Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32307 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. I, 13/12/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 13/12/2018), n.32307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16959/2017 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Vera

Augusto n. 41, presso lo studio dell’avvocato Pelosi Antonella, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Co.Pa., C.L., elettivamente domiciliati in Roma,

Via R. Garofalo n. 81 presso lo studio dell’avvocato Fagioli

Fabrizio, rappresentati e difesi dall’avvocato Guercini Luana,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2859/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

pubblicata il 03/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/10/2018 dal cons. TRICOMI LAURA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. SORRENTINO FEDERICO, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO

CHE:

C.A. ricorre con nove mezzi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma, in epigrafe indicata, che, in controversia concernente l’impugnazione del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio dallo stesso promossa in primo grado, aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnazione di riconoscimento e rigettato l’appello incidentale, avente ad oggetto la denuncia di violazione dell’art. 92 c.p.c..

Replicano con un unico controricorso Co.Pa. e C.L. (nato nel (OMISSIS)).

Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Il PG ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art.380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Preliminarmente va dichiarata l’ammissibilità del controricorso che risulta notificato via pec il 24/7/2017, nel termine di cui all’art. 370 c.p.c., come si desume, anche in assenza di esplicita indicazione nel controricorso, dalla notifica del ricorso avvenuta in data 4/7/2017 come evincibile dagli atti del giudizio.

2.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 70 c.p.c. e si sostiene che la sentenza sarebbe nulla per l’omessa reiterazione della comunicazione degli atti al P.M. in vista dell’udienza di discussione, rinviata su richiesta di quest’ultimo per la precisazione delle conclusioni, ed inoltre che ciò avrebbe comportato anche la mancata integrità del contraddittorio ex art. 332 c..p.c. nei confronti della parte pubblica.

2.2. Il motivo è infondato.

2.3. L’art. 70 c.p.c. sancisce l’obbligatorietà dell’intervento del Pubblico Ministero nelle cause riguardanti la capacità e lo stato delle persone (art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3), e l’art. 71 c.p.c. l’obbligo per il giudice di disporre la comunicazione degli atti.

Orbene nel caso di specie la comunicazione era avvenuta, come dà conto lo stesso ricorrente, ed il PM aveva solo lamentato che il tempo a sua disposizione per l’esame era stato breve, chiedendo ed ottenendo un congruo termine per l’esame: ne consegue che, essendo stato già correttamente espletato l’adempimento afferente alla comunicazione, non era richiesta la rinnovazione dello stesso; inoltre la circostanza che in sentenza si sia dato atto dell’acquisizione del parere del P.M., lungi dal costituire una formula di stile, come sostenuto dal ricorrente, attesta anche l’effettivo intervento del P.M. in causa, di guisa che la questione risulta nel complesso priva di decisività.

Ne consegue l’insussistenza della violazione denunciata.

3.1. Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 276 c.p.c., perchè redatta con la collaborazione di un magistrato ordinario in tirocinio.

3.2. Il motivo è infondato.

3.3. Come questa Corte ha già chiarito, con principio che si intende confermare, “Nel caso in cui risulti, in calce alla sentenza, che la stessa è stata redatta con la collaborazione di un uditore giudiziario, non può considerarsi la sentenza stessa affetta da nullità nè tanto meno da inesistenza, rilevabile anche d’ufficio in sede di impugnazione, in quanto con tale annotazione non si vuole intendere che il procedimento sia stato deciso dal magistrato senza funzioni, ma solo che, nell’espletamento del tirocinio, il magistrato senza funzioni abbia collaborato col giudice all’esame della controversia e alla stesura della minuta della motivazione, di cui il secondo, con la sottoscrizione, ha assunto la paternità.” (Cass. n. 12214 del 20/08/2003), principio di recente ribadito anche in caso di provvedimento redatto con la collaborazione di un giudice ausiliario di Corte di appello (Cass. n. 4426 del 21/02/2017).

In particolare costituisce perno del ragionamento la considerazione che l’attività di collaborazione alla stesura del provvedimento non integra affatto la partecipazione all’attività decisionale.

Il ricorrente, nel ricordare la motivazione della decisione di legittimità citata più recente, tenta di attribuire valore di principio a quella che invece è la disamina della fattispecie concreta, a conferma della applicabilità alla stessa del principio enunciato, di guisa che nessun argomento a favore della tesi del ricorrente può dalla stessa desumersi, atteso che nel presente caso l’annotazione in calce alla sentenza di primo grado parlava esclusivamente di collaborazione alla stesura: la decisione della Corte di appello è pertanto immune da vizi.

4.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 82,83 e 84 c.p.c. e della L. n. 247 del 2012, art. 3 con rinvio al Cod. deontologico forense in G.U. n. 241 del 16/10/2014, ribadendo la denuncia proposta già in primo grado circa la ricorrenza di un conflitto di interesse tra la difesa della madre e la difesa del figlio, svolta dal medesimo difensore.

4.2. Il motivo è infondato.

4.3. Giova osservare, come si evince dalla sentenza che su tale profilo incentra la motivazione, che C.L. (nato nel (OMISSIS)) era già maggiorenne all’epoca dell’introduzione del giudizio avvenuta con citazione proposta da C.A. e notificata il 27/2/2012: la questione, pertanto, non rientra nell’ambito del tema del possibile conflitto di interessi tra incapace e suo legale rappresentante.

4.4. Ciò posto la questione va considerato sotto il profilo della eventuale ricorrenza di un conflitto di interessi tra parti: a tal proposto va ricordato – come affermato da questa Corte – che “Nel caso in cui tra due o più parti sussista conflitto di interessi (tanto attuale, quanto virtuale), è inammissibile la loro costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore, al quale sia stato conferito mandato con un unico atto, e ciò anche in ipotesi di “simultaneus processus”, dato che il difensore non può svolgere contemporaneamente attività difensiva in favore di soggetti portatori di istanze confliggenti, investendo siffatta violazione il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio, valori costituzionalmente garantiti.” (Cass. n. 7363 del 23/03/2018).

Orbene nel caso di specie non risulta che madre e figlio fossero portatori di istanze confliggenti, contrariamente a quanto assume il ricorrente, ed in particolare non risulta che vi fosse una situazione processuale confliggente posto che le difese svolte dagli stessi risultano assolutamente concordi e comuni.

5.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 113 e 115 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 6, nn. 2 e 7, art. 230 c.p.c. per omessa disamina delle richieste istruttorie, motivazione irrituale ed insufficiente sulla non ammissione delle stesse, giustificata dallo svolgimento, ritenuto assorbente quanto agli esiti, della CTU.

Il ricorrente ricorda di avere proposto, con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, anche domanda di accertamento della grave responsabilità di Co.Pa. per avere impedito, in caso di accertamento della paternità, l’esercizio della genitorialità e, in caso di mancata conferma della paternità, della grave responsabilità per avere dichiarato falsamente che Luca era suo figlio, e per l’effetto domanda la condanna al risarcimento del danno conseguente; si duole che nemmeno la domanda di accertamento sia stata esaminata, essendo intervenuta solo il rigetto della domanda risarcitoria. Denuncia, inoltre, che non sia stato disposto l’interrogatorio formale di Luca finalizzato ad accertare a chi fosse a addebitare la mancata frequentazione padre/figlio.

5.2. L’esame del quarto motivo sul piano logico deve seguire quello del settimo motivo.

5.3. Con il settimo motivo è stata denunciata la violazione degli artt. 112 e 183 c.p.c., in relazione alla pronuncia con la quale la domanda risarcitoria proposta con la memoria ex art. 183 c.p.c. era stata ritenuta inammissibile perchè nuova, senza considerare – a parere del ricorrente – che la stessa era conseguita alle difese svolte dalla controparte nel giudizio ed alla richiesta di controparte di condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c..

5.4. Il settimo motivo è infondato.

5.5. Invero la declaratoria di inammissibilità non ha riguardato solo la domanda risarcitoria, ma anche la connessa e presupposta domanda di accertamento della violazione del diritto paterno ad esercitare la funzione genitoriale, come si evince chiaramente dal tenore letterale della decisione impugnata, che proprio prendendo in considerazione la complessiva causa petendi e il petitum ha ravvisato una inammissibile mutatio libelli.

Come già puntualizzato da questa Corte “L’introduzione di una domanda in aggiunta a quella originaria costituisce domanda “nuova”, come tale implicitamente vietata dall’art. 183 c.p.c., atteso che il confine tra quest’ultima e la domanda “modificata” – che, invece, è espressamente ammessa nei limiti dell’udienza e delle memorie previste dalla norma citata – va identificato nell’unitarietà della domanda, nel senso che deve trattarsi della stessa domanda iniziale modificata, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o di una domanda diversa che, comunque, non si aggiunga alla prima ma la sostituisca, ponendosi, pertanto, rispetto a quella, in un rapporto di alternatività.” (Cass. n. 16807 del 26/06/2018).

Nel caso di specie l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità è un’azione di stato strutturalmente ed ontologicamente diversa (Cass. n. 17482 del 04/07/2018) dalla domanda di accertamento di responsabilità e di risarcimento per violazione dei diritti di genitorialità che il ricorrente ex novo ha aggiunto alla prima nel corso del giudizio, non già modificandola o sostituendola, e rispetto alla quale si differenzia in quanto non ha ad oggetto il medesimo bene della vita (cfr. Cass. n. 18956 del 31/07/2017) e riguarda distinte vicende – l’una l’avvenuto concepimento, l’altra la condotta serbata nel corso degli anni da un genitore nei confronti dell’altro -.

Inoltre, la censura non coglie nel segno, laddove richiama la sent. della Cass. n. 29 del 03/01/2017, resa in materia di rito societario ex D.Lgs. n. 5 del 2003 e, quindi, non pertinente.

5.6. L’esame del quarto motivo, concernente le richieste istruttorie connesse alle domande nuove introdotte con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 di cui sopra, è assorbito dal rigetto del settimo motivo.

6.1. Con il quinto motivo si denuncia la motivazione apparente in riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere ritenuto valida ed utilizzabile la perizia ed il supplemento di perizia, senza tener conto del motivo di impugnazione e per non avere accolto la richiesta di rinnovazione della CTU, senza motivare in proposito.

6.2. Con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 193,194,195 e 196 c.p.c. e art. 91disp. att. c.p.c., comma 2, sostenendo la nullità della CTU e la violazione del contraddittorio.

In particolare il ricorrente si duole del supplemento di perizia e sostiene che senza lo stesso, svolto illegittimamente, sarebbe stato impossibile raggiungere il risultato finale, comunque contestato.

6.3. I motivi quinto e sesto possono essere trattati congiuntamente per connessione; sono infondati e vanno respinti.

6.4. La Corte di appello con motivazione articolata, volta ad illustrare tutti i passaggi argomentativi, ha sottolineato che l’esito della consulenza, ancor prima della contestata integrazione conseguita, peraltro, proprio a richieste della Consulente di parte del ricorrente -, era sufficiente al fondare il rigetto dell’appello e della impugnativa per difetto di veridicità, senza che alcuna specifica contestazione risulti svolta avverso detta ampia motivazione.

Rimarcato che non si ravvisa alcuna nullità della CTU, atteso che l’esame era stato autorizzato anche su reperti biologi diversi dal sangue, le doglianze vertono su accertamenti di merito che si rivelano insindacabili.

7.1. Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione degli art. 89 c.p.c.; art. 52 del Codice deontologico forense, ex lege n. 247 del 2012; art. 2, comma 4 e art. 3 dell’Ordinamento forense per avere la Corte di appello negato la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive con motivazione inesistente, incongrua e non pertinente.

7.2. Il motivo è inammissibile.

7.3. Invero l’apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all’oggetto della lite, nonchè l’emanazione o meno dell’ordine di cancellazione delle medesime, a norma dell’art. 89 c.p.c., integrano esercizio di potere discrezionale, esercitabile anche d’ufficio, non censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 14364 del 05/06/2018) e l’istanza di cancellazione costituisce una mera sollecitazione per l’esercizio dell’anzidetto potere discrezionale, di guisa che non può formare oggetto di impugnazione l’omesso esame di essa nè l’omesso esercizio del suddetto potere (Cass. 22186 del 20/10/2009).

8.1. Con il nono motivo si denuncia la violazione degli artt. 91,92,112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, lamentando una motivazione incongrua e contraddittoria sulla mancata riforma in punto di liquidazione delle spese di primo grado e di percentuali di compensazione e la liquidazione non specifica delle spese di appello (studio, trattazione, conclusioni, etc.).

8.2. Il motivo è inammissibile, quanto alla percentuale di compensazione.

Come questa Corte ha già affermato, “In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi.” (Cass. n. 24502 del 17/10/2017): la sentenza risulta inoltre congruamente motivata in ordine alla parziale reciproca soccombenza ed il ricorrente sostanzialmente mira ad ottenere una nuova valutazione di merito.

8.3. Il motivo è infondato sul secondo profilo in quanto, con l’entrata in vigore del D.M. n. 140 del 2012, “In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.L. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione.” (Cass. 2386 del 31/01/2017).

9.1. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di Euro 5.000,00=, oltre spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, Euro 200,00= per esborsi ed accessori di legge;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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