Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32285 del 11/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/12/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 11/12/2019), n.32285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26793-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato TIZIANA PANE;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 292,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BALDI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ARMIDA URBINATI;

– controricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

GIUSEPPE MATANO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 639/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 05/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Bologna confermava la decisione di primo grado che aveva accolto l’opposizione a cartelle esattoriali aventi ad oggetto crediti INPS per contributi e sanzioni dovuti da C.M.;

a fondamento della decisione la Corte territoriale, richiamando il dictum di Cass. S.U. n. 23397 del 18 novembre 2016, rilevò la prescrizione dei crediti portati dalle cartelle;

avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Agenzia delle Entrate – riscossione, subentrata a Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., sulla base di unico motivo;

C.M. e Inps hanno resistito con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con unico motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, e del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17, poichè la Corte territoriale aveva ritenuto applicabile ai fini del computo del termine prescrizionale del credito esattoriale il termine breve di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10 senza considerare l’effetto novativo conseguente alla notifica delle cartelle di pagamento che comporterebbe l’applicabilità del termine lungo decennale;

la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., poichè sui punti contestati la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di legittimità e l’esame dei motivi non offre elementi nuovi rispetto all’elaborazione giurisprudenziale consolidata (ex plurimis Cass. n. 26013 del 29/12/2015, Cass. n. 10327 del 26/04/2017);

soccorre, infatti, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016), secondo il quale: “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

in linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)”;

allo stesso modo non assume rilievo il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese in favore delle parti controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per ciascuno dei controricorrenti in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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