Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32286 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/12/2018, (ud. 30/10/2018, dep. 13/12/2018), n.32286

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

G.T., elettivamente domiciliato in Roma, P.zza del Porto

di Ripetta n. 1 presso lo studio dell’Avv. Luigi Chiappero che lo

rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso

gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 47/7/2011 della Commissione

tributaria regionale del Lazio, depositata il 2 marzo 2011;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30 ottobre 2018 dal relatore Cons. Crucitti Roberta.

Fatto

RILEVATO

che:

la Commissione tributaria regionale del Lazio (d’ora in poi C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarava inammissibile l’appello proposto da G.T. avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato il ricorso, proposto dal contribuente, avverso cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e portante iperf dell’annualità 2000;

il Giudice territoriale rilevava che l’atto di appello, notificato senza avvalersi dell’Ufficiale giudiziario, non era stato depositato presso la Segreteria della Commissione tributaria provinciale, con conseguente inammissibilità ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2;

avverso la sentenza G.T. propone ricorso per cassazione;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RILEVATO

che:

1. il ricorso incorre nella sanzione della inammissibilità. Costituisce, invero, giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. tra le altre, di recente, Cass. sez. 2, Ordinanza n. 11603 del 14/05/2018) il principio secondo cui “il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito”;

2. nel ricorso in esame i motivi sub 1), 2) e 4) non censurano autonomi capi della sentenza impugnata ma ripropongono motivi attinenti alla pretesa illegittimità della cartella di pagamento mentre il motivo sub 3) è inammissibile siccome contrario all’altrettanta consolidata giurisprudenza di questa Corte che, di recente, ha avuto modo di puntualizzare (v. Cass. n. 22627 del 27/09/2017) che “in tema di contenzioso tributario, la disposizione di cui al D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, comma 7, introdotta dalla L. di conversione n. 248 del 2005, che ha aggiunto, alla fine del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, la previsione secondo cui, ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, è conforme non solo a Costituzione (come statuito da Corte cost., n. 43 del 2010) ma anche all’art. 6 della CEDU, in quanto norma che regola l’accesso alla tutela giurisdizionale limitatamente alla fase di appello e non a quella di legittimità, ultimo grado del giudizio ove la parte può sempre far valere le proprie difese; parimenti non contrastante con l’art. 6 della CEDU, per il quale il legislatore può legittimamente applicare alle norme di procedura il principio “tempus regit actum”, è il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 36, che ha abrogato il detto art. 53, comma 2, con effetto limitato agli appelli spediti in epoca successiva alla sua entrata in vigore”;

3. in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente, soccombente, alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese di lite come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 2.500 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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