/62 (cfr, ex plurimis,
Cass., nn. 20608/2007; 28450/2008; 21062/2008; 7979/2008;
18378/2006).
In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi
precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr,
ex plurimis, Cass., nn. 6703/2007; 15969/2005), i motivi all’esame
vanno quindi respinti.
2.

Con la memoria illustrativa la Poste Italiane spa ha invocato la

declaratoria di cessazione della materia del contendere quanto alla
domanda di riammissione in servizio formulata dal Nigro, sul rilievo
che quest’ultimo, dopo la riammissione in servizio, era stato
licenziato; l’istanza è inaccoglibile, per l’assorbente rilievo che il
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settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994,

licenziamento successivo alla riammissione in servizio non elimina il

lavorativo, proprio in conseguenza del quale si è addivenuti alla
ricordata risoluzione del rapporto per circostanze sopravvenute.
2.1 II contratto concluso con Nigro Michele, in relazione al quale la
Corte territoriale ha ritenuto la nullità del termine, venne stipulato il
12.6.2002 “…

ai sensi della vigente normativa, per esigenze

tecniche, organizzative e produttive anche di carattere
straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi
ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul
territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero
conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove
tecnologie, prodotti o servizi nonché all’attuazione delle previsioni
di cui agli Accordi dei 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001,
11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”.

La Corte territoriale, rilevata l’avvenuta stipula del contratto nella
vigenza del dl.vo n. 368/01, ha ritenuto che la mancata
formalizzazione e prova delle ragioni che giustificano l’apposizione
del termine comporta la nullità dello stesso; in particolare ha
affermato che le esigenze e cause indicate nel contratto, per la loro
genericità, erano “…

sovrapponibili, non controllabili

e

non

ricollegabili, né ricollegate al periodo di assunzione e all’ufficio di
Lainate cui è stato assegnato il lavoratore con mansioni di

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contrasto fra le parti in ordine al ripristino, anche di fatto, del rapporto

portalettere centroscorta; con la stessa genericità sono richiamati

riferimento (processi di mobilità, trasferimenti, licenziamenti).
Approssimativi e generici sono anche i capitoli di prova, a fronte
delle puntuali allegazioni de/lavoratore; pertanto, anche sentendo i
tesfi, riesce impossibile accertare e verificare se le esigenze poste a
giustificazione del contratto a termine esistevano”.

2.2 Con il settimo mezzo, denunciando vizio di motivazione, la
ricorrente censura tale impostazione, sul presupposto
dell’assoggettamento del contratto de quo alla disciplina dettata dal
CCNL del 2001, alla luce del disposto della norma transitoria di cui
all’ari. 11 dl.vo n. 368/01.
La censura è infondata, condividendo il Collegio il principio già
enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in
materia di assunzioni a termine del personale postale, l’ari. 74,
comma 1, del CCNL 11 gennaio 2001 del personale non dirigente di
Poste Italiane spa stabilisce il 31 dicembre 2001 quale data di
scadenza dell’accordo; con la conseguenza che i contratti a termine
stipulati successivamente a tale data non possono rientrare nella
disciplina transitoria prevista dall’ari. 11 del dl.vo n. 368/01 – che
aveva previsto il mantenimento dell’efficacia delle clausole contenute
nell’art. 25 del suddetto CCNL, stipulate ai sensi dell’art. 23 della
legge n. 56/87 – e sono interamente soggetti al nuovo regime
8

numerosi accordi, senza specificare le esigenze cui si fa

normativo, senza che possa invocarsi l’ultrattività delle pregresse

ponendosi tale soluzione in contrasto con il principio secondo il quale
i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro
l’ambito temporale concordato dalle parti (cfr, Cass., n. 16424/2010).

2.3 Ciò determina l’assorbimento del profilo di doglianza sviluppato
con l’ottavo mezzo sul presupposto della riconducibilità del contratto
individuale per cui è causa alla disciplina dettata dal CCNL del 2001.

3.

Sempre con l’ottavo mezzo, sul diverso presupposto che il

contratto sia assoggettato alle disposizioni di cui al dl.vo n. 368/01, la
ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto la genericità
della causale riportata nel contratto stesso.
Con il successivo nono mezzo la ricorrente si duole che la Corte
territoriale abbia ritenuto indimostrate le esigenze richiamate nella
lettera di assunzione, anche alla luce delle istanze istruttorie già
formulate in prime cure e reiterate in appello.
I due motivi, tra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.

3.1 La questione all’esame è già stata affrontata dalla giurisprudenza
di questa Corte e risolta con l’affermazione del principio secondo cui
l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall’art. 1
dl.vo n. 368/01, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena
di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro

9

disposizioni per il periodo di vacanza contrattuale collettiva,

l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di

l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze
che contraddistinguono una particolare attività e che rendono
conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un
determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato,
sì da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo
temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed
organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la
utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della
specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa;
spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se
correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal
sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando
ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar
riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini
dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti
fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto
(cfr, ex plurimis, Cass., nn. 2279/2010; 10033/2010; 16303/2010).
Ed invero l’esplicitazione delle ragioni dell’apposizione del termine
può risultare anche indirettamente dal contratto di lavoro, attraverso
il riferimento ad altri testi scritti accessibili dalle parti, in particolare
nel caso in cui, data la complessità e l’articolazione del fatto
10

assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché

organizzativo, tecnico o produttivo che è alla base della esigenza

documenti, specie a contenuto concertativo, richiamati nella causale
di assunzione; nel caso in esame il contratto di assunzione, come
già detto, conteneva l’espresso richiamo

“all’attuazione delle

previsioni di cui agli Accordi dei 17, 18 e 23 ottobre, 11
dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”, in base ai

quali le parti si erano date atto, fra l’altro, che la Società avrebbe
continuato a fare ricorso all’attivazione di contratti a tempo
determinato per sostenere il livello del servizio di recapito durante la
fase di realizzazione dei processi di mobilità.
3.2 Per ciò che riguarda l’incombenza dell’onere probatorio, deve

ancora essere richiamata la già ricordata sentenza di questa Corte n.
2279/2010, la quale, sviluppando argomentazioni già adottate in
precedenti pronunzie (Cass., nn. 12985/2008; 14011/2004;
7468/2002), ha rilevato che detto onere deve essere posto a carico
del datore di lavoro.
Con tale pronuncia è stato infatti posto in evidenza che – già prima
dell’introduzione del comma anteposto all’art. 1 dl.vo n. 368/01
dall’art. 39 legge n. 247/07, per il quale “il contratto di lavoro
subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato” – il suddetto

art. 1 aveva confermato il principio generale secondo cui il rapporto
di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato,
11

dell’assunzione a termine, questo risulti analizzato in specifici

costituendo pur sempre l’apposizione del termine una ipotesi

decreto legislativo – secondo la quale l’apposizione del termine “è
consentita”

solo

“a fronte”

di determinate specifiche ragioni

derogatorie – impone di considerare che le ragioni stesse, proprio
perché adottate in deroga, sono normalmente da provare in giudizio
da chi le deduce a sostegno delle proprie difese e che la pertinenza
alla posizione del datore di lavoro delle situazioni derogatorie è
elemento normalmente significativo del conseguente carico
probatorio in giudizio; ha, infine, evidenziato che tale risultato
ermeneutico è imposto dal richiamo della cosiddetta clausola di non
regresso contenuta nella direttiva a cui il decreto dà attuazione e per
il riferimento al contenuto della delega posto alla base del decreto
legislativo, che è limitato all’attuazione della direttiva, la quale non
contiene disposizioni che si attaglino ad una diversa distribuzione
dell’onere della prova con riguardo al primo o unico contratto di
lavoro a tempo determinato.
La Corte territoriale ha sostanzialmente aderito ai testé ricordati
principi di ripartizione dell’onere della prova, con riferimento alla
necessaria sussistenza delle esigenze indicate negli accordi anche
in relazione all’area operativa che interessava il lavoratore,
ritenendone la genericità e l’assenza di riferimento al periodo di
assunzione e all’ufficio a cui il lavoratore stesso era stato assegnato.
12

derogatoria; ha rilevato, inoltre, che la tecnica legislativa adottata dal

Quanto alla censura specificamente rivolta alla mancata ammissione

deve rilevare l’inammissibilità per violazione dell’art. 366 bis cpc
(applicabile

ratíone temporis

al presente giudizio), stante la

genericità del quesito di diritto (“se, ai sensi degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ., il Giudice sia tenuto a valutare tutte le prove dedotte
dalle parti, ovvero possa ignorare le prove fornite da una parte
pur in assenza di qualunque prova contraria dedotta dall’altra
parte, nonché se ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., il Giudice
possa pervenir o meno all’accoglimento delle pretese di una
parte in assenza di qualsivoglia prova a sostegno delle
medesime ed anzi in presenza di significativi elementi di prova che
depongano in senso contrario”), privo di qualsivoglia concreto

riferimento alle circostanze di causa e che, come tale, quale che
fosse la risposta da dare al medesimo, non potrebbe condurre ad
una consequenziale decisione sulla fondatezza o meno della
doglianza.
3.31 mezzi all’esame vanno pertanto disattesi.
4. Il decimo mezzo, con cui viene dedotta la violazione del principio
di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato per non avere la
Corte territoriale esaminato gli ulteriori contratti a termine conclusi
con la Marino e con il Nigro, è inammissibile per carenza di interesse
al riguardo in capo alla parte ricorrente, fermo restando che le
13

delle prove articolate sul punto (sviluppata con il nono mezzo) se ne

questioni relative alla legittimità di detti contratti venivano ad essere

pronunciarsi in proposito) una volta ritenuta la nullità del termine (e la
consequenziale conversione a tempo indeterminato del contratto)
apposto al primo dei contratti rispettivamente stipulati.
5. Con l’undicesimo mezzo, riferibile alla posizione del Nigro, la
ricorrente, denunciando violazione di norma di diritto, invoca in
particolare l’applicabilità alla fattispecie del disposto dell’art. 1419 cc,
dolendosi che la Corte territoriale abbia ritenuto la trasformazione del
rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato.
La censura non può esser accolta, avendo questa Corte già avuto
modo di rilevare che l’art. 1 dl.vo n. 368/01, anche anteriormente alla
modifica introdotta dall’art. 39 legge n. 247/07, ha confermato il
principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è
normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del
termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della
previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del
termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo”,

cosicché, in caso di insussistenza delle ragioni

giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni
espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi
generali in materia di nullità parziale del contratto e di
eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonché alla stregua
14

assorbite (e, dunque, la Corte territoriale non era tenuta a

dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato

decreto) e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto
di lavoro subordinato, tracciato dalle pronunce della Corte
Costituzionale n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del
termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso
consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi
di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (cfr, ex plurimis,
Cass., n. 12985/2008).
Onde, coerentemente, la clausola risolutiva inserita nel contratto di
lavoro dedotto in causa deve ritenersi sostituita dalla normativa di cui
all’art. 1 dl.vo n. 368/01.
6. Con il dodicesimo mezzo la ricorrente, denunciando violazione di

norme di diritto, ha censurato le disposte conseguenze risarcitorie,
assume che le retribuzioni sarebbero dovute soltanto dalla data di
riammissione in servizio, in difetto di costituzione in mora del datore
di lavoro, non contenendo le istanze ex art. 410 cpc, né alcun altro
atto, un’offerta specifica della prestazione di lavoro.
Il motivo è inammissibile poiché:
– in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per
cassazione non riproduce il contenuto delle domande per il tentativo
di conciliazione prese in esame dalla Corte territoriale;

15

dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato

- risolvendosi in una critica all’accertamento di fatto operato dai

surricordati atti unilaterali, avrebbe dovuto essere svolto, per vizio di
motivazione, specificando da quali criteri ermeneutici legali, ed in
qual modo, la Corte territoriale si sarebbe discostata nella
valutazione effettuata; il che non è avvenuto, stante che detti criteri
ermeneutici neppure sono stati indicati.
7. L’art. 4 bis dl.vo n. 368/01, di cui la ricorrente invoca, in
subordine, l’applicazione, è stato dichiarato costituzionalmente
illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza 14 luglio 2009, n.
214.
Va inoltre considerato, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo

ius

superveniens, che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una
nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia
in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8
maggio 2006 n. 10547).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che
investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina
sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile
secondo la disciplina sua propria.
16

Giudici del merito in ordine al contenuto e alla valenza dei

0
disciplina di cui all’art. 32, commi 5 , 6° e 7°, legge n. 183/10 è il
dodicesimo, testè esaminato, il quale, come evidenziato, è
inammissibile.
Deve quindi convenirsi per l’inapplicabilità nel presente giudizio del
ricordato ius superveniens.

8. In definitiva il ricorso va rigettato.
Secondo il criterio della soccombenza, la ricorrente va condannata
alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in euro 3.600,00
(tremilaseicento), di cui euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per
compenso, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2014.

Nel caso in esame il motivo che investe il tema al quale è riferibile la

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